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Tag: bosnia erzegovina

Trent’anni fa Arcevia accoglieva tanti profughi bosniaci e alcuni sono rimasti qui

Il racconto di Zijada Karić, profuga, con la sua famiglia per fuggire dalla guerra in Bosnia. Per poi rimanere in Italia. Ad Arcevia hanno trovato ospitalità tante persone ed il paese ha dato il meglio di sé nel far sentire a casa quanti cercavano un luogo per ritrovare un po’ di pace.

Zijada, come sei arrivata in Arcevia?
C’era la guerra in Bosnia ed Erzegovina. Abitavo a Sarajevo e sono stata sotto le bombe per cinque mesi, un’esperienza che non auguro a nessuno. Dopo aver visto un massacro nel quale sono stati uccisi tanti bambini, mi sono resa conto che dovevo mettere in salvo il mio bambino di quattro anni e mezzo, mentre ero incinta del mio secondo figlio. Siamo fuggiti in Croazia, mio marito mi ha lasciata lì per poi tornare indietro; siamo rimasti un anno in Croazia, dove è nato il mio secondo figlio. Siamo stati bene, sembra strano dirlo, ma mi sono resa conto che il bene e il male possono convivere ovunque. Ricordo in particolare la signora Gorana Nenadic che ha rischiato la sua vita per salvare la mia famiglia. Poi le cose in Bosnia si sono complicate, la guerra ha messo in contrapposizione anche croati e bosniaci (musulmani, ndr) e quindi dovevo scappare di nuovo. Mio marito era venuto a visitarci, ma poi proprio per questa situazione non è più riuscito a tornare in Bosnia. Nena ci ha aiutati a prendere il traghetto a Spalato e siamo arrivati in Ancona. Non dimenticherò mai l’accoglienza dei Carabinieri, non avevo nemmeno il passaporto, ma la comprensione per il nostro dramma è stata totale. Dopo cinque giorni all’hotel Rosa, siamo stati trasferiti in Arcevia, dove c’erano già centoquaranta persone e trenta bambini. Due anni ospiti nell’albergo “Alle terrazze” ed oggi, dopo trent’anni, siamo ancora in Arcevia.
Cosa ricordi di quel primo periodo in Italia?
Non capivo una parola di italiano, ma il sorriso, una stretta di mano e gli abbracci sono una lingua comprensibile a tutti. Mi emoziono ancora nel pensarci, perché un’accoglienza del genere non si può descrivere con le sole parole. La direttrice dell’hotel ‘Alle terrazze’, Catia Vecchi, che sento come una di casa, è stata tanto gentile, ha organizzato tutto al meglio. Finalmente eravamo in pace, i miei bambini potevano giocare tranquilli. Tante signore venivano a trovarci, ad aiutarci. Il dottore, Mario Schiaroli e sua moglie si facevano vedere spesso per chiederci se avevamo bisogno di qualcosa; gli arceviesi ci hanno donato affetto e solidarietà davvero speciali. Abbiamo festeggiato le nostre feste musulmane, i compleanni dei miei figli, le ricorrenze più importanti con grande armonia e amore reciproco, con una gioia che non pensavamo più possibile.
Com’è adesso la vostra vita in Arcevia?
Ci siamo inseriti bene, ci siamo sempre dati da fare cercando di vivere una vita normale Abbiamo trovato lavoro, casa. I miei figli hanno studiato, fatto sport, lavorano entrambi, uno si è sposato e siamo diventati nonni di un nipotino. Ho tanti amici di cui non dico i nomi, perché sono davvero troppi da citare. È vero che chi trova un amico, trova un tesoro. Loro sanno che se hanno bisogno noi ci siamo e viceversa noi possiamo contare su di essi. Abbiamo fatto tantissime cose insieme e questo ci ha profondamente legati. Oggi in Arcevia vivono una decina di famiglie bosniache.
