La scuola dopo due anni di covid, tra incertezze e risorse da scovare

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Stefania Sbriscia, senigalliese, è direttrice didattica in un comune alle porte di Padova. Gli anni del Covid visti da lì. E questa è l’intervista per trovare luci e ombre di un sistema, quello scolastico, che ha faticato non poco, oltre la paura, oltre le resistenze alle chiusure.

Scuola e pandemia: cosa ha svelato di ‘buono’, quali invece le fatiche strutturali più evidenti? 
Nessuno poteva immaginare che da quel sabato 22 febbraio 2020 di pre-carnevale ci saremmo rivisti in presenza ben sette mesi dopo! E che ad attenderci in quei giorni non ci sarebbero state le maschere ed i coriandoli, ma le mascherine chirurgiche e soprattutto lunghe settimane di chiusura in casa. È chiaro che le fatiche si sono da subito manifestate in tutta la loro intensità: potersi trovare e comunicare solo tramite uno schermo con connessioni traballanti, per un mondo come quello della scuola fatto di spazi, strumenti e incontri ravvicinati è stato – e lo è tuttora – una dimensione troppo riduttiva e alienante. La formazione, in particolare quella dei bambini e dei ragazzi, ha bisogno di sorrisi incoraggianti, di abbracci rassicuranti e di sguardi benevoli o severi. Ricordo di aver trascorso il primo mese di lockdown a cercare gli alunni “spariti”, una quarantina circa, completamente silenti nei vari canali comunicativi attivati.
Ma ecco il lato “buono” svelato dalla pandemia: la scuola si è dimostrata comunità, attenta ai singoli componenti e impegnata ad affrontare insieme le fatiche e le chiusure obbligate. Segreteria e insegnanti si sono trasformati all’istante in “smartworkers” nel duplice significato di persone che lavorano non più in un ufficio o in un’aula scolastica ma nel proprio appartamento e riescono a condurre il lavoro in maniera intelligente, cioè essenziale ed efficace. Grazie alle sinergie create con ente locale e famiglie, siamo riusciti a rintracciare tutti gli alunni dispersi, ad assegnare alle famiglie disagiate o con più figli a casa notebook in comodato d’uso gratuito. Encomiabili i docenti che da subito si sono iscritti ad infiniti webinar per imparare ad utilizzare piattaforme, software e realizzare così quella didattica digitale da anni ipotizzata. La “scuola al tempo della Dad” si è fatta dunque trovare come comunità umana e professionale da chi avrebbe rischiato il completo isolamento e disorientamento proprio in quella fase della vita in cui servono relazioni significative e punti fermi. 

Studenti, docenti, personale e famiglie: è cambiato qualcosa in loro e tra loro? Certamente con la pandemia siamo tutti un po’ cambiati, nel senso che abbiamo dovuto “fare i conti” con una realtà improvvisa e inedita, drammatica per molti, difficile per tutti. Ciascuno ha dovuto rintracciare dentro di sé le risorse più profonde per dare un senso a ciò che capitava e per “aggiornare” le proprie certezze e consuetudini, ma anche digerire limiti e paure. La scuola, proprio perché abitata da moltitudini variegate, ha evitato il black out quando ha saputo farsi comunità…

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