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Tag: San Sebastiano

Arte che racconta: San Sebastiano e la Senigallia del 1600

Sebastiano nacque a Narbona, in Francia, nel 256 e dopo essere stato educato e istruito ai principi della fede cristiana a Milano, si spostò a Roma dove, entrato nella cerchia militare dell’imperatore, divenne prima alto ufficiale dell’esercito e poi capitano dei pretoriani, ossia dei soldati che costituivano la guardia del corpo degli imperatori romani.
Nonostante la sua alta posizione, forte dei propri principi di fede, Sebastiano iniziò ad assistere i carcerati cristiani, a occuparsi della sepoltura dei martiri e a diffondere il Cristianesimo fra i funzionari e i militari. Venuto a conoscenza dell’operato del capitano delle sue guardie, l’imperatore Diocleziano lo convocò e, dopo averlo fatto denudare e legare a un palo sul colle Palatino, lo diede in bersaglio agli arcieri di Mauritania.Si narra che Santa Irene, la notte successiva all’esecuzione, andata a prelevare il corpo di Sebastiano per dargli una degna sepoltura, lo trovò ancora vivo e dopo averlo portato nella sua casa lo guarì.
Tornato in salute Sebastiano decise di non fuggire dalla città ma di aspettare l’imperatore sulla gradinata dove era solito passare, per testimoniare a Diocleziano, attraverso le cicatrici delle frecce sul proprio petto, la grandezza del Dio Cristiano. L’imperatore però, convinto che il suo primo ordine non fosse stato realmente eseguito, lo fece condurre nell’ippodromo e uccidere a colpi di daga. Il corpo venne poi gettato in una cloaca. Era il 20 gennaio del 288.


Madonna con Bambino, San Carlo Borromeo e San Sebastiano, ambito marchigiano, olio su tela, secolo XVII (1600 – 1649), Pinacoteca Diocesana Senigallia

Ricordiamo la figura di San Sebastiano, il santo patrono dei sofferenti e protettore dalle epidemie, analizzando una interessante opera di ambito marchigiano del XVII secolo, conservata presso la Pinacoteca Diocesana di Senigallia, in cui l’artista ha dipinto la Madonna in trono con Gesù Bambino tra San Carlo Borromeo, la cui iconografia è già stata trattata in un precedente articolo, e San Sebastiano, rappresentato così come l’iconografia classica lo ha portato dentro all’immaginario occidentale, ovvero legato a un palo, denudato e trafitto da decine di frecce. 

Nell’olio su tela, collocato all’interno della galleria d’Arte Sacra, troviamo raffigurata al centro della scena la Madonna, seduta su un trono di nubi e circondata da un cielo dorato con quattro angeli, con in braccio Gesù Bambino che porge la corona a San Carlo Borromeo, uno dei principali protagonisti della Controriforma cattolica. La Vergine rivolge invece il proprio sguardo a San Sebastiano al quale dona la foglia di palma, simbolo del martirio. 
San Sebastiano, dipinto secondo l’iconografia tradizionale ma con un tronco d’albero invece di un palo, denudato delle proprie vesti, con le mani legate dietro alla schiena e tre frecce che gli trafiggono il corpo (una alla spalla, una al petto e una terza alla coscia), guarda con grande dignità la Madre di Cristo. 

La particolarità di quest’opera, oltre alla presenza in basso a destra della committente, purtroppo a noi ignota, è la rappresentazione, tra San Sebastiano e San Carlo, della città di Senigallia così come poteva essere ammirata da un abitante del 1600. In primo piano è infatti riprodotto, sulla sponda del fiume Misa, un lavatoio e subito dietro le mura interne della cinta muraria pentagonale a bastioni e baluardi realizzata nel XVI secolo. 
Nel dipinto è anche possibile osservare l’antico Duomo di Senigallia, costruito con l’importante contributo di Giovanni della Rovere, nipote di Papa Sisto IV e Signore della città dal 1474, collocato a ridosso delle mura sull’attuale Corso 2 Giugno, all’incirca all’altezza dell’odierna Piazza Doria. 

Marco Pettinari

San Sebastiano e San Rocco, il perché di una devozione

Dato l’arrivo della bella stagione e il calo dei casi di contagio da Covid-19 ho pensato di parlavi dell’opera della “Madonna del Carmine e santi”, realizzata tra il 1690 e il 1710, in cui sono ritratti proprio i due santi che durante il periodo medievale erano invocati dal popolo come ausiliari in caso di pestilenza.
Il dipinto, un olio su tela di ambito marchigiano, collocato all’interno della Chiesa Parrocchiale di San Pellegrino a Ripe di Trecastelli, ritrae la Beata Vergine Maria del Monte Carmelo, con in braccio Gesù Bambino, venerata da San Sebastiano, il cavaliere romano di origine meneghina martirizzato sotto Diocleziano nel IV secolo, e San Rocco, taumaturgo e pellegrino in Italia nel XIV secolo.

Madonna del Carmine e santi, ambito marchigiano, olio su tela, secolo XVII, Chiesa Parrocchiale di San Pellegrino, Ripe di Trecastelli


Entrambi i santi sono rappresentati rispettando esattamente la tradizione agiografica che li distingue. San Sebastiano, a destra, è raffigurato come un giovane efebico, coperto solo in vita, legato a un tronco d’albero e trafitto da quattro dardi. Questo fu infatti il supplizio al quale l’imperatore Diocleziano lo aveva condannato a morte, ma grazie al miracoloso intervento di Sant’Irene, che sanò le ferite, Sebastiano rimase in vita. In epoca medievale le frecce e le lacerazioni della pelle da queste provocate vennero accostate alla pesta e così il popolo iniziò a pregare San Sebastiano in cerca di guarigione. San Rocco, a sinistra, ci appare invece con addosso i tipici paramenti del viaggiatore: il bastone, il tabarro e le due conchiglie. Il Santo inoltre, sollevando l’abito, ci mostra sulla coscia sinistra una lacerazione, simbolo della peste e dei tanti appestati che egli assistette durante il suo peregrinare verso la città di Roma. Dietro alla figura di San Rocco l’artista ha poi inserito un cagnolino, a ricordare l’episodio in cui un cucciolo portò a Rocco, ingiustamente detenuto in carcere, un pezzo di pane.

Nella parte sommitale della pala d’altare, alta poco più di 2 metri, è posta la Vergine Maria benedicente con in braccio Gesù Bambino. La figura della Madonna è da sempre legata al Monte Carmelo che si trova nell’Alta Galilea, una regione dello Stato di Israele, poiché fu lì che Elia profetizzò il futuro ruolo di Maria come Madre di Dio, ma in questo caso l’opera, per lungo tempo collocata nell’altare maggiore della Chiesa di San Rocco posta fuori dalle mura castellane di Ripe, prende questo nome specifico proprio per via del committente, che si ipotizza essere la confraternita religiosa del Carmine, fondata nel 1265.

In basso, tra San Rocco e San Sebastiano, è invece rappresentato l’antico borgo fortificato di Ripe, così come appariva alla popolazione agli inizi del Cinquecento.

Marco Pettinari