Cosa ti manca di più della tua terra?
Il paesaggio dove sono nata, ognuno di noi ha nel cuore il suo paesaggio preferito. Ogni giorno chiudo gli occhi e sono idealmente a Sarajevo. Mi auguro che un giorno, chiudendo gli occhi io possa riaprirli e il paesaggio del mio cuore è lì per davvero, in compagnia di mia madre – che invece vedo soltanto due volte all’anno – e ai miei familiari. Nostra madre è anche la nostra patria che aspetta e spera che i suoi figli tornino da lei. Mi capita, però di chiedermi se sia possibile avere due patrie. L’Italia è la mia seconda patria, tante persone di qua hanno aiutato tanto il mio Paese ed io mi sento profondamente legata ad entrambe.
Che effetto fa sentire ancora notizie di persone in fuga dalla guerra?
Provo tanto dolore, non riesco ad ascoltare le notizie perché mi viene da piangere, emergono tanti brutti ricordi di esperienze vissute da noi. Quando è iniziata la guerra in Ucraina e ho visto donne e bambini in quella stessa situazione ho pianto tanto, adesso soffro per quanto succede in Medioriente. E mi chiedo: perché? La religione non c’entra niente, a Sarajevo festeggiavamo le feste di tutti, non ci importava della fede a cui appartenevano le altre persone. La guerra la decidono i potenti, la gente normale la subisce; ogni libro sacro dice ‘ama il prossimo tuo come te stesso’ e se Dio ha voluto fare un giardino con fiori diversi, dobbiamo rispettarci perché un giardino di tanti colori è più bello. Ancora tanti innocenti uccisi e chi può fermare la guerra non fa nulla per farla cessare.
Cosa ha aiutato il vostro inserimento ad Arcevia?
Dobbiamo essere onesti, sinceri e veri soprattutto nelle piccole comunità. Ci conosciamo tutti e la fiducia reciproca si costruisce ogni giorno vivendo insieme. Abbiamo condiviso tante esperienze. Io, ad esempio, ho preso parte a tante iniziative: ARTcevia, una mostra internazionale di arte, ho ballato, pregato insieme ai cristiani, ho ricordato donne e bambini bosniaci uccisi durante la guerra. In una piccola comunità si possono costruire tante cose belle ed il rispetto reciproco c’è stato fin dall’inizio. Provo ad aiutare tutti i giorni, per quello che posso, l’amore è un canale prezioso per trasmettere energia positiva. Aiutiamoci e Dio ci aiuterà. Il mio primo lavoro mi è stato offerto dal parroco di allora, don Filippo, facevo le pulizie dentro la chiesa e lui sapeva che sono musulmana; poi anche don Sergio lo ha confermato. Anche i miei figli si sono sempre sentiti accolti, forse, adesso ho più amici qui che a Sarajevo, dove sono cambiate tante cose.
Cosa desideri per il tuo Paese?
Intanto la pace; poi che potrò accogliere serenamente i tanti amici italiani e che non torni più la guerra perché riusciamo a tornare a vivere insieme come prima del 1992. Ogni volta che torno in Bosnia Erzegovina vedo tanti cambiamenti, come del resto è cambiato il mondo; la bellezza del mio Paese e della città sono rimaste, le persone provano ad andare avanti ma ancora c’è da fare sopratutto nella politica, ancora troppo divisa. Ma ho fiducia nei piccoli passi di miglioramento e guardo il futuro con serenità.

