Suor Luigina Buti: missionaria della diocesi di Senigallia, da quasi cinquant’anni in Giappone

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Il mondo cambia in fretta, il modo di vivere la spiritualità anche. Pensarsi missionari come cento anni fa, o forse basterebbe dire, come qualche decennio fa, è fuorviante ed inutile. Suor Luigina Buti tutto ciò lo sperimenta praticamente da sempre. Vivere in un Paese così particolare, il Giappone, ha reso la sua vocazione una missione di prossimità, nella dimensione più quotidiana.

È tornata, dopo cinque anni, a fare visita alla sua famiglia. Originaria di Vaccarile di Ostra, è una umile e tenace missionaria canossiana che vive nell’arcipelago asiatico da 49 anni. Il Sol Levante è stata la sua prima ed unica terra di missione e ci sta proprio bene. “Quando i miei superiori mi hanno comunicato che sarei dovuta andare in Giappone ne sono stata molto felice”. Parlano di quella terra i suoi modi, così misurati, eleganti, così come il suo esprimersi a voce bassa, l’ascolto attento e mai prevaricante. Verrebbe da dire che anche i suoi occhi, nel tempo, guardano all’orientale, sottili e discreti, vivaci ed attenti.

“Ho dedicato oltre quarantadue anni all’attività della nostra scuola – ci racconta quando l’incontriamo a casa di sua sorella, a Marina di Montemarciano – con ragazze e ragazzi dai 12 ai 18 anni, in pratica le nostre scuole medie e superiori. Da quattro anni sono in pensione e posso dedicarmi ad altri servizi, soprattutto in parrocchia. Ultimamente ho preparato per la Cresima tre ragazzi, in parrocchia abbiamo l’asilo e insegno la lingua inglese ai bambini, mi attivo per altre piccole attività, quello di cui c’è bisogno”.

È rimasta nell’isola meridionale di Kyushu, ma dopo la pensione si è spostata nella città di Omuta, luogo in cui si insediò la prima comunità canossiana, 70 anni fa. “I cattolici sono pochi, ma la comunità cristiana è vivace. Gli anni delle restrizioni dovute alla pandemia sono stati pesanti e hanno rallentato tante attività pastorali e di socializzazione, non è facile riprenderle”. Ma, come spesso accade, dare la colpa per ogni cosa al Covid non la convince. “Anche il Giappone, essendo una società sviluppata e benestante, vive una progressiva secolarizzazione che ormai da tempo allontana tanti dalla pratica religiosa. Questo però non ci abbatte, perché ci fa vivere con più autenticità la bellezza di una presenza come la nostra, che è sostanzialmente di testimonianza e di servizio”.

La sua comunità religiosa è formata da nove sorelle di quattro nazionalità. Lei è l’unica italiana, poi ci sono un’inglese, un’indonesiana e sei giapponesi. Sparse in 32 nazioni, le suore canossiane sono circa 3000. “Qui siamo sempre state accolte molto bene, ci sentiamo parte del nostro ambiente e abbiamo scelto di portare il vestito religioso (in altre nazioni non è così) perché per i giapponesi la divisa è qualcosa di significativo. Ci vedono e ci riconoscono, gioiscono della nostra presenza e il nostro stare qui è condividere la vita quotidiana con queste persone”. È uno stile che ha imparato da tempo, facendosi ispirare da grandi maestri e uomini di fede. “Ho particolarmente nel cuore la figura di don Divo Barsotti: venni chiamata a fare una testimonianza per la sua beatificazione poiché aveva predicato agli esercizi spirituali in occasione dei miei voti perpetui. Ero giovanissima, avevo 27 anni, di lì a poco sarei partita per il Giappone. In quell’occasione mi disse che proprio il Giappone era il luogo in cui avrebbe sognato di andare, non per fare attività o chissà quale evangelizzazione, ma per essere semplice presenza, per fare vita contemplativa. Questa eredità l’ho custodita e mi ha accompagnata fino ad oggi. Del resto è lo stesso San Paolo a dire ‘Non sono mandato a battezzare, ma ad annunciare”.

Il Giappone ospita diverse confessioni religiose e non mancano occasioni per vivere belle esperienze di dialogo e impegno interreligioso, ambito in cui sono particolarmente attivi i missionari saveriani.

Inevitabile chiederle che Italia e Europa trova, ogni volta che rientra a casa: “Sento dire che le parrocchie sono mezze vuote, in altri casi forse c’è un po’ più di vivacità. Di sicuro la Chiesa vive in un cambiamento d’epoca, come ci ricorda il Papa ed è un tempo che solleva tante domande. Ma sono convinta che il valore della testimonianza resti fondamentale, è prezioso per tutti. Mi colpisce in Italia quando sento dire ‘tanto, tutti fanno così!’. Ma il cristiano è una persona che deve andare contro corrente, abbiamo una vita da vivere secondo il Vangelo di Gesù Cristo. E quello è sempre nuovo e chiede coerenza”.

L’arcipelago vive un rigurgito di nazionalismo, le tensioni planetarie, la vicinanza della temibile Corea del Nord offrono pretesti per chi desidera un Giappone riarmato e sogna più forza per difendersi. La democrazia tiene, però anche quella nipponica è una società che fa i conti con profonde trasformazioni. “Le persone più fragili sono soprattutto i tanti immigrati giovani che arrivano da altre nazioni asiatiche (Vietnam, Filippine, Nepal…); vengono soprattutto per studiare, altri per lavorare. I vietnamiti, molto numerosi, sono cattolici e noi vorremmo aiutarli di più, ma la lingua è una barriera forte. Hanno una fede molto profonda. Gli immigrati spesso vengono sfruttati, capita che quando finiscono di studiare o non hanno più lavoro, vengano rispediti via ed alcuni rimangono in clandestinità. C’è anche una povertà giapponese, ma i poveri di casa non si fanno vedere, hanno molto pudore e anche per loro abbiamo iniziative di assistenza e distribuzione del cibo”.

Piccola comunità, quella cattolica giapponese, ma arricchita e sostenuta, nella sua storia, da donne e uomini meravigliosi: padre Massimiliano Kolbe, il martire di Auschwitz, che in questa terra ha vissuto parte del suo servizio religioso; dal 1926 il beato don Vincenzo Cimatti svolse per 40 anni in terra nipponica un’intensa attività pastorale e missionaria secondo il carisma salesiano, promosse la fondazione delle Suore di Carità di Miyazaki e allargò l’opera dei salesiani con oratori e scuole professionali. E ancora, Maria Satoko Kitahara. Figlia di famiglia benestante, discendente di samurai, trovò la sua strada servendo Dio in mezzo agli straccivendoli di Tokyo. Malata di tubercolosi, morì a soli 29 anni ed è stata dichiarata venerabile nel 2015. Ed infine Takashi Paolo Nagai, medico giapponese specializzato in radiologia che si convertì al cattolicesimo e sopravvisse al bombardamento atomico di Nagasaki. La sua successiva vita di preghiera e di servizio gli ha fatto ottenere il soprannome di “Santo di Urakami”.
Suor Luigina, nel suo Giappone, si sente ancor di più in buonissima compagnia. Nel pensare all’aereo che la riporta lì, sorride. Arigatò, sorella, grazie! Fa bene incontrarla, semplice e profumata come un ciliegio in fiore.

Laura Mandolini

Ottobre è il Mese missionario: www.cmdsenigallia.it/animare/#ottobre_missionario

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