Il conclave, l’eredità di papa Francesco e il profilo del nuovo pontefice dopo Bergoglio

Gli occhi del mondo tornano a essere puntati sul Vaticano perché mercoledì 7 maggio inizia il conclave con 133 cardinali lettori che dovranno scegliere il nuovo successore al soglio pontificio dopo la scomparsa di Papa Francesco, il papa venuto dalla fine del mondo avvenuta lunedì 21 aprile scorso. Nel pomeriggio la processione dei cardinali si muoverà dalla Cappella Paolina alla Sistina, dove avverrà poi il giuramento con la mano sul Vangelo e poi dall’arciviescovo Diego Ravelli verrà pronunciato l’extra omnes, l’invito a far uscire tutti coloro che non sono chiamati al voto. Così inizieranno le votazioni. Già dal tardo pomeriggio dovrebbe esserci una prima fumata dal comignolo e sarà quello il segnale che è stato o non è stato eletto il nuovo papa. Dei 133 cardinali elettori, l’80% circa è stato creato da papa Francesco con un’importante rappresentanza asiatica anche se in pochi credono che sarà di quel continente il successore di Bergoglio.
Qual è il profilo che dovrebbe o forse meglio dire dovrà avere il nuovo pontifice, il 267° papa nella storia? Un costruttore di ponti, un uomo vocato al dialogo, un pastore, volto di una chiesa samaritana in tempi in cui si parla tanto, tantissimo, troppo di guerra (la terza guerra mondiale a pezzi come la chiamava papa Francesco e il riaccendersi delle ostilità tra India e Pakistan ne è la prova di fatto) ma anche di profonda polarizzazione tra le parti e questo interessa un po’ tutti i paesi, dall’America all’Europa, dove il dialogo ha spazi sempre più ristretti. Chissà se anche nel conclave sarà così.
Senza scadere nel toto papa, ci si interroga sul cammino futuro della chiesa: diversi elementi significativi sono stati tracciati da papa Francesco nel suo programma di apertura e modernizzazione. La chiesa deve fare conti con se stessa, con alcuni scandali che non sono rimasti legati al passato (si pensi alla questione degli abusi) ma anche con alcune aperture che non sono state ben viste da tutti (quel chi sono io per giudicare rivolto alla comunità gay è solo uno dei temi su cui la chiesa dovrà fare chiarezza al suo interno).
Di certo papa Francesco ha lasciato non solo dei temi importantissimi su cui la chiesa si deve ancora esprimere senza esitazioni, e l’assemblea sinodale di aprile è un esempio lampante di questo esitare, ma lo stesso cambiamento non sarà immediato, a meno di segnali importanti che possano arrivare dal conclave. Lo dice anche il vescovo della diocesi di Senigallia Franco Manenti: in una recente intervista a Laura Mandolini a Radio Duomo ha parlato dell’eredità di Bergoglio e della prospettiva del cambiamento.
«Penso che l’eredità pastorale che papa Francesco ci lascia sia quella contenuta nell’Evangelii Gaudium che è un po’ il testo programmatico, cioè la consapevolezza che il Vangelo è una buona notizia per tutti ed è una buona notizia che alimenta la speranza di tutti, a non disperare. Questo mi pare sia il lascito prezioso. Lascito reso ancora più prezioso dal modo con cui papa Francesco ha testimoniato questa buona notizia con parole e gesti tra loro strettamente connessi, tanto da fare di papa Francesco un maestro perché testimone, lui stesso ha testimoniato con le sue parole e la sua vita la bellezza di una notizia che dà speranza alle persone, a tutte, in modo particolare quelle che erano a corto, in deficit di speranza».
«Mi viene da dire che quel testo è un testo molto impegnativo per la chiesa perché papa Francesco chiede alle comunità cristiane una conversione pastorale non di facciata ma addirittura appunto un cambiamento e dettaglia anche gli ambiti i luoghi e le cose da cambiare, rivalutare, ripensare tutta la vita della comunità cristiana. Io sono del parere, ma non solo nei confronti di papa Francesco, che non bisogna perdere la spinta al cambiamento, con la consapevolezza non è un cambio rapido, deve essere radicale, incisivo ma ha bisogno di tempo, ha bisogno dei suoi tempi».
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