Skip to main content

Tag: antimafia

«Nelle Marche non abbiamo ancora gli anticorpi per evitare infiltrazioni mafiose» – INTERVISTA AUDIO

Ricordare chi è stato colpito dalla criminalità organizzata, offrire supporto alle famiglie delle vittime innocenti delle mafie ma anche promuovere una maggiore sensibilità per prevenire i fenomeni illeciti e le infiltrazioni. In poche parole, creare un territorio consapevole e resistente. Questo è l’impegno di Libera, una rete di associazioni, cooperative sociali, movimenti e gruppi, scuole, sindacati, diocesi e parrocchie nata nel 1995 e da allora sempre cresciuta. Cresciuta attraverso la formazione di numerosi presidi cittadini, tra cui quello di Senigallia. Che proprio ad aprile festeggia i suoi primi dieci anni di attività.
Per questo, nell’ambito di “Venti minuti da Leone” – il nuovo programma radiofonico in onda dal lunedì al sabato alle ore 13:10 e alle 20 e la domenica alle 16:50 sulla frequenza 95.2 FM – abbiamo intervistato don Paolo Gasperini, referente per la provincia di Ancona, sull’impegno che viene portato ancora oggi tenacemente avanti.

Com’è nata Libera a Senigallia?
Dopo un percorso di conoscenza di Libera e presa di contatti con le realtà locali, il 4 aprile 2014 è stato varato il presidio di Senigallia. E’ composto da persone di provenienza da mondi culturali, politici e sociali molto diversi tra loro. L’abbiamo intitolato ad Attilio Romanò, giovane vittima innocente della camorra che l’ha ucciso per sbaglio perché scambiato per un’altra persona. Qui nelle Marche c’è la zia di Attilio, così, anche per vicinanza alla famiglia, uno dei compiti di Libera, l’abbiamo intitolata a lui. Memoria e impegno per la comunità, ma anche amicizia con le famiglie delle vittime, e vicinanza durante i processi e in altri momenti.

Perché servono iniziative di memoria delle vittime e impegno contro le mafie?
C’è un’antimafia di facciata, che fa grandi proclami ma senza mettere in atto percorsi di giustizia e ricerca della verità. C’è poi un percorso di responsabilità verso la giustizia e la lotta alla mafia che significa costruire un terreno dove non ci siano situazioni di illegalità. Viene fatto a livello sociale per evitare infiltrazioni mafiose ma si trova spesso di fronte un territorio impreparato a certe situazioni.

Perché nelle Marche e a Senigallia c’è necessità della presenza di Libera?
Qui non ci sono radicamenti mafiosi seconda la direzione investigativa antimafia, quanto piuttosto dei fenomeni di pendolari, cioè persone che fanno un’azione in questa regione e poi tornano altrove; c’è poi il rischio di infiltrazioni nell’ambito degli appalti milionari per la ricostruzione post sisma nel sud delle Marche. Servirebbe un’attenzione che non ci sembra essere così forte. E poi ci sono le persone che sono qui per provvedimenti giudiziari e che hanno degli agganci. 

Siamo al sicuro rispetto a certi rischi, abbiamo gli anticorpi?
No, non abbiamo anticorpi sufficienti. Per esempio durante la crisi del 2007-2008 molte persone e imprese sono andate in difficoltà ma le banche non erogavano prestiti. I soldi però sono circolati comunque: da dove sono arrivati? C’è poi la questione del riciclaggio di denaro sporco: si acquistano beni per ripulirlo, che possono essere abitazioni, esercizi commerciali e non solo. Non ci sono prove ma dove ci sono interessi molto alti… e poi c’è il fatto che le Marche in generale sono un territorio defilato anche dalle cronache, l’attenzione qui è molto bassa. 

