L’età insegna tanta vita: intervista a Barbara Fontana, coordinatrice de ‘Il Granaio’

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Barbara Fontana è la coordinatrice del Centro diurno per persone ammalate di Alzheimer ‘‘Il Granaio”, un’accogliente struttura colorata posizionata di fianco all’Opera Pia Mastai – Ferretti di Senigallia. Nel maggio scorso ‘il Granaio’ ha festeggiato venti anni di attività (vedi fotografia), confermandosi punto di riferimento autorevole e prezioso per l’intera comunità.

Che anno è stato quello del ventennale al Granaio? E il prossimo?
Oggi il Granaio rappresenta un importante riferimento per tante famiglie che ogni giorno convivono con la malattia d’Alzheimer e in questi vent’anni di vita ha dato loro risposte concrete ai bisogni assistenziali che, con il progredire della malattia, richiedono sempre più dispendio di energie fisiche e psicologiche. Il Granaio si prende cura della persona malata, la accompagna in un percorso doloroso, che mina le sue autonomie di base, con la finalità di rallentare il decorso inesorabile di una malattia che, purtroppo ancora oggi, non ha riscontri positivi da un punto di vista medico. Le famiglie trovano un aiuto concreto, delegando ad altri la cura del proprio caro nelle ore diurne, ma credo che il loro bisogno primario sia quello di sentire accolta e sostenuta la fatica quotidiana e poterla condividere con chi comprende il carico assistenziale o con chi lo vive alla stessa maniera, è uno strumento potente capace di alleggerirne il peso. In questi venti anni si sono costruiti legami affettivi e di fiducia importanti, che sono sopravvissuti al tempo, con tanti familiari, che hanno continuato a dimostrare il loro affetto e la loro gratitudine anche dopo la perdita dei loro cari malati. Ne è stato esempio la grande partecipazione delle famiglie all’evento che si è svolto nel mese di maggio, un forte e caldo abbraccio, con il quale abbiamo voluto festeggiare il ventennale della nostra attività. Ci impegneremo con lo stesso entusiasmo anche per il prossimo.
Viviamo forti pressioni sui servizi socio sanitari: quali sono i passi più urgenti e necessari per garantire cure sistematiche e azioni efficaci per malati di Alzheimer e familiari?
Le cure più efficaci a mio avviso partono dalla riflessione che la malattia d’Alzheimer riguarda tutti, anche se non tocca da vicino, riguarda l’intera comunità. E’ l’idea di base delle ‘Dementia Friendly Community’, le comunità amiche della demenza, che modificano le loro organizzazioni, perché siano inclusive e permettano alle persone malate di sentirsi coinvolte e facilitate nell’essere parte della comunità. Nel nostro piccolo cerchiamo di tenere sempre alta l’attenzione sulla problematica, attraverso l’informazione, la diffusione delle conoscenze, perché si possa parlare non di Alzheimer, malattia che fa ancora tanta paura, ma di persone malate di Alzheimer, con il rispetto, il riconoscimento, la dignità dovuti. E’ compito dei Servizi, dei centri diurni, dei caffè Alzheimer, ma anche del vicino di casa e della comunità intera, arricchire il mondo di relazioni del malato con la sua famiglia, per mantenerlo vivo più a lungo e migliorare significativamente la qualità della sua vita.
Un centro diurno per persone con demenza non è un’isola a se stante: come entrano al Granaio le vicende di fuori e come il legame con il territorio, il tempo esterno può rendere questo posto ancora più vivo e accogliente?
Il centro diurno non è e non deve essere un’isola a se stante. Da anni ormai le porte del nostro centro si sono aperte al territorio e abbiamo sperimentato contaminazioni, che hanno arricchito e colorato la quotidianità di tutti gli attori. Ad esempio sono entrati bambini di diverse età, anche molto piccoli e hanno condiviso con gli anziani momenti di spensieratezza, con una spontanietà che molto avrebbe da insegnare al mondo degli adulti. Ma anche gli anziani hanno varcato le porte del centro e sono usciti nel territorio; penso alle feste di carnevale che abbiamo organizzato nella splendida cornice della nostra Rotonda a mare, dove non c’era più contezza di chi fosse malato e chi no, perché tutti gioiosamente accomunati dal piacere di stare insieme, liberi dai condizionamenti e dalle etichettature diagnostiche. Questi sono solo esempi di come sia bello e possibile facilitare l’incontro con la malattia, direi normalizzarlo, perché non spaventi e perché ognuno senta di poter dare e ricevere in uno scambio relazionale reciproco e gratificante.
La vecchiaia, con quanto si porta dietro, è spesso raccontata male. O enfatizzata nelle performance o narrata quasi come una catastrofe (nodo pensioni, deserto demografico e invecchiamento della società, malattie invalidanti, solitudini..). Aiutiamoci a mettere ordine.
I nostri anziani ci ricordano sempre che “Vecchie sono le strade” ed è vero, il termine vecchio potrebbe far pensare più a qualcosa di inanimato, mentre il termine “anziano” sembra più rispettoso riferito ad una persona. Personalmente invece non mi disturba parlare di vecchi e di vecchiaia, sarà forse per il profondo rispetto che nutro per questa fase della vita. Non si può certo negare che la vecchiaia sia un’età complessa, spesso costellata di problematicità legate allo stato di salute, soprattutto oggi che si vive molto più a lungo senza garanzia di una migliore qualità della vita. Non si può neanche negare che la società di oggi impone dei ritmi che poco si conciliano con il rallentamento fisiologico tipico del processo di invecchiamento. Tanto altro ci sarebbe da dire sulla sostenibilità, sul carico assistenziale, sulle difficoltà economiche legate all’essere vecchi, ma mi interessa invece spostare lo sguardo verso altre riflessioni. Viviamo in un’epoca frenetica, che accorcia i tempi e ci costringe a divorare le nostre giornate, senza assaporarne davvero il gusto; presi da impegni che si susseguono non troviamo il senso di quello che facciamo e viaggiamo senza meta alla ricerca di una soddisfazione che non raggiungiamo mai. Se provassimo a rallentare, se cominciassimo a togliere anziché aggiungere, se fossimo disposti a rinunciare alla quantità per guadagnare in qualità, credo che sarebbe più facile vivere e soddisfare quei bisogni che renderebbero piena la nostra esistenza. Non è un po’ quello che ci costringe a fare la vecchiaia? Non a caso in una fase in cui bisogna cominciare a tirare le fila di ciò che siamo stati e sono convinta che quanto meglio abbiamo vissuto in giovinezza, meglio affronteremo la vecchiaia e anche la morte. Non voglio banalizzare, né troppo semplificare concetti così tanto complessi, ma credo che la vita si sviluppi in un tempo circolare e fluido e che i confini delle diverse fasi non siano poi così ben definiti; si può essere vecchi anche da giovani e giovani anche da vecchi.

a cura di Laura Mandolini

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