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Tag: cinema

Luce in sala, ritratti di comunità. Una mostra fotografica racconta tanti cinema di prossimità

Un fermo immagine per raccontare vite di cinema, al cinema. Margherita Mirabella ha messo il naso nella quotidiana esistenza di tante sale della comunità, associate all’Acec, per catturare storie di impegno e passione, volti e progetti. Tutto racchiuso in una mostra fotografica, “Sale della Comunità: lo spazio in vita” che parla molto più di mille parole. La immaginiamo tra sipari, poltroncine, dietro la cassa, seduta in ultima fila a cogliere la luce migliore per i suoi scatti, i soggetti più eloquenti, tutte e tutti incorniciati in un avvincente percorso iconografico che ci fa entrare in posti speciali. Mostra di grande qualità, appoggiata a pannelli ‘vivi’, anche per lasciare traccia ai posteri di storie bellissime, parte di una grande storia.

Un emozionante assaggio della mostra ha trovato posto al cinema Kinemax di Gorizia, in occasione degli Incontri del Cinema d’essai 2025, all’inizio di ottobre, organizzati come ogni anno dalla Fice e quest’anno inseriti tra le iniziative di GO!, Gorizia e Nova Gorica, capitali europee della cultura. L’abbiamo incontrata.

Quale punto di vista hai scelto per questo reportage?
Ho cominciato questo lavoro il giorno in cui è morto Papa Francesco: i miei colleghi fotografi andavano in Vaticano, io ho preso la macchina e sono andata invece in Val Policella a fotografare la prima sala della serie. Quando mi sono trovata davanti ai volontari di quel cinema, ho capito che la chiave di lettura di questo racconto doveva essere il lavoro di conservazione delle sale, perché la sala ha una vita propria che non necessariamente contempla il pubblico. Nelle fotografie ho voluto raccontare la luce naturale che entra lì dentro, ho avvertito che hanno un respiro tutto loro. Sale che sono la memoria delle persone che le vivono, un incubatore di esistenze che proprio lì si sono sedute, hanno mangiato pop corn, hanno visto film, si sono amate, innamorate, hanno litigato, si sono annoiate, o divertite. Basterebbe soltanto fermarsi ad ammirare le sedie per cogliere questa abbondanza di vite, che eloquenza! Da questo approccio è nata l’idea di dividere il mio lavoro in tre parti: quella umana, con i ritratti alle persone che animano le sale, fotografate sullo sfondo di tende di velluto, marchio di fabbrica di ogni luogo di cultura teatrale e cinematografica. Poi la sala vuota, perché ha tanto da raccontare di se stessa soltanto per come è; infine ho catturato il momento in cui ero fisicamente presente in proposte e serate, cogliendo ad esempio la gente in attesa di entrare, o durante un dibattito con i protagonisti di film, o in altre iniziative create attorno alla proiezione.

Giro d’Italia in 26 sale: cosa ti porti dietro?
L’aver toccato con mano una dimensione autenticamente umana: non ci sono telefoni cellulari a comandare e a dare il ritmo al tempo insieme, non c’è distrazione, c’è invece tanta condivisione. È stato molto bello vedere come le persone si ritrovino nelle sale, veri e propri poli di comunicazione sana, finalmente, senza social, senza Instagram, senza Facebook, senza tutto quello che è fuori dal relazionarsi in carne ed ossa. Sono davvero occasioni di ritrovo, di compagnia, di critica e circolazione di idee. Si guarda insieme il film, si discute, si capisce qual è il punto di vista dell’altro. Cultura che nutre, la bellezza di un’opera d’arte che diventa patrimonio comune, perché il cinema è arte!

Sala e comunità, connubio vincente…
Si parla di sale della comunità, ma per me è la comunità per la sala, possiamo ribaltare tranquillamente la prospettiva. Le comunità servono a tenere vivo uno spazio, lo spazio serve a tenere vive le persone e insieme.

