Una domenica di festa, lo scorso 14 settembre, attorno al vescovo emerito di Senigallia, mons. Giuseppe Orlandoni. Il suo è un traguardo importante, 60 anni di sacerdozio ed in questa occasione la S. Messa delle 18.00, alla Chiesa dei Cancelli, è stata particolarmente arricchita dalla presenza di tanti sacerdoti e naturalmente del vescovo Franco.
Ordinato sacerdote l’11 settembre 1965, ha guidato la diocesi di Senigallia dall’aprile 1997 al novembre 2015. Il vescovo emerito Giuseppe ha deciso di rimanere in diocesi, residente nell’ex seminario vescovile, disponibile laddove ci sia bisogno: una presenza, la sua, preziosa che suggella il suo profondo legame con la diocesi di Senigallia.
Cinque preti festeggiano quest’anno il loro cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale. Il 1971, infatti, seppur in date diverse, era stato particolarmente ricco di vocazioni e i ‘magnifici cinque’, nel tempo, hanno saputo donare alla nostra chiesa locale una presenza significativa. Forse perché il loro essere preti è iniziato in una stagione ecclesiale particolarmente vivace, il Concilio Vaticano II era finito da poco, la stessa identità sacerdotale tradizionale era stata fortemente interpellata dalle istanze sociali. E loro, ognuno con il proprio carattere, hanno vissuto con entusiasmo i primi passi di ministero. Abbiamo incontrato don Gesualdo Purziani.
Don Gesualdo, qual è il ‘grazie’ più convinto per questi cinquanta anni di sacerdozio? Il mio ringraziamento al Signore è di avermi dato, in questi 50 anni, la possibilità di stare in mezzo alla gente, da sacerdote. E ho avuto la fortuna di vivere la mia giovinezza negli anni del Concilio, leggendo i documenti e i commenti nei quotidiani di allora. Erano tempi difficili per la fede ma, iniziando subito nell’Acr, specialmente nei 20 anni di campiscuola, ho trovato l’interesse dei ragazzi, delle famiglie e dei parroci, creando un forte legame alle parrocchie e alla diocesi. E con tanti anni da Insegnante di Religione e con la fortuna di aver vissuto sempre a Senigallia, ho avuto l’occasione di incontrare tante persone. Cercando di fare il prete, non facendo niente di speciale.
Perché la scelta di impegnarsi nella scuola, nella comunicazione, nel cinema? Mi sono quasi trovato ‘costretto’ a portare avanti queste realtà, anche se naturalmente ho scelto con convizione di darmi da fare. Ho ripreso tutte quelle che stavano morendo e ho cercato di rianimarle, perché occasioni molto importanti di vita comunitaria. La Scuola San Vincenzo, allora con le suore vicino alle Acli, oggi in via Verdi, con una cooperativa di insegnanti per le nuove generazioni e incontro quotidiano con 100 famiglie che entrano nella nostra scuola. Il Cinema Gabbiano era chiuso. Allora con un gruppo di tecnici per molti mesi ci siamo messi a cercare il modo per riaprirlo e ci siamo riusciti. Perché il cinema è una occasione per far pensare, per vedere cose belle. E al cinema trovo tante persone che non vedo in chiesa. La Voce Misena e Radio Duomo, gli strumenti della diocesi, avevano bisogno di essere messi a nuovo. Ecco perché mi sono appassionato a queste possibilità in cui poter vivere in modo diverso, ma non meno importante, la bellezza del Vangelo.
Pellegrini su questa terra, come nei tanti viaggi: cosa portare in viaggio? I viaggi aprono la mente e il cuore. E così, cominciando con i tanti viaggi in Terrasanta, centinaia di persone hanno incontrato il Gesù storico vissuto nella sua terra e ora leggono il Vangelo con altri occhi. Ma anche nei viaggi in altri paesi si trova tanta bellezza che ci fa bene: il mondo non finisce nel sagrato delle nostre parrocchie!
