Lavoro sempre più precario nelle Marche: è record
Lavoro sempre più precario e povero. Le Marche si confermano – in una netta tendenza al precariato – come una delle regioni meno virtuose, con un record del 2025: essere la prima regione d’Italia per incidenza dei contratti intermittenti e la penultima per quelli a tempo indeterminato. A sottolinearlo è la Cgil delle Marche che parla di fenomeno in crescita non solo nelle fabbriche ma anche in ufficio, basandosi sull’ultima indagine Inps.
I primi tre mesi dell’anno hanno infatti visto un notevole incremento dei contratti in somministrazione (+5,2%) e un crollo significativo dei contratti a tempo indeterminato (-9,9%). Le aziende marchigiane hanno effettuato 47.260 assunzioni, il 6,1% in meno rispetto allo stesso periodo del 2024 e il 4,3% in meno rispetto al 2023.
Nel confronto 2025-2024, le assunzioni totali registrano nelle Marche flessione più marcata rispetto al Centro Italia (-5,5%) e in linea con quella osservata nell’intero Paese (-6,5%). Sul totale delle nuove assunzioni, quelle a tempo indeterminato sono una quota molto ridotta (14,2%) e in costante flessione; la tipologia contrattuale maggiormente presente è il contratto a termine (42,1%), seguita dal contratto intermittente (16%).
Nelle Marche, la quota di contratti a tempo indeterminato sul totale di quelli attivati è nettamente sotto la media del Paese (19,8%): la regione è penultima per incidenza di contratti a tempo indeterminato sui nuovi rapporti di lavoro. Anche l’incidenza dei contratti a termine sul totale è inferiore alla media nazionale (46,1%). In riferimento alle attivazioni di contratti in somministrazione, il valore regionale è superiore alla media nazionale (15,7% contro 12,4%). In particolare, le Marche sono la seconda regione (dietro al Molise) per aumento delle nuove assunzioni in somministrazione tra il 2024 e il 2025. La regione risulta altresì essere la prima in Italia per la più alta incidenza dei contratti intermittenti (16% contro la media nazionale del 9,4%).
Infine, analizzando le cessazioni per tipologia di motivazione, escludendo la risoluzione consensuale, rispetto al 2024 emerge un calo pressappoco omogeneo in tutte le motivazioni. Nei confronti del 2023, invece, si osserva un aumento marcato dei licenziamenti di natura economica (+18,5%).
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