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Caos nella Repubblica democratica del Congo: la testimonianza di un missionario italiano, le nostre riflessioni

Logo del programma "Venti minuti da Leone" in onda su Radio Duomo Senigallia - In Blu

“20 minuti da Leone” si occupa oggi di un tema di strettissima attualità, la situazione che si sta verificando nella Repubblica Democratica del Congo. Scontri armati tra l’esercito ufficiale congolese e gruppi di ribelli, l’M23, sostenuti dal Rwanda stanno producendo morti tra i militari e i civili, corpi abbandonati in strada, migliaia di persone in fuga. Ne parliamo con un missionario, padre Franco Bordignon, missionario italiano che si trova in quel paese da circa 50 anni, e con la direttrice di Radio Duomo/Voce Misena Laura Mandolini. L’audio è disponibile in questo articolo assieme a un estratto testuale: basterà cliccare sul tasto “riproduci/play” del lettore multimediale, mentre andrà in onda venerdì 31 gennaio e sabato 1 febbraio su Radio Duomo Senigallia (95.2 FM), in entrambi i casi alle ore 13:10 e alle ore 20. Un’ulteriore replica in radio è prevista per domenica 2 febbraio, a partire dalle 16:50, il terzo di tre servizi curati da noi.

Ricostruiamo un po’ la situazione.
In questo enorme paese del centroafrica, ricco di minerali preziosi, sono scoppiati gravi scontri che hanno interessato la parte più orientale del paese. Domenica sera i ribelli sono entrati nella principale città della regione, nel nord Kivu, e dopo vari combattimenti che hanno prodotto almeno 100 morti e migliaia di feriti, sono arrivati a prendere anche l’aeroporto di Goma e a controllare le vie d’uscita e d’ingresso dalla città più importante di quella regione. Sono poi state attaccate anche le ambasciate di Francia, Belgio, Uganda, Rwanda e Kenya nella capitale Kinshasa. Diverse le conseguenze per la popolazione, tra mancanza di acqua, cibo, elettricità, internet e medicinali in un paese già gravato da enormi sofferenze che si protraggono da anni e da malattie infettive. Per il momento a nulla sono valsi gli appelli alla pace lanciati dal Consiglio di Pace e Sicurezza dell’Unione Africana, dal Presidente del Kenya e della Comunità dell’Africa Orientale William Ruto e dal pontefice Bergoglio.

Gli italiani nella Repubblica Democratica del Congo
La farnesina, con il ministro Antonio Tajani, sta seguendo l’evolversi della situazione tramite l’ambasciatore d’Italia a Kinshasa. Sono 15 circa i connazionali rimasti nel paese, in buona parte religiosi, cooperanti e residenti, tutti in contatto con il ministero degli esteri. Tra questi c’è padre Franco Bordignon, missionario saveriano ottantenne che si trova in questo territorio da 50 anni.

Qual è la situazione?
Goma è caduta nelle mani dei ribelli con tutto l’appoggio logistico e militare del Ruanda: sono intervenuti in forze via lago, perché sono proprio di fronte, e via terra. Hanno preso la città, ci sono stati morti dappertutto, lungo le strade. Hanno preso anche l’aeroporto, il porto e tutta la zona centrale, le periferie quelle interessano un po’ meno. Da quattro giorni non c’è luce e non c’è acqua perché l’acqua è quella del lago che poi viene purificata un po’. Quella della pioggia – e non piove tra l’altro da un paio di settimane ma comunque non si può bere perché è infetta dalle ceneri del vulcano – è nociva più che utile.

E dal punto di vista umanitario?
E’ catastrofica perché la gente non ha da mangiare: tutte le fonti, i rifornimenti di cibo, venivano dalle zone che sono occupate e che adesso sono state interrotte, come Minova presa la settimana scorsa. Dal punto di vista alimentare è caotica, dal punto di vista medicinale i feriti sono già di un migliaio sparsi di qua e di là nei villaggi, in piccoli centri sanitari. Noi abbiamo nella nostra parrocchia alcune centinaia di sfollati che sono venuti. E’ difficile comprare qualcosa perché i negozianti temono i saccheggi; le navi non vengono più che sono bloccate qui a Bukavu, le frontiere e la sua Goma sono chiuse, passa solamente l’ONU per portare di là degli umanitari che vogliono fuggire. Poi abbiamo ospitato profughi nelle aule scolastiche sia in parrocchia che fuori parrocchia e anche le suore che hanno le scuole lì. C’è questa necessità di aiuti urgenti.

C’è il rischio che la situazione di conflitto si allarghi?
Sembra sicuro, salvo miracoli della diplomazia internazionale, che la guerra si espanderà. E’ sicuro che verranno a Bukavu, verso sud, dove non c’è la resistenza che c’è al nord. Lo stato maggiore è fuggito a Kinshasa. Tutti sanno che Bukavu, se viene attaccato, cadrà subito anche perché possono attaccarci dal nord e poi dal lago e poi dalle frontiere, abbiamo due grandi frontiere con il Rwanda, cioè lo stesso scenario del 1996, si sta ripetendo. E’ chiaro che ci sarà bisogno di medicinali, ci sarà bisogno di cibo e quindi di aiuti immediati per poter far fronte alle necessità.