Nelle tue fotografie è la sala stessa ad essere un personaggio da ritrarre …
È bellissimo questo approccio, è vero: la sala è protagonista perché è un luogo che accoglie e lo fa con una sua forte personalità. Ci sono elementi che sono apparentemente tutti uguali, le sedie, lo schermo, la toilette, la cassa, il popcorn… ma ognuna di queste sale ha la sua identità. Se avessi evitato di mettere le didascalie sotto le fotografie, avremmo potuto immaginare una un’unica sala che si racconta in tanti modi e posti. A me, alla fine, non interessa identificare il singolo edificio. Sono sostanzialmente ritratti di comunità che trovano il loro profilo peculiare ed unico, per accogliere e dare casa ai film.

Ogni luogo uno spazio vivo e originale…
Esatto. Pensiamo a Marc Augé, quando parlava del non luogo. Tutto il contrario: questi sono luoghi che nulla hanno a che fare con l’omologazione, ad esempio, dei centro commerciali, tutti identici negli Stati Uniti, come in Cina, come a Roma. La sala di ogni piccola o grande città dove sono stata è riconoscibile e non replicabile. Ho conosciuto una realtà molto, molto affascinante. Ho scoperto tanto lavoro che precede e segue la proiezione di un film, tante persone che fanno sì che tu possa vedere quel film e vederlo al meglio. Che lo scelgono, lo selezionano pensando se possa essere adatto a quel pubblico, che hanno a cuore la bellezza della fruizione… Siamo lontanissimi dall’omologazione commerciale. Qui si hanno presenti i volti, i gusti, i percorsi dalla lunga storia. Tutti dovremmo avere la possibilità di fruire in questo modo dell’opera d’arte che è il cinema. Il cinema, se ci pensi, è un’unica parola che si usa sia per l’arte cinematografica, sia per il luogo. Un tutt’uno, creatività e spazio in cui esercitare bellezza.

Sale che ci fai conoscere grazie ad immagini stampate e non viste in uno schermo luminoso. È un’Italia che non urla, non finisce sulle prime pagine ma è tessuto connettivo delle nostre comunità. Assolutamente. Vado a vedere mostre in continuazione, ma la mostra è un’esperienza solitaria, anche quando magari ci si organizza per andare in più persone. Il film al cinema, anche se non parlerai necessariamente col tuo vicino di poltrona, è vissuto contemporaneamente da tante persone intorno a te, con i respiri, le risate, le reazioni… sappiamo che le emozioni sono contagiose e crescono nel momento in cui vengono condivise, anche se si tratta di perfetti sconosciuti, ma che sono lì per la stessa ragione per cui ci sei tu. Il cinema visto in sala, inoltre, attiva anche la cosiddetta comunicazione ‘a caldo’, orami quasi persa. Piuttosto la gente fa un post su Instagram per dire ho visto questo film, sono qui, con tanto di selfie all’entrata di identici edifici. No, andiamo controcorrente, parliamo, condividiamo, viviamo insieme. Decentriamoci e la sala della comunità è un bel posto per farlo.

Cosa ti auguri che susciti questa mostra che poi toccherà diverse località del nostro Paese?
Mi piacerebbe che le persone, guardando queste foto, si sentissero a casa, riconoscessero un ambiente accogliente dove hai voglia di andare e tornare, che magari ti riporti alla memoria tanta tua vita intensa. Ci sono delle foto che a me fanno pensare alla mia infanzia, a mia madre che mi ha portata a vedere L’albero degli Zoccoli a quattro anni. Andavo al cinema con lei tutte le settimane, esperienze indelebili che mi hanno formata ed educato lo sguardo. Vorrei che queste fotografie facessero sentire la sala come un luogo dell’anima, quasi a prescindere dal titolo proposto. La sala che conosci e che sa di casa, sei lì, c’è la tua abitudine, la tua sicurezza, il tuo sentirti parte. Mentre attendi con trepidazione di vedere un film che ti possa emozionare e sorprendere ancora una volta.

a cura di Laura Mandolini

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Uno sguardo diverso sui senzatetto: a Senigallia il regista Sassoli con il film ‘San Damiano’

L’estate del cinema ‘Gabbiano’ di Senigallia si è arricchita lo scorso 28 luglio della proiezione di ‘San Damiano’, un’opera che racconta l’incontro tra persone senzatetto segnate dalla violenza e dalla solitudine, che parla di chi vive ai margini. In questo caso si tratta dei senza dimora stanziati attorno alla stazione Termini di Roma. Erano presenti per l’occasione, Gregorio Sassoli, uno dei due registi; Alessandro Carta, presidente della Fiopsd – Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora; e Chiara Mondaini, responsabile dell’area inclusione e pari opportunità della cooperativa sociale Polo9. L’evento è nato grazie alla collaborazione con la stessa cooperativa Polo9, Caritas Senigallia, Free Woman, On the road, La Tenda di Abramo, Cnca e RiBò: sigle che a diverso titolo nel nostro territorio sono impegnate in questo ambito.