Un desiderio forte per la Chiesa universale e diocesana. La Chiesa che ci propone Papa Francesco è quella che ogni giorno ci stimola a tornare alla radicalità del Vangelo. Ci siamo accorti che tante proposte, anche quelle che hanno arricchito il mio sacerdozio, non sono più proponibili allo stesso modo e allora bisogna proprio cambiare strada, trattenendo lo spirito più autentico e lasciando andare quanto invece appesantisce e non serve. Mi pare invece di vedere due estremi: una rigidità ed un bigottismo che hanno paura del mondo che cambia o dall’altra parte l’idea che tutto è inutile e quindi bisogna buttar via anche quanto ancora ha qualcosa di bello da offrire. Siamo nel tempo del cambio d’epoca, dice il papa e non è facile cambiare passo. Ma è tanto bello, quasi come il tempo del dopo Concilio nel quale è iniziata la mia esperienza sacerdotale, insieme ai miei amici che con me festeggiano questo bel traguardo.
Don Domenico, qual è il ‘grazie’ più convinto per questi cinquanta anni di sacerdozio? In questo momento della mia vita penso che i ringraziamenti da fare sono tanti. Prima di tutto al Signore per la chiamata al sacerdozio e con Lui alla Vergine Santissima per la sua materna vicinanza in questo percorso di vita e di ministero. Ai superiori e alla comunità sacerdotale. Ai familiari. Ai miei preziosi collaboratori in Curia. A tutte le comunità parrocchiali nelle quali ho svolto il mio ministero, le quali mi hanno accolto sempre con tanta disponibilità.
Ci sono luoghi o opere d’arte che più hanno ispirato questo ministero? Mi viene in mente l’invito che San Francesco ha avuto dal Signore “Va e ripara la mia chiesa”. Nel mio andare nelle varie parrocchie (Mondolfo, Stacciola, Senigallia: Porto e San Silvestro) ho sempre dovuto sistemare le chiese. Questo mi ha sempre stimolato a cercare di portare alle comunità dove ho vissuto il mio servizio sacerdotale, non solo un degno luogo di culto, ma soprattutto un aiuto per conoscere il Vangelo per farle crescere nella fede e nella carità.
Cosa significa prendersi cura dei ‘conti’ della diocesi, cosa insegna questo servizio? Il mio lungo impegno di Economo della diocesi non è stato tanto per far tornare i conti, perché, a differenza di quello che si sente dire che la chiesa è ricca, la nostra Diocesi, se dovesse essere classificata, sarebbe, per fortuna, classificata come una chiesa povera, come ci insegna continuamente Papa Francesco, attenta in modo particolare ai più bisognosi. L’incarico vero dell’Economo della Diocesi è soprattutto di essere supporto alle parrocchie e ai loro sacerdoti, per aiutarli ad affrontare le problematiche economiche, burocratiche e strutturali cheimmancabilmentesipresentanoeche, spesso, sono tante e complicate. In questi lunghi 26 anni spero di aver fatto, anche se con i miei limiti, ma soprattutto con l’aiutodiDio,unutileservizioallacomunità diocesana. Certo devo ringraziare, per la loro fiducia che mi hanno dimostrato, i tre vescovi che ho avuto nel mio cammino e tutti i sacerdoti che hanno certamente avuto pazienza e comprensione nei miei confronti.
UndesiderioforteperlaChiesauniversale e diocesana… Il mio auspicio è che la Chiesa continui ad essere sempre presente, nelle vicende del mondo,conilsuoinsegnamento come riferimento sicuro e portatore di verità per il bene dell’umanità, anche se non sempre il suo messaggio, che scaturisce dal Vangelo è accolto e ascoltato. Un augurio a tutti coloro che si impegnano per il Vangelo nella nostra diocesi perché a nessuno venga meno il coraggio di una fede vissuta e della testimonianza.
