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Tag: Africa

Avviati i percorsi sanitari per tre bambine con patologie cardiache grazie alla fondazione Maria Grazia Balducci Rossi

Avviati i percorsi sanitari in Italia per tre bambine africane con patologie cardiache grazie alla fondazione Maria Grazia Balducci Rossi di Senigallia

Una bambina è stata operata, sta bene e sta tornando a casa; una seconda dovrà invece cambiare prospettiva per un quadro clinico più grave di quanto diagnosticato all’inizio. Una terza sta attendendo ancora l’operazione poiché positiva al covid. Questo è l’aggiornamento circa le condizioni delle prime piccole pazienti provenienti dall’Africa – Knahore, Kanga e Ouattara – prese in carico a livello sanitario dalla fondazione Maria Grazia Balducci Rossi di Senigallia.

Il progetto umanitario della fondazione senigalliese, guidata dall’imprenditore Tommaso Rossi (LEGGI L’INTERVISDTA QUI), è nobile: prendersi cura dei piccoli con cardiopatia congenita che in Africa difficilmente potrebbero essere curate per portarle in Italia e sottoporle alle cure mediche o agli interventi chirurgici degli ospedali italiani. Il tutto a spese della fondazione che opera tramite fondi propri e il sostegno di partner e benefattori. Un ponte per salvare vite, una rete umanitaria che fa bene al cuore: a quello di chi dona e a quello di chi viene operato.

Così il 18 dicembre 2023 Knahore e Kanga sono arrivate in Italia accompagnate dalle loro mamme, entrambe per essere operate all’ospedale di Massa Carrara: la prima è stata sottoposta all’intervento il 21 dicembre, riuscito senza controindicazioni, per cui è già pronta per il ritorno nel suo paese, la Costa D’Avorio. Per la seconda bambina, Kanga, la situazione è cambiata: dagli esami svolti in Italia la diagnosi è più grave rispetto a quella diagnosticata in Costa D’avorio. Necessita di un intervento a cuore aperto, con giorni di degenza in terapia intensiva e con tempi di recupero più lunghi.

Per quanto riguarda Ouattara, invece – la bambina di quasi due anni che in un primo momento è stata ricoverata all’ospedale marchigiano a Torrette di Ancona e poi trasferita all’ospedale Bambin Gesù di Roma – lei è ancora in attesa di essere operata. Lo stato di salute non si è aggravato però, durante un controllo preoperatorio, la bambina risultava avere un’infezione in atto. Così prima è stata risolta l’infezione e poi si sta attendendo che si negativizzi dal covid, per poi riprendere il percorso operatorio. Per questo motivo è stata dimessa dall’Ospedale del Bambin Gesù e trasferita nella struttura di accoglienza.
Il progetto della fondazione Maria Grazia Balducci Rossi di Senigallia non si ferma dunque.

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Un nuovo ospedale in Etiopia realizzato con i fondi Cei 8 per mille

L’Etiopia ha un nuovo ospedale specializzato in Neuropsichiatria. La struttura si chiama “Araara” – “riconciliazione” in lingua oromo – ed è stata inaugurata nei giorni scorsi a Robe, in Etiopia, da monsignor Rocco Pennacchio, arcivescovo di Fermo e presidente del Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo Mondo, che ha guidato la delegazione della Cei in visita nel Paese africano.

Il Centro specialistico neuropsichiatrico infatti è stato realizzato con i fondi dell’8xmille che i cittadini italiani destinano alla Chiesa cattolica. L’ospedale conta 40 posti letto, ambulatori, reparti e sale per la riabilitazione e accoglierà anche i pazienti più gravi della Missione delle Sorelle di Madre Teresa di Calcutta (avviata dalla stessa Madre Teresa), che a Gobe, a 10 km da Robe, assiste circa 250 malati psichiatrici e neurologici. Il viaggio della delegazione Cei è stato occasione per visitare alcuni progetti, come lo studio televisivo dell’emittente “Catholic Tv Ethiopia – CTV Ethiopia”, realizzato dall’arcidiocesi di Addis Abeba che ha dato vita ad una tv dove lavorano 24 persone di cui 15 laici e che trasmette h24 nell’intero Paese fino al Sudan e all’Eritrea.

Ad Addis Abeba, la delegazione della Cei è poi andata alla struttura per i ragazzi dai 14 ai 18 anni, voluta dalla Community of Saint John e dotata di dormitorio, mensa, aule e sala polivalente; e alla Casa Ispettoriale dei Salesiani dove è attivo il progetto del Vides “Stop al traffico di esseri umani, un’opportunità per essere liberi di restare” che offre formazione professionale e sostegno nell’inserimento lavorativo ai giovani dai 18 ai 35 anni (attualmente i beneficiari sono circa 1260 ragazzi).

Fuori città, la delegazione ha fatto visita alle Suore Benedettine che stanno provvedendo alla costruzione di un sistema idrico per approvvigionare di acqua potabile il Monastero Holeta e i villaggi limitrofi, e alla Comunità Volontari per il Mondo, ong marchigiana, impegnata nella promozione umana e sociale delle donne vittime di abusi all’estero.

a cura di L.M.

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La missione è anzitutto libertà

padre Pier Luigi Macalli
padre Pier Luigi Macalli

Era a Senigallia per far visita al suo amico Franco Manenti, anche lui originario della diocesi di Crema. Ed il vescovo di Senigallia lo ha accolto con grande gioia, tanto più in questo mese dedicato al mondo missionario. Se non fosse per il delirante progetto jihadista secondo il quale il mite missionario sarebbe un infedele tanto scomodo da dover essere rapito e tenuto prigioniero per quasi due anni, in pochi avremmo sentito parlare di padre Pier Luigi Macalli, della Società missionaria africana, prete missionario in quell’Africa sub sahariana diventata terra pericolosa, violentata da bande armate che non le danno tregua. Tra le dune ci sono i nuovi rifugi del fondamentalismo islamista.