Durante l’intervista, Sassoli ha detto che “San Damiano” è nato casualmente, dall’incontro con il senzatetto Damiano mentre registravano un altro film. «Volevamo una storia immersiva, non un’opera giornalistica o di classico stile documentario ed in effetti la chiave di tutto è l’emotività, che attraversa ogni scena, rendendo l’esperienza profonda e coinvolgente. Il significato della pellicola si concentra proprio su questo: raccontare quanto sia difficile sopravvivere alle proprie ferite, ma anche come, attraverso l’arte e i legami umani, si possa lentamente tornare a respirare».

Un film che mostra la violenza e la brutalità che si addensano nella quotidianità delle persone in strada. De-umanizzate, etichettate. Un messaggio forte, che spesso ignoriamo. «Non è un film da vedere a cuor leggero – spiega una delle giovani giurate del cinema Gabbiano – non è facile da digerire ed è a tratti destabilizzante. È un racconto che non cerca di commuovere, bensì di scuotere tramite le sue storie di emarginazione e disagi sociali».

Mercoledì 6 agosto 2025 sarà presente in arena l’attrice del film “Coppia aperta, quasi spalancata”, Chiara Francini.

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Giulia Casagrande, regista senigalliese, premiata in più festival con il suo corto ‘Verso casa’

L’estate senigalliese dell’arena cinema ‘Gabbiano’ l’aveva ospitato con trepidante attesa e il cortometraggio Verso Casa, della regista senigalliese Giulia Casagrande, continua a riscuotere successo e riconoscimenti. L’ultimo, in ordine di tempo, è del FIFF – Fano International Film Festival che gli ha conferito il premio per il miglior film di autore marchigiano con le seguenti motivazioni: “Il film si fa apprezzare per la levità dell’assunto narrativo, l’accorato equilibrio recitativo degli interpreti, le scelte tecniche della regia sempre ben ponderate. Un cinema che guarda alla tradizione, senza tralasciare l’impeto di una innovativa e raffinata modernità”.

Scritto dalla stessa regista, insieme a Silvana Tamma, racconta la storia di Silvia, interpretata da Diane Fleri. “Silvia – dice la regista Casagrande – fa ritorno alla casa delle origini dopo anni di lontananza e stenta a riconoscere questi luoghi. Mentre Marinella, sua madre, è intenta a preparare il giardino prima dell’arrivo dell’inverno, sua figlia, Aurora, nata e cresciuta altrove, cerca la sua libertà altrove, fuori della casa e della famiglia”. E la campagna senigalliese, struggente nelle sue atmosfere autunnali, accompagna con grande intensità questa storia intima e delicata di rapporti familiari, di riappropriazione di luoghi, equilibri e punti di riferimento.

Verso Casa sarà premiato e proiettato sabato 28 ottobre – ore 17.30 al Fano International Film Festival, presso il cinema Masetti. Questo premio è parte di un’importante serie di riconoscimenti e selezioni ufficiali nell’ambito di festival nazionali e internazionali. Il cortometraggio ha infatti appena ricevuto il Premio Speciale della Giuria al Festival Directed by Women Turkey di Istanbul (22-24 settembre), in cui è stato selezionato nell’ambito della competizione internazionale cortometraggi. Inoltre è stato selezionato e sarà proiettato a Sedicicorto International Film Festival sabato 14 ottobre alle ore 20,00 al Cinema San Luigi di Forlì, al Basilicata International Film Festival, (Ruvo del Monte, 12-14 ottobre) e al Foggia Film Festival (19-25 novembre).

