Settimana santa: quasi un lungo Venerdì santo di un tempo che chiede resurrezioni di pace

Quanto hanno a che fare i giorni santi che iniziano oggi, nella Domenica delle Palme, con le notizie terribili che riceviamo da ogni parte del mondo che gronda sangue senza sosta e in modo assurdo e asfissiante? Sollevate, o porte, vostri frontali ed entri il Re della Gloria! Cantiamo con le parole del Salmo 23 (24) in processione, con i rami d’ulivo, questo desiderio di armonia e giustizia. La Settimana santa è per i cristiani come la matrice di ogni altra settimana dell’anno. Un tempo specialissimo, unico, che, per intensità di preghiera e per ricchezza di Parola e segni, non ha eguali in tutto il resto dello scorrere dei giorni. Abbiamo bisogno che il nostro esistere abbia queste radicali e benefiche soluzioni di continuità; è il nostro essere uomini e non animali che non ci fa accontentare dei ritmi sempre uguali dettati dall’istinto. Noi non sopravviviamo: non ci nutriamo, dormiamo e ci riproduciamo soltanto, ma abbiamo un desiderio sconfinato di dare senso alle nostre vite. Anche i fratelli che vivono nelle tante guerre dimenticate, sotto le bombe in Ucraina o nella Striscia di Gaza, a rischio di una terribile carestia indotta dallo spietato egoismo degli uomini… Anche loro non sentono solo il bisogno di trovare viveri, acqua e il necessario per arrivare al giorno dopo… anche loro, fra le macerie di una terra martoriata dalla violenza fratricida, continuano ad amarsi e ad amare Dio rendendogli culto: ebrei, cristiani, musulmani e appartenenti ad altre religioni. Il Signore, Re dell’Universo per tutti i credenti, soffre e geme con tutti gli uomini di buona volontà che Egli ama infinitamente e chiede, con l’insistenza muta del dolore innocente, che chi ha responsabilità politica su questo pianeta la eserciti con cuore adulto, con lo stesso cuore di padre che in Lui batte per ciascuna Sua creatura. Quanto hanno a che fare i giorni santi che stiamo celebrando con le notizie terribili che riceviamo da ogni parte del mondo che gronda sangue senza sosta e in modo assurdo e asfissiante? Perché la famiglia umana ancora si illude che sia ponendo mano alla spada che si possa porre fine ai conflitti? Gesù lo ha detto una volta per tutte a Pietro, nel Getsemani, al momento del suo arresto, quando il suo primo discepolo, reagendo di impulso, tagliò l’orecchio al servo del sommo sacerdote. Quale mente onesta può ancora negare, a questo punto della storia dell’umanità, che violenza porti sempre altra violenza e che solo il perdono incondizionato ha il potere di interrompere le spirali di morte che alimentiamo con le strutture di peccato da noi stessi costruite? Quanto è auspicabile che le famiglie del mondo ritornino in sé stesse in questi giorni così particolari e riescano, con la forza della loro preghiera, a intercedere, nel profondo, per la pace. Una pace che nasce, appunto, nelle coscienze e nei cuori, per espandersi fra le pareti delle nostre abitazioni e poi uscire per le città.
C’è sempre più bisogno di fare nostre – pur col realismo di questi tempi complicati – le parole della lode cosmica iscritta nel Salmo 148: “I re della terra e i popoli tutti, i governanti e i giudici della terra, i giovani e le ragazze, i vecchi insieme ai bambini lodino il nome del Signore: perché solo il suo nome è sublime, la sua gloria risplende sulla terra e nei cieli”. E, così, ogni ferita divenga feritoia di luce, ogni dolore fonte di gioia, ogni morte, via per la vita eterna.
Giovanni M. Capetta
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