E se il ponte Garibaldi fosse ciclopedonale? Che vantaggi per la città? L’INTERVISTA

Il rifacimento di ponte Garibaldi è da considerarsi una scommessa persa per la comunità oppure un’opportunità da cogliere al volo per ripensare la città di domani? Siamo partiti da questa domanda per un’intervista all’architetto Mario Gentili di Senigallia che ha proposto un interessante contributo al dibattito pubblico che si sta tenendo da settimane. Alcuni ritengono che ormai tutto sia perduto date le dichiarazioni dell’assessore regionale Aguzzi; altri invece chiedono di accelerare i tempi pur riconoscendo che l’infrastruttura, così com’è pensata, sia brutta e impattante. Ma tra queste posizioni c’è anche chi propone una visione alternativa di città, dove le auto hanno meno centralità per far posto ai mezzi di trasporto pubblico e di mobilità sostenibile, come le biciclette. L’intervista, in onda lunedì 3 e martedì 4 febbraio alle ore 13:10 e alle ore 20, andrà in replica anche domenica 9 alle 16:50, sempre su Radio Duomo Senigallia (95.2 FM), ma è disponibile anche qui in questo articolo assieme a un estratto della chiacchierata.
Al di là dei gusti personali, qual è il suo giudizio su questo progetto?
I criteri oggettivi sono legati all’impatto architettonico che questa struttura ha sulla città. Mi riferisco ovviamente alle rampe carrabili che devono avere una certa pendenza, lunghezza e larghezza, devono superare il franco di un metro e mezzo e questo comporta un ingombro, una massa volumetrica che in quella zona davanti ad un complesso monumentale come i portici diventa veramente dannoso per l’immagine della città. Il ponte in sé, che sia in ferro o legno, cambia poco, è evidente che una struttura di quel tipo che è alta 10 metri nella parte sommitale dell’arco rispetto alla quota stradale è di grande impatto. Il fatto è che non c’è stata una riflessione critica su questo, c’è stato in qualche modo presentato un progetto che poi ha avuto il suo corso senza un minimo di, come posso dire, di confronto, di critica, è stato accettato supinamente in qualche modo.
C’è un’ipotesi, progetto, soluzione alternativa? Hanno ragione i cittadini che chiedevano il ritiro del progetto oppure se c’è da sostenere la tesi delle istituzioni per cui questa era un po’ l’unica possibile?
Si possono pensare anche altri oggetti, ma bisogna avere prima di tutto una visione sulla città, cioè capire che città vogliamo. Il trend europeo, ma non solo, è rendere la città più sana, più vivibile, più accogliente, senza macchine, senza smog, non in maniera ortodossa o assolutistica, però è questo l’obiettivo, è questo il futuro delle città e quindi il ponte non deve essere carrabile, almeno su quel lato lì non deve essere carrabile, perché strutture di questo tipo sono estremamente invasive.
In un recente intervento ha ribadito, cito testualmente, come “non sia giusto rassegnarsi alla logica dell’urgenza e della cieca conformità alle normative”. Che cosa intende?
E’ un po’ il dramma di questo periodo, cioè la politica in generale cerca di risolvere le urgenze rinunciando ad avere una visione lungimirante. La norma ci ha distrutto il panorama architettonico italiano e non parlo solo di Senigallia: tante città si trovano in una condizione in cui la politica del fare, chiamiamola così, molto spesso cozza con quella che è invece una visione più generale. Cioè devi risolvere il problema contingente e perdi di vista quello che è l’obiettivo futuro, quello che tu vuoi in realtà.
Per esempio i martinetti non potrebbero essere utilizzati per ottenere quel franco idraulico, però se venissero realizzate delle vasche di espansione a monte si potrebbe abbassare la quota e questo che lei diceva?
Esattamente. Proprio per non cadere nello stesso errore del ponte, cioè le vasche di espansione devono essere inserite in un programma di realizzazione di parchi fluviali. Allora le vasche di espansione, non so più un’opera di ingegneria e architettura del paesaggio, allora tu immaginati la vallata come susseguirsi di parchi, di boschi, di laghetti artificiali che poi si allagano e tu ne devi tener conto nella progettazione che si allagheranno. Però pensa che immagine bella può essere percorrere la vallata dove ci sono cinque vasche di espansione, cinque parchi continui, collegati, cioè è immaginare un paesaggio diverso e non risolvere soltanto il problema contingente, inserirlo in una visione, chiamiamola così, di paesaggio più ampia.
Quindi stiamo scegliendo praticamente la città del domani?
Io spero di sì. Questo mio intervento vuole gettare proprio un seme in questo senso. Ovviamente non è la soluzione al problema, ma è dire “proviamo ad avere un approccio metodologico diverso. Pensiamo alla città del domani”.
Ma quali sono gli strumenti, i piccoli passi che possiamo fare per realizzare la città che vogliamo?
L’elemento strategico importante è l’area delle caserme. Sappiamo che lo stabilimento della Polizia verrà dismesso. Penso che ci siano già dei nuovi proprietari e che abbiano già avuto dei contatti con l’amministrazione. La politica deve intervenire affinché quell’area lì diventi un’area di riqualificazione per liberare comunque tutta l’area fuori le mura come approdo del ponte, l’unico ponte carrabile che io prevedo, sullo stradone Misa. Quell’area ha una capienza enorme. Potrebbe essere un centro intermodale, lì partono i bus navetta, la gente a piedi, le biciclette, e siamo in centro.
L’altra è quello dello stradone Misa: c’è la possibilità di fare due corsie, una che va verso Ancona, con pista ciclabile, e l’altra che occupa in parte quel terrapieno che c’è, una strada che sale leggermente, con una pendenza di appena il 2%, quindi elimini l’effetto rampa, e questa corsia verso Fano si riconnette poi sull’ospedale. Questo cosa permette? Permette di liberare i punti sul fiume, quelli che guardano verso i portici, e renderli tutti pedonali.
Molte persone però vogliono arrivare con l’auto sotto casa, sotto il posto di lavoro, vicino al negozio, insomma, dobbiamo cambiare mentalità?
Ovviamente ci deve essere una buona integrazione con il trasporto pubblico. Non è assolutista la mia proposta. E’ evidente che le strade del centro, riducendo la sezione, potranno essere transitate da mezzi di soccorso, da residenti, da commercianti per il carico-scarico, dalle persone con difficoltà motoria. Sta prendendo campo una nuova teoria, quella delle città del quarto d’ora, cioè in un quarto d’ora tu devi raggiungere i punti sensibili della città a piedi e le città si stanno organizzando in modo tale che, a piedi o coi mezzi pubblici elettrici, venga raggiunto questo obiettivo.
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