Cinque preti festeggiano quest’anno il loro cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale. Il 1971, infatti, seppur in date diverse, era stato particolarmente ricco di vocazioni e i ‘magnifici cinque’, nel tempo, hanno saputo donare alla nostra chiesa locale una presenza significativa. Forse perché il loro essere preti è iniziato in una stagione ecclesiale particolarmente vivace, il Concilio Vaticano II era finito da poco, la stessa identità sacerdotale tradizionale era stata fortemente interpellata dalle istanze sociali. E loro, ognuno con il proprio carattere, hanno vissuto con entusiasmo i primi passi di ministero. Abbiamo incontrato don Giancarlo Giuliani.
Don Giancarlo, qual è il ‘grazie’ più convinto per questi cinquanta anni di sacerdozio?
Dopo cinquant’anni di servizio presbiterale i grazie convinti sono veramente tanti: a Dio ed alla Chiesa ed ai suoi pastori; alla mia famiglia, genitori e fratelli con tutta la coorte di nipoti ed anche pronipoti che sempre mi hanno sostenuto discretamente; a tutte le comunità in cui ho prestato servizio, fatte di persone concrete con nomi, volti e sorrisi. Ma il ringraziamento speciale lo voglio dare ai miei confratelli preti, compresi quelli di cui non ho condiviso opinioni e scelte. Ma sono stati la squadra con cui ho giocato la partita della vita intera, la costruzione del Regno di Dio a Senigallia e dintorni. Ma fra di essi in modo speciale e convinto a quel piccolo gruppo che, ispirato alla spiritualità di San Charles de Foucauld, ha saputo ritrovarsi per cinquant’anni, settimanalmente, attorno alla Parola di Dio, con cui confrontare la vita e l’azione pastorale. In questi ultimi anni ci incontravamo all’Opera Pia dove alcuni erano ospiti,iversi ci seguivano ormai dal cielo. Ha chiuso i nostri incontri il Covid. è stato un cammino sulla Parola, sulla essenzialità, sulla concretezza di Nazareth, sull’amore ai poveri e agli ultimi, sulla fraternità universale. Per far comprenderne l’incisività: su una decina di preti che partecipavano, quattro sono stati preti operai e tre siamo stati in missione, tutti sul fronte attivo della pastorale vicina alle persone.
Tanti tasselli pastorali, tra piccoli centri, grandi parrocchie, diocesi e mondo: qual è il filo rosso? Questa domanda per me è facile: la Parola di Dio. Sull’onda del dopo Concilio insieme a tanti ho condiviso l’essenzialità della Parola che illumina, riscalda e conduce. Perché Dio ha scelto di darci e di essere la Parola. La parola costruisce la conoscenza e la libertà; non dà regole esterne ma suggerisce dall’interno le scelte di vita. Solo una comunità che ascolta direttamente e cerca di comprendere la parola può essere veramente adulta. E questo è il tempo. In tutte le comunità ho sempre cercato occasioni e modi per leggere insieme la Parola: le letture della liturgia domenicale,il cammino delle Comunità di Ascolto, la lettura continuata di libri della Bibbia, la conoscenza dei personaggi evangelici minori; modalità e tecniche diverse con l’unico intento di assaporare e nutrirsi della Parola. Ed è per portarla “fino ai confini del mondo” che ho chiesto di dedicarequalche anno di ministero alla missione apostolica in Burundi.
