Alessandro Ricci e la pittura del ‘700 a Belvedere Ostrense

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Nella chiesa di San Pietro Apostolo, situata nella piazza antica di Belvedere Ostrense all’interno delle mura castellane, è collocata una delle pochissime opere attribuite al fermano Alessandro Ricci presenti sul territorio della Diocesi di Senigallia. In realtà sembrerebbe che la maestosa chiesa in stile neoclassico, di origini medievali ma ricostruita nel ‘400 e ristrutturata nel tardo ‘700 dall’architetto fanese Pasquale Ciarrafoni, conservi anche un’altra opera realizzata dallo stesso autore. Il dipinto in questione, raffigurante una Madonna del Rosario, riporta in basso a destra un’iscrizione in latino, Ricci pinxit 1797, a noi utile per attribuire l’opera ad Alessandro Ricci e non a un altro componente della famiglia di pittori comprendente Ubaldo (1669-1731), Natale (1677-1754), fratello minore di Ubaldo, Filippo (1715-1793), figlio di Natale, e, appunto, Alessandro, figlio di Filippo.

Alessandro (1750-1829), fortemente influenzato – come riporta Pietro Zampetti (1913-2011), per anni Direttore delle Belle Arti del Comune di Venezia e Professore di Storia dell’arte all’Università Cà Foscari – dalla frequentazione di Giambattista Tiepolo, uno dei maggiori pittori del Settecento veneziano, e di suo figlio Giandomenico, ha operato molto nel territorio di Fermo, tra i comuni di Servigliano e Monterubbiano, ma alcune sue opere sono presenti anche nell’anconetano.
A Belvedere, oltre alla pala d’altare già precedentemente citata, l’altro dipinto presente nella chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro è una Madonna Addolorata con Sant’Antonio abate e San Biagio, protettore della gola e delle attività agricole, che la Chiesa Cattolica ricorda il 3 febbraio.

Madonna Addolorata, Alessandro Ricci, 1795, olio su tela, Belvedere Ostrense

L’opera risale al XVIII secolo ma grazie a una iscrizione latina sul manico del pettine da cardatore, posto tra Sant’Antonio e San Biagio, sappiamo essere stata realizzata dal nostro pittore precisamente nel 1795: Alexander Ricci pin. Firmi 1795.
Il dipinto, alto circa 2 metri e mezzo, mostra la Vergine Maria, seduta su un trono di nubi, circondata in cielo dagli angeli e in terra da Sant’Antonio, riconoscibile per la croce tau sul mantello, il bastone con appesa la campanella, il libro e il fuoco, e San Biagio, rappresentato secondo l’iconografia tradizionale in abiti vescovili, con la mitra e il pastorale, e con accanto i simboli del martirio, ovvero la foglia di palma e il pettine da cardatore con il quale venne torturato.

San Biagio era un medico cristiano, vissuto tra il III e il IV secolo in Armenia, che venne nominato vescovo di Sebaste, la sua città.
Nonostante la concessione della libertà di culto nell’Impero Romano, introdotta da Costantino il Grande, a causa della sua fede venne comunque  imprigionato e per punizione il suo corpo fu straziato coi pettini in ferro che si adoperavano per districare e pulire la lana. La morte arrivò poi per decapitazione nel 313.

Nella pala d’altare del Ricci lo sguardo di Sant’Antonio così come il dito indice di San Biagio sono rivolti verso la raffigurazione di Maria Addolorata, rappresentata dal pittore fermano con solo alcuni dei simboli che meglio identificano questo tipo di immagine: la spada conficcata nel cuore, certamente il più indicativo, e le mani giunte con le dita intrecciate. Una particolarità dell’opera sono i tre angioletti, ai lati della Vergine, che tengono in mano uno la Corona di Spine, simbolo della tortura di Cristo, e gli altri due  il Velo della Veronica, simbolo della salita al Calvario.

Marco Pettinari

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