Che rimedi oltre alla sensibilizzazione delle persone, partendo dalle scuole?
Nelle scuole facciamo percorsi di conoscenza nell’ambito dell’educazione civica, ma la parte formativa è solo una di cui si occupa Libera. C’è la questione dei beni confiscati alle mafie, una trentina nel nostro territorio, che vengono destinati a scopi civili e sociali. A Pioraco c’è una villa, a Vallefoglia c’è un capannone che poi diventerà un emporio per alimenti da distribuire alle fasce deboli di popolazione. Ma il territorio deve essere consapevole perché stanno aumentando i beni confiscati, anche qui, segno che non siamo immuni da questi fenomeni. Non dobbiamo fare spallucce quando vediamo qualcosa di strano o sospetto: possiamo fare segnalazioni, poi le indagini le faranno le forze dell’ordine, ma dobbiamo essere preparati e informati per avere quello sguardo consapevole che può risultare molto utile, senza allarmismi o pregiudizi.

Segui La Voce Misena sui canali social FacebookInstagramX e Telegram.
Scarica l’app da Google Play o da App Store.

Maria Falcone: “La lotta alla mafia è anche promuovere una cultura diversa”

Maria Falcone

Maria Falcone ne è certa: “Giovanni sarebbe soddisfatto per come si sia mantenuta in questi trent’anni la memoria dolorosa per la strage, ma soprattutto per come, negli ultimi anni, le sue idee continuino a cammianare sulle gambe di tante persone”. La sorella del magistrato ucciso dalla mafia, nell’attentato alle porte di Palermo, il 23 maggio 1992, parla a trent’anni di distanza da quel giorno, che ha segnato un solco nella lotta a Cosa Nostra. E lo ribadisce con sicurezza: “Tutto quello che riguarda la lotta alla mafia oggi si rifà alle idee di Giovanni, che sono state comprese e portate avanti non solo in Italia ma a livello internazionale – aggiunge -. Sono stata spesso alle Nazioni Unite e ho notato nei convitati quanto all’italia si riconosca l’impegno antimafia nel segno di Giovanni”.

Nei giorni scorsi, in occasione della Conferenza internazionale dei Procuratori generali a Palermo, la presidente della fondazione Giovanni Falcone aveva parlato di “un’iniziativa che concorre a rimarginare la ferita inferta a mio fratello da molti esponenti della magistratura che furono protagonisti, durante tutta la sua carriera, di attacchi violenti e delegittimanti che concorsero al suo isolamento”. Per Maria Falcone, “assistere, se pure a distanza di tempo, a questa testimonianza e al riconoscimento della straordinaria rilevanza del lavoro di Giovanni da parte di una magistratura per troppo tempo ostile, mi restituisce un po’ di pace e mi fa sperare che il passato sia ormai alle spalle. Finalmente viene riconosciuta la portata delle intuizioni e dell’attività investigativa e culturale di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per anni percepiti come un problema invece che come risorse e osteggiati dalla miopia e, in qualche caso, dall’invidia di colleghi che non seppero o non vollero vedere comprendere la loro visione e la loro lungimiranza”.

Professoressa, qual è stata la sua reazione dopo la strage di Capaci?
Quando Giovanni è morto, io ero disperata non solo come sorella ma anche come cittadina italiana, perché temevo, dopo aver vissuto accanto a lui i momenti del suo lavoro per dieci anni a Palermo e dopo essere arrivati a tante vittorie come il maxiprocesso, che tutto potesse essere dimenticato. In quei giorni, il mio dolore era la possibilità che il suo lavoro anche a Roma alla legislazione antimafia e alla legge sui pentiti potesse andare perso. Con questo timore e pensiero negativo nella mente mi sono chiesta cosa potessi fare. Così il primo istinto fu quello di creare con gli amici di Giovanni una fondazione. Ho cercato di portare avanti soprattutto un’idea di Giovanni: nella lotta alla mafia non basta la repressione ma è necessaria una cultura diversa, una società diversa di nuovi soggetti giovani che dismettesse tutti gli atteggiamenti di connivenza e di mafiosità, come l’indifferenza e l’omertà. Così ho capito che potevo parlare ai giovani per superare questi atteggiamenti. In trent’anni questi passi avanti sono stati fatti. Se la memoria di Giovanni è così viva lo dobbiamo a tanti insegnanti d’Italia. Quando sono andata nelle scuole ho trovato ragazzi preparati.