La produzione è di Piceni Art For Job, il cast tecnico di Verso Casa è prevalentemente marchigiano.

a cura di Laura Mandolini

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Virgin Fibra porta a Senigallia la Warner Bros per i suoi cento anni di vita

Sabato 1 e domenica 2 luglio 2023, Virgin Fibra sarà protagonista a Senigallia nel Village di Warner Bros. Discovery, in piazza del Duca e nel prato della Rocca Roveresca, all’interno della terza tappa del tour estivo WB100 CELEBRATION TOUR.Virgin Fibra è protagonista a Senigallia nel Village di Warner Bros. Discovery, all’interno del tour estivo itinerante WB100 CELEBRATION TOUR ideato in occasione del 100° anniversario di Warner Bros, per vivere l’esperienza della fibra pura di Virgin Fibra, superveloce proprio come The Flash, il supereroe di DC il cui ultimo film è appena uscito nelle sale.

Nello spazio dedicato a Virgin Fibra sarà possibile vivere esperienze spettacolari per tutta la famiglia: incontri coi supereroi del film, totem interattivi a tema velocità, giochi di velocità e di equilibrio premi e gadget in edizione limitata, sconti esclusivi per avere la connessione internet più veloce a un prezzo speciale.

Delle 27.450 famiglie di Senigallia solo il 36% è stato raggiunto dalla fibra pura di Virgin Fibra, mentre il 64% delle connessioni sono ancora in rame o misto rame (ADSL o FTTC).

Virgin Fibra vuole così sensibilizzare i cittadini sui vantaggi della fibra pura, la Fibra Pura FTTH (si, quella con il bollino verde!) che garantisce non solo la migliore tecnologia di rete ad oggi disponibile, ma anche quella più veloce: i 2.5 Giga di velocità massima consentono infatti una connessione di 12 volte più veloce rispetto a quella in misto rame (FTTC), con un servizio flessibile che si può disdire in ogni momento, senza alcun costo di uscita, e la garanzia di un prezzo bloccato per sempre, per proteggere il consumatore dall’attuale crescita dell’inflazione.

Senigallia rappresenta così un’altra tappa del tour estivo WB100 CELEBRATION TOUR, che dal 17 giugno raggiunge ogni weekend le località balneari più frequentate delle coste italiane riscuotendo uno straordinario successo.

Non potevamo non accettare la sfida della velocità di Barry Allen: alla fine, chi meglio di Virgin Fibra può rappresentare la velocità supersonica di The Flash? La fibra pura è il nostro superpotere, per una connessione superveloce, proprio come il supereroe!” afferma Tom Mockridge, CEO di Virgin Fibra.

Don Bernardini è il nuovo presidente dell’Acec

Guarda al dopo-pandemia don Gianluca Bernardini, neoeletto presidente nazionale dell’Associazione cattolica esercenti cinema (Acec). Pensa ai primi passi da compiere, quando la pandemia volgerà al termine, ma non distoglie lo sguardo neppure dal tempo presente. Si sofferma, dunque, sulla crisi attuale del settore cinematografico e sul suo impegno per il prossimo quadriennio. Attuale presidente Acec Milano e referente per il cinema e il teatro della diocesi ambrosiana, il sacerdote è stato membro del direttivo nazionale della scorsa presidenza. Subentra alla guida dell’Acec, al posto del presidente uscente, don Adriano Bianchi.

Come accoglie questa nomina?
L’accolgo con entusiasmo soprattutto per la fiducia che mi è stata manifestata dalle delegazioni territoriali dell’Acec con le quali in questi anni ho sempre collaborato, essendo stato nel direttivo nazionale della scorsa presidenza. Da una parte, c’è il grazie e la disponibilità al servizio, dall’altra apprensione per il futuro che ci aspetta, affinché l’associazione possa essere attiva e presente a supporto delle 800 sale della comunità presenti sul territorio italiano. La mia è una presidenza nel solco del precedente lavoro fatto da don Adriano Bianchi che ringrazio e stimo. Quindi, voglio continuare un lavoro che eredito di rinnovo delle situazioni territoriali.C’è una tradizione che porteremo avanti in uno spirito di crescita e di valorizzazione delle singole Acec territoriali presenti nelle diocesi italiane.E poi di valorizzazione dell’associazione stessa a livello nazionale in collaborazione con tutte le associazioni di categoria che operano nello stesso campo.