Un impegno intenso tra le fragilità umane (Caritas ed ospedale): cosa insegna? L’insegnamento evangelico, la prospettiva del Concilio Ecumenico Vaticano II e Charles de Foucauld fratello universale mi hanno sempre spinto verso l’attenzione agli ultimi ed ai poveri. In quest’ultima parte di vita, me ne è stato affidato l’incarico pastorale: da dieci anni in Caritas e da cinque ad accompagnare il ministero del cappellano dell’Ospedale. Servizio intenso e coinvolgente per permettere alla chiesa di essere vicina a chi soffre. Come ha fatto Gesù. Anche se ora le regole anti – Covid non ci permettono di visitare quotidianamente i malati in Ospedale, rimane sempre un servizio speciale di prossimità. La nostra Caritas diocesana, comprendendo in questo anche le Caritas parrocchiali, svolge un’opera veramente straordinaria: l’assistenza a tante persone e famiglie; l’accoglienza breve o prolungata nel tempo; il lavoro offerto attraverso la Cooperativa Undicesimaora, soprattutto nella Falegnameria e negli Orti Solidali; Casa Stella con le famiglie ospitate; il magazzino Rikrea con la possibilità di riciclare cose e ricostruire persone. Il mio servizio in Caritas è soprattutto quello di accompagnare gli operatori ed i volontari e mi permette di constatare quante belle persone si mettono con professionalità e passione a servizio degli altri. è una ricchezza grande e bella della nostra comunità. In questi tempi difficili per la Chiesa che deve trovare nuovi modi di evangelizzazione, la solidarietà permette di coinvolgere persone e gruppi in una testimonianza evangelica che realizza l’invito di Gesù allo scriba di imitare il samaritano: “ Va’ e anche tu fa’ lo stesso!”
Un desiderio forte per la Chiesa universale e diocesana… Questo piccolo gruppo che celebra il cinquantesimo di presbiterato ha iniziato il suo ministero dando corpo alle istanze del Concilio; ora ad un altro snodo della vita ecclesiale io faccio l’augurio che le tante belle energie del nostro presbiterato diocesano, fatto di preti anziani, maturi e giovani sappia interpretare questo tempo. Come diceva Gesù a proposito del passaggio dalla concezione ebraica a quella cristiana del Regno di Dio: “ Ogni scriba, divenuto discepolo del regno di Dio estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”.
Cinque preti festeggiano quest’anno il loro cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale. Il 1971, infatti, seppur in date diverse, era stato particolarmente ricco di vocazioni e i ‘magnifici cinque’, nel tempo, hanno saputo donare alla nostra chiesa locale una presenza significativa. Forse perché il loro essere preti è iniziato in una stagione ecclesiale particolarmente vivace, il Concilio Vaticano II era finito da poco, la stessa identità sacerdotale tradizionale era stata fortemente interpellata dalle istanze sociali. E loro, ognuno con il proprio carattere, hanno vissuto con entusiasmo i primi passi di ministero.
Don Giordiano, qual è il ‘grazie’ più convinto per questi cinquanta anni di sacerdozio? Leggendo il vangelo di domenica 12 settembre i versetti “Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso”, rinunci a ideali di successo, di ambizioni, dipotere:“esollevilasuacroce”.Lacroce di Gesù significa accettare di perdere la propria reputazione, i propri ideali, non è un’imposizione ma una conseguenza di quanti lo vogliono seguire. Il grazie più convinto è “Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamoserviinutili.Abbiamofattoquanto dovevamo fare” è il grazie di ogni giorno per i doni ricevuti, i servizi svolti e il seme sparso.
Nel dialogo spirituale con le persone, quali domande emergono di più? Più che dialogo in questo periodo dovremo rivedere una certa ideologia dell’autonomia dell’individuo. Non per negare la giusta libertà ma per collocarla neilimitirelazionali.Dettodiversamente, la libertà possibile è solo insieme. Per difenderci dalla pandemia abbiamo imparato che bisogna procedere uniti, rispettando regole comuni. Nessuna società vive solo di diritti individuali, perché la libertà vive e prospera nelle relazioni, più salde le relazioni più solida la società. Abbiamo toccato con mano la nostra fragilitàequestacihalasciatisgomenti.
Il contatto costante con il dolore cosa insegna? Perché un prete in ospedale? Il dolore non è diminuito magari ha cambiato aspetto, anziché incolpare Dio, ora per i misfatti si incolpa l’uomo. Per cui una volta si incolpava Dio, ora si sente il bisogno di incolpare l’uomo, si cerca di addossare la colpa ad altri. L’emancipazione però da sola non risolve il problema di fondo della vita. Ma c’è bisogno anche della redenzione che ci impone un confronto con Dio, non per giudicarlo, ma per ottenere luce e forza per apprezzare la vita. La sofferenza si rivelacontinuamentebancodiprovadella fiduciainDioedellafiduciadifondodella realtà un banco di prova che sollecita decisioni. C’è chisoffrendoconcretamenteimpreca contro Dio e cade nella incredulità c’è chi invece si converte alla fede e si sente trascinareadunafiduciaradicale.
