I giovani al centro delle attività della Chiesa. Intervista a don Paolo Vagni, responsabile della pastorale giovanile e vocazionale – AUDIO

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Proseguono le interviste di “Venti minuti da Leone”, il nuovo format radiofonico di Radio Duomo Senigallia, agli esponenti e protagonisti del territorio diocesano. L’ospite che ci ha raggiunti in studio è don Paolo Vagni, responsabile della pastorale giovanile e vocazionale di Senigallia ma anche a livello regionale. Con lui abbiamo fatto una panoramica di quelle che sono le attività rivolte ai giovani, quali sono i motivi di fondo e quali i prossimi appuntamenti.

Vi ricordiamo che le tre interviste settimanali vanno in onda il lunedì, mercoledì e venerdì alle ore 13:10 e poi alle 20, con replica il giorno successivo agli stessi orari, e infine la domenica a partire dalle ore 16:50. Dove? Su Radio Duomo Senigallia/In Blu, ovviamente, sui 95.2 FM. Buon ascolto a chi accenderà la radio o cliccherà il tasto play del lettore multimediale mentre auguriamo buona lettura a chi preferisce invece questo strumento.

Intanto spieghiamo cos’è la pastorale.
E’ un servizio, più che un ufficio, nato a metà anni ‘90, che si rivolge ai giovani ma anche a chi fa formazione e a chi si occupa di loro nelle parrocchie. Io coordino le attività sia a livello diocesano che regionale. Noi siamo di aiuto anche per le realtà più piccole o con meno persone a disposizione.

Facciamo qualche esempio di attività e proposte fatte.
Tutte quelle attività che vengono fatte nelle parrocchie ma anche quelle più importanti che interessano tutta la diocesi. L’obiettivo è sempre quello di coinvolgere i giovani: un esempio potrebbe essere Destate la Festa, una proposta aperta a tutti per costruire qualcosa per la città partendo dal messaggio di pace di papa Francesco. Ma poi si cerca anche di andare sempre avanti a livello di qualità per approfondire il proprio cammino di fede ma anche quello di scoperta di sé e con gli altri, attraverso percorsi insieme, periodi di convivenza, anche vacanze insieme con momenti formativi. C’è poi tutto l’impegno per chi si occupa dei giovani con supporto, coordinamento di chi fa formazione.

Come vi ponete verso i giovani?
Coinvolgerli non significa solo chiamarli durante gli eventi a fare volontariato o servizio perché sarebbe solo prosciugante e prima o poi viene lasciato lì; cerchiamo di andare oltre rendendo il percorso nutriente per i ragazzi stessi. Attraverso vari linguaggi e modalità, li accompagniamo a un livello maggiore di profondità sia nel rapporto con loro stessi che nel rapporto con Dio.

don Paolo Vagni

Cos’è il Punto Giovane?
E’ un’esperienza di vita che dura un mese in un appartamento a Senigallia sopra la Casa della Gioventù. Studenti maggiorenni, universitari o anche lavoratori che convivono, fanno un’esperienza di qualità, profonda. Questa che si è formata è la 98esima comunità, il progetto va avanti da oltre 20 anni e viene ricordata come una bella esperienza.

Perché la convivenza?
Perché la formazione si fa nell’ordinario, nella vita quotidiana, non facendo cose straordinarie. L’evento di formazione dura un solo giorno, mentre qui si viene accompagnati da chi è più avanti nel percorso, un po’ come nella vita monastica, una sorta di “tirocinio” se volessimo usare un termine moderno. Mentre si vive insieme, ci sono dei momenti di formazione, la messa, l’ascolto della parola del Vangelo e poi il confronto con gli altri conviventi, in modo da avere uno sguardo più profondo.

Parliamo delle altre attività
Ci sono anche convivenze in Seminario che riguardano le classi di scuola superiore. Prima del covid ne avevamo oltre 15 all’anno, durante i mesi invernali, oggi ripartiamo con cinque o sei ma siamo ripartiti. E’ un’esperienza più semplice, se vogliamo, del Punto Giovane ma tarata sull’esperienza dei ragazzi. L’anno scorso c’è stata la richiesta di poter aderire a questo progetto da parte di una classe che aveva perso una compagna di scuola, per poter gestire un momento così delicato e unire il gruppo classe.

C’è l’esigenza di questi momenti formativi?
Viviamo in tempi di povertà interiore. Non parlo solo di partecipazione alla messa, sarebbe troppo riduttivo: intendo quella difficoltà a relazionarsi col passato, le famiglie da cui provengono; a relazionarsi col futuro in un momento di benessere diffuso, con tante opportunità di studio o lavorative; a relazionarsi col presente, con se stessi, le proprie ferite, le proprie difficoltà, ad accettarsi. Si va avanti spesso senza affrontare i propri dolori ma anestetizzandosi.

Di fondo c’è un’incapacità di gestire le proprie emozioni, le relazioni, di orientarsi?
Ci sono domande grosse che mettono in crisi un po’ tutti: cosa farò, qual è la mia strada, gli affetti. Oggi le emozioni spaventano tantissimo e noi cerchiamo di imparare assieme a loro a dare dei nomi a dei luoghi del cuore che facciamo fatica ad abitare, che ci fanno paura.

Guardiamo al futuro: che iniziative verranno messe in campo nei prossimi mesi?
Le esperienze del cammino annuale si ripetono, quindi Destate la Festa ad agosto sul tema della pace e dell’intelligenza artificiale; poi a settembre ci sarà invece il pellegrinaggio a piedi per la diocesi di Senigallia, un’esperienza pluriennale che è stata lanciata nel 2006, ripetuta nel 2010, 2015, dovevamo farla nel 2020 ma è saltata causa covid e quest’anno la riproponiamo. Un gruppo di giovani camminerà in giro per la diocesi, a piedi, andando a conoscere sia la terra, le zone, le parrocchie, sia quei luoghi e quei volti significativi per la nostra storia e per la fede, come Enrico Medi, per esempio. Il tema sarà l’esodo, inteso come raggiungimento della salvezza in quella terra promessa che è la nostra vita, liberandoci dalla schiavitù interiore per vivere appieno la nostra vita. In tutte le serate ci saranno dei momenti da vivere insieme, non solo messe o preghiere ma anche spettacoli e altre iniziative. I pellegrini saranno accolti dalle famiglie delle varie parrocchie e sarà una bella esperienza, una piccola missione.

Ma i giovani sono ancora presenti nella vita della Chiesa?
Si ma spesso rischiamo, non solo a livello di società civile ma anche ecclesiastica, di usare i giovani, di considerarli solo come persone che possono fare qualcosa. Io, ma non sono il solo, vorrei invece portare avanti un cambio di paradigma in cui possano ricevere nutrimento da quelle attività che portano avanti, senza sentirsi usati. Non sono a servizio nostro ma siamo noi adulti a servizio loro. Se provano esperienze profonde, belle, significative per loro stessi, poi desidereranno mettersi a loro volta a servizio degli altri.

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