Trent’anni dopo, come ricordate suo fratello e le altre vittime della strage di Capaci?
Ho notato una grande attenzione da tutti i media e la voglia di creare, in questi giorni, anche una memoria visiva attraverso la tv che parlasse agli italiani. La Fondazione dà l’opportunità a tutta la città di Palermo di partecipare. Quest’anno la manifestazione non la facciamo in un’aula chiusa per motivi di Covid, come l’aula bunker, ma al foro italico. Con la partecipazione delle scuole, delle istituzioni.Ai giovani abbiamo voluto dare una lezione di educazione civica che fosse una memoria di tutti i mortidi mafia, non solo di Giovanni, Francesca e degli agenti della scorta. Ogni scuola ha scelto una vittima della mafia e l’ha fatta studiare. Poi, ha realizzato un lenzuolo, che sarà esposto nella piazza. L’anno scorso abbiamo cominciato con i giovani anche un percorso artistico. Abbiamo puntato sulla bellezza dell’arte, come contraltare alle bruttezza della mafia con tante opere installate a Palermo, come murales. Allo Spasimo arriva un albero realizzato da un artista di Bolzano con 400 rami alla cui estremità vi saranno affissi i volti delle vittime di mafia. Abbiamo scelto, dunque, tre direttirci: la memoria condivisa di tutte le vittime di mafia, una memoria che deve essere collettiva. Quest’anno, con l’appoggio dalla Provincia autonoma di Bolzano, abbiamo voluto anche unire i due estremi del Paese, indicando la mafia non solo come un problema della Sicilia ma che riguarda tutti. E, infine, l’arte come strumento di bellezza.

Secondo lei, come è cambiata, se è cambiata, la mafia oggi?
Giovanni diceva che la mafia cambia a seconda delle esigenze del momento, ma resta sempre uguale. In questi anni abbiamo attraversato momenti difficilissimi, come il Covid e ora la guerra in Ucraina, e l’attenzione si è spostata su queste emergenze, ma non bisogna togliere spazio all’emergenza mafia. Che c’è, esiste e approfitterà di questi momenti di debolezza.

Quanto le è mancato Giovanni in questi trent’anni?
Mi è mancato tantissimo, è una mancanza materiale ma spiritualmente c’è. Lo sento sempre nei miei pensieri e non ho il tempo di pensare che lui non ci sia.

a cura di Filippo Passantino

Fame di lavoro e di denaro

Rischio economico da pandemia

La “paralisi economica” provocata dalla pandemia di coronavirus può aprire alle mafie “prospettive di arricchimento ed espansione paragonabili a ritmi di crescita che può offrire solo un contesto post-bellico”. È l’allarme contenuto nell’ultima Relazione semestrale della Dia inviata al Parlamento nella quale un intero capitolo è dedicato proprio all’emergenza Covid. Il rischio è che le mafie allarghino il loro ruolo di “player affidabili ed efficaci” a livello globale, mettendo le mani anche su aziende di medie e grandi dimensioni in crisi di liquidità. Ma non sono solo le imprese il target a cui le mafie guardano: “Le organizzazioni si stanno proponendo come welfare alternativo a quello statale, offrendo generi di prima necessità e sussidi di carattere economico”. Tra gli altri dati della Relazione, uno rilevante riguarda l’azzardo visto che “giochi e scommesse” sono un settore “attorno al quale sono andati a polarizzarsi gli interessi di tutte le organizzazioni mafiose, in alcuni casi addirittura ‘in consorzio’ tra di loro”. I sempre maggiori profitti “vengono realizzati secondo due direttrici: da un lato la gestione ‘storica’ del gioco d’azzardo illegale, le cui prospettive sono andate allargandosi con l’offerta on line; dall’altro, la contaminazione del mercato del gioco e delle scommesse legali”. Del quadro emerso dalla Relazione della Dia parliamo con mons. Alberto D’Urso, presidente della Consulta nazionale antiusura.