Cinque preti festeggiano quest’anno il loro cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale. Il 1971, infatti, seppur in date diverse, era stato particolarmente ricco di vocazioni e i ‘magnifici cinque’, nel tempo, hanno saputo donare alla nostra chiesa locale una presenza significativa. Forse perché il loro essere preti è iniziato in una stagione ecclesiale particolarmente vivace, il Concilio Vaticano II era finito da poco, la stessa identità sacerdotale tradizionale era stata fortemente interpellata dalle istanze sociali. E loro, ognuno con il proprio carattere, hanno vissuto con entusiasmo i primi passi di ministero. Cominciamo da don Giuseppe Bartera.
Don Giuseppe, quale è il “grazie” più convinto per questi cinquanta anni di Sacerdozio ? E’ vero in questi mesi (mio anniversario è il 24 luglio) la parola che maggiormente usciva spontaneamente dal mio cuore è “grazie”, ma non mi ero soffermato a riflettere perché emergeva sempre questa parola. Questa domanda mi provoca profondamente e rispondo: mi sono sentito amato teneramente dall’Amore del Padre e sono stato sostenuto e guidato in questi anni; un Padre paziente che mi ha accolto anche nei momenti bui e più difficili della vita. Un grazie per i Vescovi avuti, per i confratelli con cui ho condiviso con gioia il servizio pastorale ed i tanti fratelli e sorelle incontrati nelle diverse comunità (Ostra, Cassiano di Montemarciano, Belvedere Ostrense, il Portone ed infine Corinaldo, mio paese natio).
Tanti incontri accoglienti: quanto le relazioni hanno arricchito il tuo ministero? In questi 50 anni il Signore mi donato una infinità di incontri sia con giovani che con adulti, di meravigliose esperienze, incontri con movimenti Comunione e Liberazone, Cammino Neocatecumenale, Rinnovamento nello Spirito…..) che hanno arricchito la mia vita spirituale e la mia maturazione umana. Certamente a vivere questo mi ha fortemente aiutato il mio carattere aperto e gioioso ed anche “curioso” nel conoscere persone nuove e le diverse esperienze della vita. Vorrei ringraziare tutto il nostro progetto Caritas che mi ha fatto sentire quanto sia importante aprire la propria vita ed il proprio cuore ai fratelli e sorelle in difficoltà.
Cosa rimpiangi degli inizi, cosa invece è bene che sia superato nell’esperienza ecclesiale ? Certo dopo il Concilio e tutta la ventata di rinnovamento degli anni sessanta che si respiravaciò che rimpiango tutto l’entusiasmo (proprio anche della giovinezza) e la voglia di fare cose vere e nuove: pensavamo ri ribaltare il mondo! Ci abbiamo provato nelle nostre comunità , dove siamo stati mandati (avevamo espresso anche al Vescovo il desiderio di poter condividere insieme ed in piccole fraternità la pastorale) a portare la nostra giovinezza ed il nostro servizio. Credo che qualche bel risultato l’abbiamo vissuto. Oggi dobbiamo stare attenti che il rischio che viviamo è di richiuderci di nuovo nel nostro individualismo e di rimanere schiacciati dalla cultura e mentalità dominante. Anche noi Sacerdoti rischiamo di cercarci un “posticino” sicuro e caldo ! Dobbiamo avere la forza di essere più profetici e di rompere certi schemi e sicurezze….
Un desiderio forte per la Chiesa universale e diocesana…. Credo già di aver risposto un po’ nella domanda precedente. In questo tempo sappiamo bene chi seguire e chi ascoltare: papa Francesco, dobbiamo fidarci, lo Spirito santo lo ha posto sulla nostra strada.
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