a cura di Laura Mandolini

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Vite, pane e speranza, le vittime di ogni guerra. Parla il vescovo bosniaco Pero Sudar.

Pero Sudar è stato vescovo ausialiare di Sarajevo, Bosnia Erzegovina

Pero Sudar è un vescovo cattolico. Nato in Bosnia Erzegovina, è stato consacrato vescovo il 6 gennaio 1994, quando il suo paese e la capitale Sarajevo vivevano l’inferno di una guerra che somiglia proprio tanto a quella che sta devastando l’Ucraina. Fino al 2019 è stato vescovo ausiliare della diocesi di Sarajevo, ideatore e promotore delle ‘Scuole per l’Europa’, tra i più raffinati ed ascoltati intellettuali dei Balcani. Grazie al decennale gemellaggio con l’Azione Cattolica senigalliese, nato all’indomani del conflitto balcanico, è forte il legame con la nostra realtà ed ha accolto l’invito a farci aiutare per tentare di comprendere quanto sta succedendo in Europa, oggi.

Torna la guerra vicina (visto che non è mai sparita dal mondo…),  il male totale. Abbiamo bisogno di tentare qualche spiegazione, anche se molto è fuori dalla nostra comprensione profonda…

Per poter spiegare la guerra, bisognerebbe entrare nelle teste e negli stati d’animo di coloro che la impongono. Ho avuto abbastanza tempo nelle notti durante il lungo assedio della città di Sarajevo per pensarci sopra e ho concluso che si dovrebbe uscire dal pensare normale, perché la guerra non è uno stato normale dell’animo umano. La guerra possono imporla solo le menti uscite dal loro uso normale, perché la guerra si oppone alla logica normale, che è la logica del bene. D’altra parte, la triste verità che nella conosciuta storia umana, secondo gli esperti, sono state solo due le settimane senza una guerra, ci costringe a riconoscere che l’essere umano è molto incline ad agire contro la logica del bene. Qui si pone la domanda di fondo: perché cerchiamo di continuodi raggiungere il bene percorrendo la strada del male? L’unica risposta potrebbe essere nella logica e cultura del tutto sbagliata e disumana in cui veniamo educati e che regna tra la maggior parte degli esseri umani, e cioè che la forza e il potere siano valori positivida raggiungere ad ogni costo. La logica del potere, che si nutre approfittando della debolezza dei deboli, necessariamente porta all’aggressione e induce alle guerre che diventano così non soltanto “logiche”, ma necessarie. Può sembrare assurdo, e in queste circostanze anche fuori luogo affermarlo, ma nel contesto della logica del potere, Putin non aveva altra scelta, visto che il suo avversario numero uno, identificato sotto il nome della NATO, cercava di arrivare ai confini non del suo Paese, ma della sua “zona di caccia”. Però, la verità è che la vita regolata dalla forza e della dominanza del più forte appartiene al mondo animalesco e non a quello umano! Questa guerratragica per tutti, in cui solo il primo ed immediato prezzo verrà pagato dal popolo ucraino, è una ennesima conferma e, forse, l’ultima occasione per abbandonare la logica animalesca ed accettare quella umana, perché ormai riguarda la pura sopravvivenza umana.  In fondo, si tratta dell’invito che Gesù ha rivolto ad ogni uomo e a tutte le generazioni: convertitevi!

Trent’anni fa iniziava un altro conflitto, nella ex Jugoslavia, che pensavamo inimmaginabile: cosa dice oggi quella terribile pagina di storia?

Quella pagina racconta la sola ed unica verità esprimibile: tutte le vite spezzate, le tante persone ferite e mutilate, i milioni di cacciati dalle loro terre e diventati profughi, le intere città e zone distrutte…non sono serviti a niente! E’ rimasto solo l’odio, l’intolleranza e, nelcaso della Bosnia Erzegovina, uno Stato “Frankenstein”, invenzione e regalo degli Stati Uniti d’America, da cui fugge chi può. Il conflitto e le guerre in ex Jugoslavia, come del resto dappertutto, hanno dimostrato che la guerra non risolve le difficolta già esistenti, ma ne aggiunge altre, più gravi e più complesse.  I popoli della ex Jugoslavia, sperando con la guerra di poter liberare i propri paesi e se stessi dai governanti comunisti, si sono consegnati ai potenti del mondo e oggirimpiangono il vecchio regime. Che sconfitta!

