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Mafie e pace, don Luigi Ciotti a Senigallia: «Lamentarsi non serve, ognuno sia responsabile»

La manifestazione di Libera a Trapani, 21 marzo 2025

Un appello forte e chiaro a non abbassare la guardia, data una presenza criminale che si fa sempre più silenziosa, ma che al contempo si rafforza. È questo il monito lanciato da don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, che è intervenuto nei giorni scorsi all’incontro “Giustizia Liberante. Il disarmo del cuore come cammino di pace”, tenutosi a Senigallia nell’ambito di Destate La Festa 2025. L’intervista, curata da Laura Mandolini, è andata in onda nei giorni scorsi su Radio Duomo Senigallia (95.2 FM); potrete però riascoltarla nel file audio che accompagna questo articolo cliccando sul tasto play del lettore multimediale.

La mafia ‘normalizzata’

Per il noto sacerdote e attivista, l’attenzione nei confronti della criminalità organizzata si è pericolosamente affievolita nel nostro paese. «Siamo passati dalla percezione del crimine organizzato mafioso a qualcosa di normalizzato. È diventato una delle tante cose, così come la droga, il gioco d’azzardo, l’ecomafia, l’agromafia e l’usura». Da qui la necessità di una profonda riflessione. Le mafie si sono evolute: «Fanno meno rumore, ma sono molto più forti». La loro presenza si è estesa in particolare al nord Italia, dove si concentrano affari e poteri economici e finanziari. Ma «non c’è regione d’Italia che si possa considerare esente» dal fenomeno mafioso.

La sfida culturale

La lotta alla mafia è una battaglia secolare. Il fondatore di Libera ha evidenziato come la sola azione repressiva non sia più sufficiente. Sebbene il lavoro di magistrati, forze dell’ordine e altre istituzioni sia fondamentale, la minaccia criminale persiste perché non viene estirpata alla radice. E per farlo, ha spiegato don Ciotti, «ci vuole un grande impegno culturale, educativo e di politiche sociali». Le due dimensioni, quella repressiva e quella sociale,  devono essere parallele. «Se questa società non investe su ciò che ci indica la nostra Costituzione, che io ritengo sia veramente il primo testo antimafia, le cose non sono assolutamente sufficienti». 

Il pericolo della delega

Secondo don Ciotti, uno dei mali più pericolosi del nostro tempo è la delega: l’idea che spetti sempre agli altri, in particolare alle istituzioni, agire per il cambiamento. «Le istituzioni fanno la loro parte, e noi come cittadini siamo chiamati a fare la nostra parte», ha ammonito. La responsabilità è di tutti e il cambiamento ha bisogno del contributo di ciascuno. «Lamentarsi non serve a niente», dice criticando l’atteggiamento di chi non fa nulla ma giudica gli altri: «Abbiamo bisogno di persone che si assumano la loro parte di responsabilità».

Le mafie nella guerra

In un mondo segnato da violenza e conflitti, la storia ci insegna che le mafie prosperano nei territori di guerra. Lì trovano terreno fertile per i loro affari: dai traffici di armi al reclutamento di persone disperate. «Nei territori di conflitti e di guerre le mafie sono sempre arrivate» ha detto, aggiungendo che: «È preoccupante che mentre il conflitto in Ucraina non è ancora risolto, si tengano già grandi incontri per parlare della ricostruzione e degli affari che ne deriveranno». Lo stesso vale per Gaza dove è di poche settimane fa l’annuncio di un piano statunitense di ricostruire il territorio trasformandolo in una riviera del medioriente, a ‘guida’ americana.

Malati di pace

Per contrastare la criminalità e la violenza è essenziale dunque impegnarsi in una battaglia che parte dalla conoscenza per generare consapevolezza e conduca a scegliere da che parte stare. Non bastano le emozioni, perché «passano». Serve un’azione concreta, una continua mobilitazione che si traduca in un continuo impegno per la pace. Infine, un richiamo alla figura di don Tonino Bello: la necessità di «essere malati di pace» e di non guarire mai da questa patologia. Un percorso che inizia nei nostri comportamenti, nei nostri linguaggi e nelle nostre relazioni, «dentro i nostri territori, dentro le nostre parrocchie, dentro le nostre case» ha concluso don Luigi Ciotti.

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