Il Sinodo, anche qui.

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Interno della chiesa parrocchiale di Marzocca

Laici che si mettono in gioco per il Sinodo. Tra questi, Paolo Carletti, dell’Unità pastorale ‘Emmaus’ (Marzocca e Montignano) che abbiamo raggiunto per farci raccontare come questa grande mobilitazione ecclesiale raggiunge anche le nostre realtà.

Come si vive nella vostra unità pastorale il sinodo, come è stata accolta questa proposta che mobilita dal basso la chiesa?

Ad essere sinceri, nella nostra unità pastorale, sicuramente complice anche il periodo pandemico che stiamo vivendo, non c’è ancora un vero e proprio clima sinodale. Siamo appena al secondo incontro, è vero, ma non si respira ancora quel clima di attesa che ti aspetteresti. Le difficoltà ad incontrarsi sono state tante tra le aperture e chiusure che si sono succedute. Peccato perché l’accoglienza di questa proposta è stata buona. Al nostro primo incontro, avvenuto il 4 novembre scorso, c’erano oltre cinquanta partecipanti guidati da dieci facilitatori della parrocchia. Ricordo bene il clima che si è respirato, è stato un momento di grande amicizia ed apertura dove tutti si sono messi in gioco, senza temere di aprirsi e donare agli altri qualcosa di se. I piccoli gruppi evidentemente hanno funzionato ed il sistema della condivisione personale è stato accolto bene da tutti. Nel mio gruppo, in particolare, mi ha sorpreso uno dei partecipanti che, senza essere stato invitato a farlo, nel secondo incontro ha distribuito a tutti una sorta di riassunto degli interventi ascoltati, che a suo dire lo avevano colpito molto. Nel secondo incontro c’è stato un piccolo calo dei numeri, ma chi è intervenuto è sembrato davvero interessato e propenso a continuare il cammino intrapreso e questo mi lascia ben sperare.

Cosa chiedono maggiormente le persone alla parrocchia, cosa si aspettano maggiormente da una comunità cristiana?

Difficile rispondere a questa domanda. Io credo che fondamentalmente le persone chiedono occasioni, opportunità di incontrarsi, di stare insieme, aiuto nelle difficoltà. Dico questo perché poi, dopo una qualsiasi delle iniziative messe in campo nella nostra Unità pastorale, vedo sempre visi gioiosi, soddisfatti, desiderosi di ripetere l’esperienza. Siamo tanti, tutti diversi, ognuno con delle aspettative ed è per questo che la proposta deve essere il più possibile ampia. A forsa di sentirselo dire, credo che alla fine ci stiamo credendo un po’ tutti: la parrocchia è una famiglia di famiglie. Allora come in ogni famiglia, al suo interno ci sarà l’educatore, quello con il pallino per le escursioni, quello con il pollice verde e quello portato per i lavori manuali. Quello che adora i momenti conviviali della cucina e quello che è più propenso al momento spirituale. Certo è una gran fatica ma forse è proprio questo che la gente si aspetta dalla parrocchia, un angolo che lo corrisponda in cui ritrovarsi per stare bene.

Avete in programma alcune iniziative per le persone che vivono nel vostro territorio?

Sicuramente non è questo un buon momento per le iniziative che prevedono lo stare insieme, ma in vista del miglioramento della situazione sanitaria stiamo già cominciando a parlare del campo famiglie estivo. Un momento molto importante questo per la nostra Unità pastorale, che in questi ultimi anni ha certamente contribuito a consolidare amicizie e a farne fiorire di nuove. Non solo, conoscersi meglio, stare insieme, ha fatto si che persone nuove cominciassero a frequentare assiduamente la parrocchia. C’è poi l’ iniziativa “Un anziamo per amico”, un momento di vicinanza alle persone anziane che si è bloccato con l’inizio della pandemia e che non vede l’ora di riaprire le attività. Le iniziative che invece non hanno avuto flessioni, ma che al contrario si sono consolidate, sono sicuramente quelle benefiche, segno evidente di un’ attenzione ai meno fortunati. Alle varie raccolte cibo ed ai versamenti della social caritas le persone hanno risposto molto generosamente. Nel nostro territorio poi ci sono un paio di esercizi pubblici che si sono offerti di donare alla parrocchia l’invenduto alimentare del giorno. A turno, un gruppo di volontari raccoglie il cibo e lo consegna alle famiglie bisognose del luogo.

Cosa vi aspettate dal sinodo, quali cambiamenti più urgenti dovrebbe vivere la chiesa cattolica?

Ancora una volta papa Francesco mi ha stupito con la sua umiltà. Perché cos’è il sinodo se non un profondo atto di umiltà della chiesa? In un momento di evidente difficoltà viene chiesto aiuto dal basso. Proprio così, anche a me che sono “uno di questi piccoli”. Questo mi aspetto quindi, che tutti capiscano a fondo la grande opportunità che ci viene data e l’importanza di far sentire la propria voce. Non so dove il cammino sinodale ci porterà, non so cosa emergerà e dove il popolo di Dio chiederà di andare. Quello che sento forte in questo momento però è il desiderio mio e di tutti di una svolta, di un cambiamento. Basta con la nostalgia per il passato, per quando le chiese erano piene. E soprattutto basta con ‘abbiamo fatto sempre così’. Nessuno ha la ricetta in tasca e per questo credo che l’ unica soluzione sia sperimentare nuove vie. Ieri sera a messa, l’anziano sacerdote che sostituiva il nostro parroco e celebrava, ha detto: fra dieci anni in diocesi rimarrano trenta sacerdoti. Spero che una previsione così pessimistica non si realizzi ma è sotto gli occhi di tutti in ogni caso che il numero dei sacerdoti è in continua diminuzione. Una delle nuove vie da sperimentare secondo me quindi, è una maggiore apertura ai laici, ed in particolare sempre più alle donne. Credo che siano passati quindici anni o più da quando in un consiglio pastorale per la prima volta ho sentito parlare del tema proposto da Enzo Bianchi “comunione e corresponsabilità”. Credo che da allora di strada in quella direzione se ne sia fatta ben poca.

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