La guerra del sangue, quella del pane e quella della speranza. Ricordiamo in molti le sue parole, testimoniando quanto accadeva in Bosnia Erzegovina: quali sono state vinte, quali invece sanguinano ancora?

E’ difficile dirlo! In un certo senso, non ci siamo più esposti alla prova del sangue, dato che non si spara più. Non so, però, se si possa dire che sia passata la prova del pane. La grande disoccupazione è una delle conseguenze della guerra che ci riduce a un Paese estremamente povero. Tutte le fabbriche in cui lavorava tanta gente e che sono state distrutte in guerra non hanno più ripresole attività. La prova della speranza non è passata per niente. Anzi! Pare che divampi in modo più devastante che durante la guerra. Come è possibile? Mi chiederà. Durante il conflitto la gente nutriva la speranza che la guerra, seppur lunga e sanguinosa, un giorno sarebbe finita e che dopo la guerra si sarebbero create le condizioni per una vita normale e migliore. Questo, però, non è avvenuto. Nello Stato fantasma la guerra continua con tutti i mezzi, tranne le armi. Non potendo più resistere a questa prova della speranza, molta nostra gente, particolarmente i giovani, lasciano la Bosnia Erzegovina. Le statistiche dicono che abbiamo perso più abitanti nel periodo del dopoguerra che durante l’intera guerra. Questo vale in modo drammatico per i Croati cattolici.       

Qual è lo sguardo di chi vive nella sua terra su quanto accade nella vicinissima Ucraina?

Temo che la maggior parte della nostra gente, dopo aver sofferto tanto e perso quasi tutto,pensa con le teste dei contrapposti politici che ci rappresentano. Come siamo divisi in tutto, secondo l’appartenenza nazionale, così siamo divisi anche sulla guerra in Ucraina. Proprio oggi (04.03.) è stata interrotta la seduta della Presidenza collegiale a causa degli opposti pareri dei suoi membri sulla posizione che il nostro Paese dovrebbe prendere a riguardo della guerra in Ucraina. Purtroppo, nonostante le esperienze tragiche della nostra guerra, non vengono prese in considerazione, prima di tutto le vite umane, la pace e la libertà dei popoli, ma ci si schiera da una o dall’altra parte, tenendo conto dei propri interessi o dei legami storici, politici e religiosi. Anche questo illustra che cosa ci ha lasciato la guerra e in che condizioni ci mantiene la pace ingiusta e la amorale soluzione politica imposta a Dayton, e ancora di più la sua dispotica implementazione. Purtroppo i “grandi” della terra ci governano servendosi dell’arroganza, tenendo conto solo degli interessi del loro potere.Questa è diventata la grande minaccia per il futuro della nostra specie checi dovrebbe svegliare prima che sia troppo tardi. Dio, a cui abbiamo attribuito di essere onnipotente, ci rivela in Gesù Cristo che il vero potere sta nella capacità e nella disponibilità a rinunciare a dominare l’altro, a favore della dignità e della libertà di ogni uomo. Il vero uomo, credente o meno, segue questa strada perché solo così, seguendo l’esempio del Figlio dell’uomo, salva la propria missione e dignità e si fa promotore attivo della libertà degli altri.

Le luci si sono spente su tanti altri terreni sconvolti e lasciati a loro stessi (Siria, Afghanistan, Yemen, Congo…). Davvero gli uomini non imparano nulla dalla storia?

Tutte queste guerre dimenticate testimoniano non soltanto che siamo pessimi alunni della storia, ma che con la guerra non si possono risolvere le difficoltà, le tensioni e le ingiustizie. La guerra è il folle tentativo di spegnere il fuoco con la benzina!

Lei si è occupato tanto di nonviolenza: suona come una provocazione o davvero è l’unica strada percorribile?

