Giovanni Ricci: «La giustizia penale non mi ha dato nulla, la giustizia riparativa ricuce le ferite»
Tra gli appuntamenti significativi dell’edizione 2025 di DestateLaFesta, c’è certamente l’incontro sulla giustizia riparativa, con la testimonianza toccante e potente di Giovanni Ricci. E’ il figlio di Domenico Ricci, carabiniere e membro della scorta di Aldo Moro, ucciso 47 anni fa nella strage di via Fani. Ed è lui, intervistato da Laura Mandolini a spiegare la necessità dell’ascolto e del dialogo con chi ha «sbagliato» e «fatto del male». L’audio, disponibile in questo articolo grazie al lettore multimediale, è in onda su Radio Duomo Senigallia (95.2FM) mercoledì 3 e giovedì 4 settembre alle ore 13:10 e alle ore 20, con una replica anche domenica 7 alle 17 circa.
L’uomo delle Marche e la sua missione
Domenico Ricci era nato nelle Marche e decise di lasciare la sua vita contadina per arruolarsi nei Carabinieri, con l’obiettivo di offrire un futuro migliore alla sua famiglia. La sua carriera lo portò, nel 1963, a diventare parte della scorta di Aldo Moro, un legame che durò più di 16 anni. In Moro trovò una fonte di ispirazione perché «le sue parole chiave erano ascolto e dialogo. Moro non era un politico distaccato, ma un uomo che portava i suoi studenti di diritto penale nelle carceri e negli ospedali psichiatrici giudiziari, per far capire loro che chi sta peggio di noi non va dimenticato, ma riconosciuto come persona, con dignità».
La tragedia e la scelta
Il 16 marzo del 1978, la vita di Domenico Ricci si spezzò in via Fani. Quel giorno non avrebbe dovuto essere in servizio, ma aveva scambiato il turno con un collega. Insieme a lui persero la vita gli altri uomini della scorta: Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Oreste Leonardi. Giovanni Ricci ha sottolineato come la giustizia penale, pur condannando i colpevoli, non sia riuscita a riparare il dolore delle vittime. «Non mi ha dato nulla, se non vedere delle persone in carcere». Da qui, la sua scelta di intraprendere un percorso di giustizia riparativa, un cammino che, come ha spiegato, «non si sostituisce alla giustizia penale, ma le si affianca. È una giustizia che, con ago e filo, ricuce le ferite».
La tua croce
L’esperienza più forte per Giovanni è stato l’incontro con i carnefici di suo padre: Adriano Faranda, Franco Bonisoli e Valerio Morucci. «Li ho guardati negli occhi. Ho visto persone. E a Valerio Morucci, l’assassino di mio padre, ho detto: ‘La croce che porti tu è molto più grande della mia’». Questo perché, come ha spiegato, le ferite dei carnefici, che si rendono conto della follia dei loro gesti, non si rimargineranno mai.
La storia e la verità
La testimonianza di Ricci è anche un monito contro la retorica e la negazione della storia. «Finora abbiamo parlato di guerra civile, di lotta armata, ma non è così. I terroristi credevano in un ideale, un ideale di giustizia sociale e uguaglianza, ma hanno scelto la via delle armi. Hanno sbagliato. E la cosa più importante è che oggi, proprio loro, lo ammettano». Giovanni Ricci collabora con ex brigatisti come Franco Bonisoli e Adriana Farano per portare la loro testimonianza nelle scuole e tra i giovani. Come avvenuto a Senigallia, nell’ambito di DestateLaFesta, un momento dei giovani, dedicato ai giovani ma con iniziative di ampio respiro come quella del 16 agosto che rimarrà certo impressa in chi vuole andare oltre l’odio e oltre la giustizia penale, verso una giustizia “liberante”.
La foto di Giovanni Ricci a Senigallia è stata scattata da Christian Papo.
Segui La Voce Misena sui canali social Facebook, Instagram, X e Telegram.