Preghiere a Maria, tra lode e fiducia

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Perugino – Madonna col Bambino e SantiPinacoteca diocesana di Senigallia

Don Andrea Franceschini ci accompagna attraverso le tradizionali parole della devozione mariana. Per scorgerne la spiritualità più profonda.

“I fiori sono apparsi nei campi”. È un versetto della Bibbia, dal Cantico dei Cantici, che per intero recita così: “Àlzati, amica mia,mia bella, e vieni, presto! Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato”.

Arriva il mese di maggio, tradizionalmente dedicato a Maria e al Rosario. Invocare la Madre di Dioè un desiderio antichissimo del popolo cristiano. Un papiro ritrovato ad Alessandria d’Egitto risalente al III secolo, al tempo delle persecuzioni dell’imperatore Decio, ci riporta la più antica preghiera mariana conosciuta: «Sotto la tua misericordia ci rifugiamo Madre di Dio. Non disprezzare le nostre suppliche nella prova, ma liberaci dal pericolo, sola santa e sola benedetta».

Guardare a Maria nella prova ha origine nel Vangelo stesso. Sulla croce Gesù “affida” a Maria Giovanni e chiede aldiscepolo amato a sua volta di affidarsi a lei. Già alle nozze di Cana, in principio, Gesù aveva capito che sua madre era una donna particolare, attenta a custodire le nostre gioie più squisitamente terrene. Da allora i credenti, attraverso gli occhi del Figlio, hanno compreso che Maria si sarebbe sempre data da fare perché le piccole e grandi preoccupazioni della terra – quelle della casa, dei figli, della famiglia, della salute, del cibo come del vestito, delle feste – venissero inabitate dalla grazia ed avessero sempre spazio nel grande disegno della salvezza.

L’Ave Maria dunque si strutturò nei secoli come convergenza delle parole evangeliche con l’intuito di fede del popolo di Dio. Dopo il mille, quando si promosse l’evangelizzazione delle zone rurali ci si accorse che i 150 salmi, che erano l’ossatura della preghiera monastica, non erano adatti né al popolo né ai ritmi della vita laicale. Allora di sostituirono i 150 salmi con altrettante Ave Maria permeandolecon l’enunciazione dei misteri della vita di Cristo.

Maggio viene da magis, cioè di più. Il creato fiorisce in tutta la sua bellezza, ed ecco allora che lo sguardo di fede si orienta quasi automaticamente su Maria, il “di più” della creazione. La rosa dà il nome alla corona di lode che consiste nel ripetere decine e decine di volte le parole dell’Angelo: lo stupore del cielo che vede fiorire il grembo di Maria – grembo del creato – della prima perla dell’Amore fatto carne, diventa l’invocazione perché quella meraviglia continui a pervaderci ed a riempire il creato. Le Litanie approfondiscano lo sguardo e diventano un riassunto delle virtù bibliche.

Come un giovane ripete senza soste “ti amo” alla sua amata e poi la chiama con ogni nome di bellezza del creato (fiori, stelle…) così il cristiano dopo le ‘ave maria’ enuncia in lei la bellezza della vita nuova che è fedeltà, speranza, purezza, grazia, sapienza, misericordia.

La Salve Regina, tenera ed austera, è incastonata in questo canto. “Gementi e piangenti in questa valle di lacrime” ci pone sotto la croce a riversare anche noi il dolore del mondo nel grembo di misericordia del Padre che si manifesta in Maria con il volto di donna. Per questa la “dolcezza” ed il “dolce” ne diventano il sapore iniziale e finale, come un Eden ed una Terra promessa dove scorre latte e miele.

Con quali pensieri e sentimenti pregare questi “gioielli”? Con la lingua del Magnificat. Luca pone sulla bocca di Maria questa preghiera della sera – che già probabilmente circolava come inno del Vespro tra i primi cristiani – e compie una “narrazione” unica del cuore della Vergine. Tutto è grazia, tutto è dono di Dio e niente può fermare il canto di lode dei credenti ora che l’amore ha preso dimora nell’umile Maria. Lei, la più piccola tra le creature, che quando incontrava qualcuno non lo lasciava mai andare via senza averle strappato un sorriso, senza averlo fatto sentire migliore: migliore anche di sé stessa, che “era quello che era” solo per l’infinita bontà di Dio, e con tutti dunque sentiva il dolce obbligo di fare a metà del pane d’amore che teneva in grembo.

don Andrea Franceschini

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