La nonviolenza è come la vita, va curata e protetta prima che diventi la vittima della violenza, come succede alla vita con la morte. Certo, gridare la nonviolenza mentre la violenza semina la morte, non soltanto sembra, ma diventa una provocazione. Chi è stato aggredito ha il diritto e il dovere di difendere se stesso e gli altri, perché non è umano lasciare che la violenza si impadronisca della vita. Però, il criterio che fa la differenza tra la violenza e la nonviolenza sta nel motivo con cui si usa la forza. Se la forza viene usata esclusivamente per fermare la violenza, la si può giustificare perché protegge e non annienta la vita. In questo senso, l’unica guerra “giusta” è quella che mira ad impedire e, se cominciata, a fermare la guerra. Una volta fermata la guerra, bisogna abbracciare la logica della nonviolenza per impedire che ricominci di nuovo. La nonviolenza non è una realtà a se stante, essa poggia sul fermo e solido fondamento della giustizia e della solidarietà. La cultura della nonviolenza è possibile solo in una cultura e in una mentalità che consideranoe praticano il poterecome servizio e non come oppressione dei deboli. Temo che siamo ancora molto lontani da questa mentalità e pratica, però i primi passi li dobbiamo fare. Per essere concreto, io mi auguro che da questa guerra insensata e dalla violenza disumana a cui stiamo assistendo, la Russia e l’Europa escano dall’epoca della pericolosa e inaccettabile diffidenza e ostilità. Venticinque anni fa posi ad un vescovo russo tuttora molto influente la domanda se lui vedesse il futuro della Russia nell’Unione Europea.Mi guardò come se gli avessi posto una domanda poco sensata e scortese. So bene, purtroppo, che anche tanti “europei” la pensano così. Però io sono convinto che questo atteggiamento è a danno di tuttie che il futuro pacifico e prospero dell’Europa è con e non contro la Russia, perché la Russia è Europa. Il popolo russo, nonostante tutti i crimini che i suoi dirigenti, solo nell’ultimo secolo, hanno commesso contro i popoli vicini, merita un trattamento di solidarietà e di amicizia, perché anch’esso è stato, e lo è tuttora, una grande vittima dei propri regimi. Questo, però, non negala necessità della condanna dell’invasione russa, che non è solo di Putin, e della solidarietà al popolo ucraino. Anzi! Infatti, intendiamoci, nessuno può far del bene a lungo ai Paesi vicini alla Russia spingendoli all’ostilità con essa. In questa luce bisogna interrogarci sulla responsabilità degli Stati Uniti d’America e dei loro alleati per la guerra in Ucraina! Che senso ha invitare o costringere un Paese a far parte della NATO rischiando il suo scontro con il “vicino nucleare”? Io non capisco coloro che oggi, con tutta ragione, condannano la Russia e mezzo secolo fa hanno appoggiato gli Stati Uniti d’America nella crisi cubana e senza riserva li appoggiano nel loro pericoloso agire nel mondo.Doppie misure così ovvie e plateali non hanno niente a che fare con la democrazia e inducono a pericoli e catastrofi “mai visti”!

La nonviolenza rimane l’unica strada che ci può portare a una civiltà della pace e della solidarietà. Ancora di più, la nonviolenza a noi cristiani è comandata; non possiamo definirci cristiani e aderire alla legge del potere come dominio e violenza. Detto questo, devo confessare che mi spaventa e mi fa pensare il fatto che prima dell’invasione russa sull’Ucraina, in “guerra” si sono trovate le Chiese sorelle, quella russo-ortodossa e quella ucraino-ortodossa che si ritiene autocefala. Abbiamo anche noi cristiani dimenticato o scartato la saggia lezione e l’invito del Profeta dei nostri tempi che, nonostante l’aver pagato sulla propria pelle la vicinanza del suo Paese alla Russia e la sua idea di un’Europa unita e democratica, insegnava che l’Europa per sopravvivere e prosperare deve respirare con i suoi due polmoni?Dio ci illumini le menti e sani i cuori per poter imboccare la strada che ci porta più vicini a Lui e tra di noi!

a cura di Laura Mandolini