Angelo Cicconi Massi e il suo prezioso, raro sguardo su Senigallia
« Signori si nasce ed io lo nacqui, modestamente! ». Sì, Angelo Cicconi Massi avrebbe potuto fare sua la celebre frase di Totò. Ma Angioletto – molti a Senigallia lo chiamavano così – non si dava tante arie, nonostante conte lo fosse per davvero.
Se n’è andato l’ultimo dei cultori del dialetto locale della prima ora, quelli che hanno fatto storia e che la nostra storia più vera l’hanno amata sul serio e custodita con intelligenza. Non hanno fatto sconti nel tratteggiare il carattere, o meglio, il ‘caratterin’ dei senigalliesi, raccontandone con ironia vizi, virtù, tic e generosità sorprendenti. La città raccontata e abitata da Angioletto era quella che sapeva far dialogare alta borghesia e popolo, liberali, comunisti e socialisti, mangiapreti e chierichetti, donne del mercato, ‘pesciaroli’ e ‘cuntadin’.
L’anagrafe fa il suo corso, però è anche lecito avvertire una grande nostalgia di persone ‘pubbliche’ fatte così, capaci di parlare praticamente a tutti e senza smanie di protagonismo o velleità di sorta. Memorabili le sue invenzioni e interpretazioni di personaggi da manuale, primo fra tutti il prof. Teoretis, dell’Università di Uppsala, con le sue strampalate teorie – ma poi, a giudicare da certe cronache odierne, molto meno campate per aria di quanto potevano sembrare – per spiegarci come gira il mondo, come si è evoluta l’umanità. O la parodia della signora che, davanti ai manifesti da morto, tagliava e cuciva su vita, morte e miracoli di chi aveva a tiro e che smaniava per avere l’ultimo pettegolezzo, possibilmente in salsa piccante. Piazze e teatri sempre gremiti per vederlo dal vivo, un pubblico trasversale plaudente e gioioso che, mentre rideva a crepapelle, sentiva di essere un po’ parte di quel racconto.
Cicconi Massi non solo esperto e praticante del nostro idioma, parlato perfettamente e senza reticenze snob, insieme al suo colto italiano, ma anzitutto una raffinata mente profondamente innamorata della sua città. Il sorriso sornione, l’acutezza del pensiero, la fierezza di sentirsi parte di un luogo, senza negare la sua provenienza sociale, dal quale attingeva a piene mani per raccontarlo con sagacia e divertimento.
Angelo era anche ‘l Monc’ in piazza (nella foto). Stupendamente interpretato nella commedia di Nanda Tenenti Moroni ‘Finalment’ hann capit’, l’iconico abitante di piazza Roma finalmente poteva parlare e dire la sua e usare, anche in modo maldestro, i ritrovati arti. Una statua così, dalle origini esotiche e misteriose, apprezzata anche per la sua notevole qualità artistica, ovunque l’avrebbero chiamata il ‘Nettuno’, perché di lui si tratta, del dio del mare e delle correnti. A Senigallia, no! Qui è ‘l Monc’, le braccia tagliate (la leggenda narra che i Turchi, per oltraggio, gli abbiano spezzato braccia e tridente) hanno avuto la meglio sulla divinità, rendendo il soggetto molto più accessibile, alla portata di tutti, uno con cui, al limite, poter anche parlare e sfogarsi un po’. E da quella postazione, sotto il palazzo del potere locale, alla faccia della sua immobilità, s’accorgeva di tanto, osservava, scrutava e rideva sotto i baffi… Un po’ come Angioletto, di signorile origine e a suo agio in mezzo alla gente, curioso come pochi nello scovare, insieme agli amici di scorribande, persone e personaggi sui generis che Senigallia ha spesso donato a piene mani.
Con quell’irriverenza bonaria che fa prendere noi stessi un po’ meno sul serio, che chiede menti e cuori aperti, profondi e leggeri al contempo. Grazie Angelo, chissà se finalment’ avrenn capit’?
Laura Mandolini
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