Tra quando si potrà far ritornare una tregua?
La situazione non si stabilizzerà certo nel giro di qualche settimana, ci verranno mesi, se non più di un anno. Io attualmente ero qui a Bukavu e la guerra mi ha trovato qui, dove sono bloccato. A Goma non c’è né luce né acqua, hanno tagliato anche l’internet, il cellulare funziona alcune ore al giorno. Anche gli umanitari non sanno che pesci prendere, e poi ci sono i saccheggi: molte cose sono andate rovinate e disperse.

Direttrice Laura Mandolini, cerchiamo di ricostruire un po’ la storia di questo paese, degli scontri armati e di capire perché ci interessa tanto da vicino questa situazione anche se è distante almeno 5 mila chilometri da noi.
La guerra in Congo è una di quelle situazioni che chiamano in causa tantissimi attori, è una guerra che ha devastato quella parte d’Africa, una guerra molto più grande che gli storici non hanno paura di definire una guerra mondiale, ma siccome avviene in Africa, siccome è lontana dai riflettori della grande stampa internazionale, se non per rarissimi casi, l’abbiamo quasi dimenticata e nel momento in cui riesplodono i problemi in maniera drammatica per qualche giorno torniamo ad occuparcene.

Il premio Noble per la pace 2018 Denis Mukwege a Senigallia
Il premio Noble per la pace 2018 Denis Mukwege a Senigallia

Quali i problemi che hanno portato a questa situazione di conflitto? Ho in mente la testimonianza del dottor Denis Mukwege, premio Nobel per la pace 2018 che abbiamo avuto l’onore di avere a Senigallia. Mukwege ci diceva che il problema principale del Congo è la sua ricchezza. Il paradosso. L’Africa non è povera, è impoverita. Lui ci diceva di lavorare in un ospedale dove riceve persone che arrivano per essere curate, persone appartenenti a diverse tribù e le persone mangiano insieme, condividono i letti, condividono tutto, quindi secondo lui, secondo chi conosce questa realtà il conflitto non è un problema di conflitto tra gruppi etnici, molto più una guerra la definiva economica, nella quale quelli che stanno creando questa guerra usano proprio la strategia del caos per permettere sostanzialmente il saccheggio delle risorse naturali del Congo. Qui nel nord del mondo abbiamo il tema di gestire la tecnologia, soprattutto per nutrire il cambiamento ecologico, pensiamo ai cellulari o alle macchine con il motore elettrico, pensiamo a tutto quanto è necessario per mandare avanti il digitale. Difficilmente ci domandiamo chi paga il prezzo di queste trasformazioni ecologiche. Mukwege in quell’occasione ha dato veramente una mazzata, se così si può dire, ha detto “è l’ennesima volta in cui il prezzo del vostro benessere è pagato dalle nostre popolazioni, dalle popolazioni del sud del mondo e in particolare in questo caso del Congo che è uno dei paesi più ricchi di risorse naturali”. A questo punto si tratta di decidere se ci interessa che queste transizioni, che questo legittimo desiderio di sviluppo di tanta parte del mondo sia pagato ancora una volta con un prezzo così alto per tanta gente di cui non conosciamo nome e cognome e che è sistematicamente oscurata almeno per quello che riguarda la stampa italiana dai nostri radar mediatici.

Ma il conflitto non nasce oggi.
Mukwege in quella occasione ci diceva che il problema è iniziato dopo il genocidio in Rwanda nel 1996 e dopo quel dramma in realtà la regione non si è più pacificata. Ancora oggi i congolesi continuano a pagare una crisi regionale che non è nata nel paese, ma che fa molti più danni in Congo che nel paese dove è avvenuto il genocidio, vicino Rwanda che confina con la zona del nord Kivu. Qui gli attori in campo sono sempre quelli, i grandi attori internazionali, la Cina, la Russia anche se in modo minore, gli Stati Uniti d’America. Mi viene in mente anche un altro incontro, sempre a Senigallia, nel novembre scorso, il giornalista Enzo Nucci, un giornalista che per tanti anni è stato corrispondente da Nairobi in Kenia per la RAI. Ha scritto un libro che consiglio vivamente a chi ha voglia di capire l’Africa al di là degli stereotipi, si chiama Africa Contesa, in cui descrive in modo chiaro quello che accade lì. Anche lui ci diceva che non è una guerra tra gruppi etnici, sono i politici che vogliono trasformare questa guerra in una guerra etnica, ma non è una guerra etnica, è una guerra economica con la strategia del caos per saccheggiare le risorse naturali del Congo.

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