Vescovo e preti, oggi

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Anche quest’anno i sacerdoti della diocesi di Senigallia si sono ritrovati per un tempo disteso e prolungato per discutere di un tema e nello stesso tempo vivere insieme alcuni giorni in uno stile di fraternità e comunione. Il luogo che ci ha accolto è stato la Domus Ecclesiae a Nocera Umbra e l’occasione di spostarci in Umbria ci è stata suggerita dal nostro relatore che ha animato la riflessione e il dibattito ovvero Luciano Paolucci Bedini, vescovo di Gubbio. A lui abbiamo chiesto di proporci delle riflessioni a partire da questa domanda: “Quale presbiterio per la nostra Chiesa diocesana?”. Già la domanda ci suggerisce il cammino fatto in questi anni, in particolare a partire dal 2008 quando era uscito un documento della diocesi: “Quale presbitero per la nostra Chiesa diocesana?”; come si può notare il tema a distanza di anni differisce di una sola lettera (presbitero-prespiterio) eppure esprime un cambio di prospettiva e quindi di consapevolezza di una identità. Se infatti fino ad ora la riflessione era partita dal prete come individuo e come persona inserita all’interno di una comunità, ora si scelto di partire dal presbiterio cioè l’insieme dei preti di una diocesi uniti al proprio vescovo, il quale possiede la pienezza del sacerdozio e che si avvale della collaborazione dei sacerdoti per servire al meglio quella porzione di popolo a lui affidata. Questo cambio di prospettiva da presbitero a presbiterio corrisponde ad una serie di mutazioni sociali e ecclesiali che si sono verificate nel tempo e che riscontriamo nel presente: il calo dei sacerdoti e l’impossibilità di una loro presenza capillare nel territorio; la vita del sacerdote sempre più messa alla prova sui vari fronti; una vita fraterna che recupera alcune dimensioni umane e affettive della vita del prete; il coinvolgimento e il ruolo attivo dei laici nella vita delle comunità; la gestione amministrativa e economica sempre più complessa e alle prese con tante strutture vecchie e non più a norma. Se il sacerdote dentro queste sfide si pensa o si ritrova da solo a doverle affrontare e gestire, alto è il rischio di burn-out o di un irrigidimento nei modi e nelle relazioni e la gente lo percepisce vedendo il prete sempre più stanco, affannato e scostante. La chiave di volta è proprio pensarsi a partire dalla dimensione comunionale e fraterna del presbiterio; non da soli quindi ma in comunione con il vescovo e i confratelli, dove ci si sostiene e dove le gioie e i problemi vengono condividi e portati insieme. Detto così è molto bello e assomiglia molto alla chiesa primitiva degli apostoli dove tutto veniva messo in comune e ognuno riceveva l’aiuto di cui aveva bisogno. Nella realtà dei fatti è un cammino in divenire, che presenta dei segnali positivi di crescita, ma anche comprensibili resistenze e diversità di approcci. Uno degli elementi più sensibili è per esempio il rapporto tra generazioni di preti avendo ricevuto formazioni diverse, in tempi storici diversi, con un’idea di chiesa da realizzare diversa. Queste differenze normali e storiche si superano non tanto a suon di discussioni, per vedere chi ha più ragione, ma in uno scambio fraterno fatto di ascolto e di narrazione, di risate e testimonianze di vita spirituale. Per questo occasioni come questa vissuta a Nocera Umbra sono preziose e arricchenti perché al di là dei contenuti che si mettono in campo c’è la possibilità di conoscersi sempre meglio e cogliere in ciascuno il positivo che può portare, il suo “unicum” che il Signore gli ha consegnato e affidato. Il vescovo Luciano ci ha incoraggiato ad andare avanti su questo cammino ricordandoci che non siamo all’anno zero ma alcuni piccoli passi sono stati fatti e tanti sono alla nostra portata. Nel dialogo fraterno si è parlato di come stare dentro le realtà del mondo quali la politica, la scuola, la cultura; si è parlato di famiglia e del ruolo dei laici nelle nostre comunità; si è parlato di giovani e di vocazioni, come essere “testimoni gioiosi” di questa chiamata ad essere pastori e “amici dello Sposo”. Erano presenti anche alcuni preti anziani che hanno espresso la loro gioia di essere parte di questo presbiterio richiamando però anche l’attenzione ad avere cura di loro e non considerarli come “fanalino di coda”, ma tenere presente che ci sono, che pregano per la chiesa e per il mondo e che devono affrontare malattie e fragilità e hanno bisogno del sostegno di tutti. La stessa esperienza si ripeteràin questi giorni con un altro gruppo di preti (per consentire a tutti di partecipare sono previsti due turni distinti) e siamo certi che ci saranno ulteriori elementi di crescita e di riflessione. Chi ben comincia è a metà dell’opera….

Davide Barazzoni

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