Il quadro emerso dalla Relazione semestrale della Dia con un focus sulle conseguenze del Covid-19 confermano quanto la Consulta sta denunciando da mesi…

Nei periodi di crisi economica e finanziaria il mondo della criminalità prospera perché chi ha denaro lo usa come forma di potere per possedere e sfruttare chi è in stato di bisogno ed è più vulnerabile. È certo che il coronavirus ha portato un aumento di bisogni perché parecchie persone hanno perduto il lavoro, mentre tutto costa di più. La pandemia è venuta a incidere in un ambiente sociale già complesso: nel 2019 il Pil si è ridotto di almeno due punti, ma più in generale siamo all’interno di una crisi non ancora risolta iniziata nel 2008.

Il coronavirus ha aggravato ulteriormente la situazione.

Le organizzazioni criminali, che non tengono in alcun conto il valore e la dignità delle persone, badano solo al loro profitto, in qualsiasi modo ottenuto. E se ci sono tanti negozianti onesti che non possono riaprire le loro attività per le perdite subite con il Covid-19, vediamo fiorire tanti compro oro perché c’è tanta gente disperata che vende i pochi averi che ha. Questo è lo scenario nel quale stiamo vivendo: lo sappiamo dalla testimonianza diretta di tanti che ci chiedono aiuto.

L’azzardo, sia quello “legale” sia l’illegale, secondo la Relazione della Dia, è un settore che fa molta gola alle mafie…

Innanzitutto, voglio precisare che per noi l’azzardo legale non esiste e lo Stato in questo caso diventa un biscazziere e non un educatore. Detto questo, il mondo dell’illegalità, che ora, grazie al Covid, si sta tuffando più che mai nel mondo del bisogno, ha interesse a infiltrarsi anche nel cosiddetto azzardo legale per accrescere i suoi guadagni. L’anno scorso non sono diminuite le spese per il gioco, quest’anno un po’ solo perché non ci sono soldi.

La Relazione evidenzia anche che le mafie costituiscono un welfare alternativo sul territorio…

La criminalità organizzata ha una liquidità immediata da offrire a chi versa in cattive acque, acquisendo nei fatti le attività di chi le si rivolge per ottenere prestiti e, alla fine, resta titolare solo come prestanome. Tra l’altro, ora le mafie sono disposte a prestare denaro agli stessi interessi delle banche, ma mentre queste ultime prima di erogare un prestito “perdono tempo” per avere le garanzie, le organizzazioni criminali hanno come garanzie la manovalanza che così acquistano, le mogli, i mariti, le figlie e i figli dei loro debitori minacciati, la droga, la prostituzione. Quindi, il mondo dell’illegalità ha abbassato gli interessi dei soldi che presta pur di avere un mercato più aperto dove poter operare. Inoltre, si guadagnano così consensi sul territorio perché la gente disperata non può aspettare tempi lunghi, ha bisogno di mettere a tavola il pane quotidiano. Anche tutte le promesse fatte dal Governo su quello che darà l’anno venturo sono tante parole, ma la gente ha fame oggi.

Cosa chiede la Consulta in questo frangente così difficile?

Se i soldi ci sono bisogna che il Governo non aspetti, ma li dia subito per ridurre il bacino di persone fragili che più facilmente possono cadere nella rete della criminalità. E non dimentichiamo un’altra emergenza: molte persone, che hanno perso il lavoro, ora rischiano di perdere anche la casa perché hanno difficoltà a pagare le rate del mutuo. Le case saranno svendute all’asta. Noi abbiamo chiesto di sospendere le rate almeno fino a dicembre, ma il governo è sordo e non va dal dottore. Fa le leggi contro l’usura ma poi nei fatti non cerca di stroncare i fenomeni che la favoriscono. È necessario pensare a un sistema economico che sia in grado di produrre e distribuire ricchezza e occupazione. È l’unica via per contrastare la povertà e le disuguaglianze, cunei in cui si infiltra l’usura, a favore dell’equità sociale ed economica.

Gigliola Alfaro