Era il 17 settembre 2018: cosa è successo quella notte in Niger?

Ero in Niger da 11 anni, nella missione di Bomoanga, nel Sud ovest, vicino la frontiera con il Burkina Faso ed esercitavo il mio ministero di missionario in questa realtà molto rurale quando una visita notturna, pensavo dei ladri, si è invece rivelata un rapimento e un sequestro che è durato per due lunghi anni. Una situazione che ha sconvolto il mio ordinario vivere in mezzo alla gente.

Due lunghissimi anni: c’è stata la possibilità di interlocuzione con i suoi sequestratori?

Sì. Ho sempre cercato quel dialogo quotidiano che è sempre stata la mia caratteristica di missionario. Con questi giovani – con quel poco di francese che loro parlavano – ho provato a spiegare chi ero, cosa facevo, perché mi trovavo in Africa.

Gli esperti di geopolitica ce lo dicono da tempo: il vero snodo dello jihadismo è l’Africa subsahariana. Quella parte di mondo, però, è sistematicamente dimenticata dalla grande comunicazione.

Che l’Africa fosse una polveriera lo si sapeva nei nostri ambienti missionari; il fatto che adesso racconto di una prigionia che ha messo a dura prova le certezze che sembravano intoccabili…

Intervista a cura di Laura Mandolini. Il testo completo è disponibile nel mensile cartaceo di giovedì 21 ottobre. Abbonati e clicca qui per leggerlo.

La nostra realtà e gli occhi di un missionario

Padre Matteo Pettinari
Padre Matteo Pettinari

Matteo Pettinari ha trascorso alcuni mesi nella sua diocesi d’origine.
Per ripartire…


Padre Matteo Pettinari, missionario della Consolata della diocesi di Senigallia e originario di Monte San Vito, da anni vive in Costa D’Avorio dove è inserito in una comunità con altri due confratelli, che è il punto di riferimento per l’intera popolazione. E’ tornato qui in diocesi per esigenze familiari e l’aggravarsi della situazione pandemica non gli ha ancora permesso di raggiungere nuovamente la terra di missione. Durante questa lunga “pausa” nei luoghi natali, ha avuto modo di riflettere e confrontare le due differenti realtà della sua esistenza e ha voluto condividere con noi impressioni e riflessioni

Intanto una presentazione…

Ho 39 anni e sono missionario dal 2011 nella regione di Dianra, nel nord della Costa d’Avorio, nella diocesi di Odiennè. Purtroppo nel mese di maggio del 2020 sono dovuto rientrare in Italia per motivi familiari. Mia mamma aveva scoperto un tumore al polmone e purtroppo ci ha lasciati il 23 gennaio scorso. Sarei dovuto rientrare in Costa d’Avorio a Dianra il 4 marzo ma purtroppo la situazione del Covid ha indotto la compagnia con la quale avrei dovuto viaggiare a sopprimere tutti i voli fino al 15 marzo. Quindi mi ritrovo qui ancora in Italia per altri 15 giorni, fino al 18 marzo. Sicuramente per un missionario che da prima della sua ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 2010, non stava in Italia se non per i mesi di vacanze che sono triennali, qualche mese ogni tre anni, stare qui un periodo lungo dieci mesi è stata una grossa novità, una realtà inattesa. Tutto ciò è avvenuto non solo in un contesto pandemico molto forte soprattutto qui in Italia e in Europa, ma anche dovendo accompagnare una situazione delicata, dolorosa, quella della malattia oncologica di mia madre.

Quali sono le tue impressioni stando così tanto tempo qua?

Sicuramente l’Italia non è la Costa d’Avorio, sono mondi diversi! Ho trovato una situazione molto condizionata dal contesto e anche una comunità cristiana condizionata dalla situazione pandemica. Quello che l’Africa mi ha insegnato è a vivere la vita non a partire dai problemi che ci sono o che non ci sono, che potrebbero esserci o non esserci, ma dalle relazioni che comunque sempre sono il sale, la gioia, la ricchezza del quotidiano. Io amo dire quando sono a Dianrache abbiamo mille problemi ma mille e uno soluzioni, nel senso che le difficoltà, le crisi, la precarietà di ogni tipo non possono determinare lo stile con cui si affrontano le giornate. Questo insegnamento che mi porto dentro, che la Costa d’Avorio, le persone che vivono lì, la gente che mi accoglie, con cui condivido la vita mi hanno offerto mi è stato molto utile anche per affrontare questa situazione e non lasciarmene sopraffare, sia quella familiare che quella un po’ più generale.

Cosa ti porti da questa esperienza al tuo ritorno in Africa?

Adesso che torno – spero di ritornare – vado con il bagaglio di questi dieci mesi che sono stati sicuramente un tempo forte, un tempo particolare per la mia vita personale, familiare e anche di fede, con tanta grazia per tutto quello che ho vissuto e che il Signore mi ha regalato di sperimentare accanto a mamma e all’interno della mia famiglia. Spero che questa situazione pandemica ci ridia a tutti la possibilità di renderci conto che la precarietà, l’impossibilità di controllare la realtà fa parte della vita di tante persone, della maggior parte delle persone nel mondo. Allora auguro a me e a tutti di cogliere e accogliere questo nuovo stile per cui si vive non girando intorno ai problemi ma sicuramente affrontandoli, a partire dalla ricchezza delle relazioni di ogni giorno.

di Barbara Fioravanti