La storia vista da vicino: il ‘Viaggio della memoria’ da Senigallia ad Auschwitz

La lezione è andata persa. Se devi giustificarti perché ‘ancora vai ad Auschwitz?’, c’è poco da sperare. Ancora con questa storia, mentre nel mondo succede quel che succede?
Venti senigalliesi e qualcuno da paesi limitrofi hanno accolto l’invito del Comitato ‘Giorno della memoria’ di Senigallia e si sono imbarcati su un volo verso Cracovia, in Polonia, la scorsa settimana. Sono partiti perché c’è stata quella storia, unica ed irripetibile e universale al contempo. Quella storia da toccare con mano, sulla quale spalancare gli occhi increduli laddove è accaduta. Nella nostra storia europea, in quella italiana mai affrontata del tutto. Quella storia!
Andare ad Auschwitz – Birkenau, di questi tempi, può avere qualcosa di sovversivo.
Gli ‘scherzi’ degli accadimenti, nella sintesi di una disumana proprietà transitiva sposata da tanti, tantissimi, rendono le vittime per eccellenza, gli ebrei, tutti carnefici. Ed Auschwitz – Birkenau sfuma nella pagina sbiadita di una memoria resa afona, senza quasi più l’onore del primato dell’abisso. Volti, vite, corpi, sogni uccisi anche nel ricordo. Nemmeno le celebrazioni di gennaio hanno lo stesso colore, roba passata se non inutile: c’è l’oggi, più violento che mai, che tacita ogni sussulto di empatia per ciò che è stato. C’è l’oggi straziante che chiede attenzione. È un lusso da intellettuali privilegiati voltarsi indietro, proprio mentre lo strazio di vite ancora calpestate e distrutte chiede mobilitazioni, denunce, condanne. Nuove vittime e nuovi aguzzini che fanno concorrenza a quelli di allora.
L’immenso silenzio di Birkenau parla, continua invece a gridare forte. Fa spazio a tutti. Qui trovano casa, stretti tra il filo spinato e le costruzioni ancora rimaste in piedi, i violati di sempre, gli schiavizzati, quelli di cui non ci siamo mai interessati e quelli scritti sui manuali; i condannati innocenti, i giustiziati dall’ingiustizia. Si guardano e si riconoscono nei segni della persecuzione, nel grido soffocato di perché senza risposta. Ancora increduli dell’indifferenza colpevole, di un vicino di casa diventato assassino; straniti dalla bramosia vorace di potere, dall’ossessione della conquista di terre e di annientamento di ogni alterità. Lacrime di promesse disattese, fremiti di paure, il disgusto per dignità calpestate.
Tecnologie assassine, cataste di cadaveri, ruberie fatte a sistema; il lavoro schiavo utile ai forzieri di imprese dai loghi tuttora attivi. Vita e morte decise a tavolino, mediocri in carriera, sordide complicità subito rinnegate, una volta finita la festa. Tutto e tutti qui dentro, centrifugati nella più rodata ed efficiente fabbrica di morte della storia contemporanea. Le filiali di oggi, ad ogni latitudine, possono ancora apprendere da qui, forse è questa la lezione più riuscita. Del resto, nei secoli, gli uomini hanno collaudato con impegno più di un metodo per innescare distruzioni di ogni tipo.

Nella paradossale dolcezza di una serata d’estate, anche in un luogo fatto così, torna la voce di Emanuele Fiano, figlio del sopravvissuto Nedo e autore del libro ‘Sempre con me. Le lezioni della Shoah”. Lo avevamo incontrato a fine maggio nella sinagoga di Senigallia per un di più di conoscenza in vista di questo viaggio: “Il mio cruccio – disse attingendo a pagine del suo bellissimo libro – come avrete capito, non è solo quello di raccontarlo il male, quanto di capirne la genesi, di analizzare come mai scoppiò in alcuni un’irrefrenabile frenesia di farlo il male, di commetterlo, di esserne parte, come mai prima nella loro vita. Fare parte di una comunità che viveva del male fatto ad altri. Come questo fu possibile, come è stato altre volte possibile. Come potrebbe essere di nuovo possibile». La sua emozionante testimonianza tornava potente tra i calcinacci di quanto resta del crematorio a Birkenau, di fronte alle migliaia di scarpe appartenute ai deportati e racchiuse nelle teche di Auschwitz I, nello squallore delle baracche della sezione femminile del lager, così intatte e strazianti da sembrare abitate fino a poco tempo fa.
C’è da stare all’erta, c’è da evitare facili scorciatoie. Fiano insiste: «Essere democratici è faticoso e complicato»; vivere la democrazia «significa fare i conti con la complessità, con la difficoltà a volte di dare risposte che non ci sono subito, se usi la razionalità, vuol dire permettere a ognuno spazi di decisione e partecipazione. Tocca a noi. Per sempre».
Laura Mandolini
Segui La Voce Misena sui canali social Facebook, Instagram, X e Telegram.