Qual è la sfida più grande che l’aspetta?
La preoccupazione è il Covid e il post-Covid che ha messo in crisi l’esercizio, a fronte della chiusura delle sale in Italia. Quindi, la preoccupazione sarà la ripartenza. Il mio lavoro, assieme alle altre associazioni e alle istituzioni, sarà affinché si possa ripartire nel migliore dei modi, guardando con fiducia e speranza al futuro.

Quanto incide per voi la crisi attuale per la pandemia?
La crisi attuale non ci permette di fare quello che abbiamo sempre fatto, essendo anche noi presìdi culturali unici sul territorio: non abbiamo potuto esercitare appieno la nostra missione, anche a supporto pastorale delle varie realtà ecclesiali. Questo è stato sicuramente limitante. Il tempo che abbiamo vissuto è stato, però, un tempo attivo: abbiamo prodotto anche iniziative che hanno supportato le sale, prima di tutto a un livello economico, con i ristori, perché le associazioni di categoria hanno contribuito con i fondi che sono stati dati. Poi, anche a livello creativo, con webinar, cineforum online, con proposte di formazione pastorale. Le saracinesche sono state abbassate ma la presenza e il nostro supporto formativo e culturale non sono mai venuti meno.

Secondo lei, qual è la priorità nella ripartenza?
Ripartendo, la prima cosa da fare è incontrare nuovamente il nostro pubblico, riportare il pubblico in sala. Cioè ricerare qualla fiducia, che è il nostro terreno, con la gente che ha sempre abitato le nostre sale dalla comunità. Sono le stesse persone che hanno usufruito e riconosciuto il potenziale e il valore delle nostre proposte, che non sono solo cinematografiche, ma utilizzano anche altri linguaggi, come il teatro e la musica. Dal momento che le nostre realtà sono polifunzionali. Ciò distingue una vera e propria sala della comunità.

Quali saranno le direttrici del suo impegno per il prossimo quadrienno?
Assieme al direttivo, eletto oggi, la mia azione sarà quella di continuare l’attività, che è stata proposta in questi anni, di animazione culturale e pastorale. Cercheremo poi di affrontare le problematiche e anche i temi che il post-Covid metterà sul piatto e chiederanno una risposta valoriale.

Quali sono state per voi le ricadute di questa crisi?
Per noi la sala resta centrale come luogo di fruizione del cinema. Ciò significa che la sala non ha fatto altro che subire questo tempo, a causa di un livello di produzione e di distribuzione che non ha prodotto più di tanto. Già questo è un punto di domanda sulla riapertura. Perché qualora riaprissimo, quali prodotti avremmo a disposizione? E ancora: Come potremmo portare le persone in sala? Ma, soprattutto, a vedere che cosa? Attualmente la situazione del cinema negli Usa è peggiore di quella italiana. Credo che anche l’industria cinematografica sia venuta meno.

Quanto è forte la crisi per l’industria cinematografica?
Si tratta di una crisi fortissima. Dobbiamo pensare non solo agli artisti che hanno potuto sopravvivere in qualche modo alla situazione attuale, ma anche al mondo che sta dietro a una produzione e a una distribuzione del film, come le maestranze, i creativi e gli autori. La pandemia ha messo in crisi e in mora una certa produzione, che chiede, alla riapertura, di essere rimessa in campo e supportata.

Artisti

Nei giorni scorsi sono morti due attori famosi, amati praticamente da tutti: Sean Connery e Gigi Proietti. Ci siamo sentiti impoveriti dalla loro scomparsa. Un attore da vita a qualcosa frutto della immaginazione ed è quello che non è. Eppure è tutto profondamente vero. Ci viene raccontata la vita con uno sguardo a volte partecipe, a volte critico, a volte profetico. Un comico dice cose spesso serissime e drammatiche. Ecco perché i re volevano accanto a sé il buffone e perché i dittatori non gradiscono i comici. I potenti prepotenti dovrebbero ricordare che “una risata vi seppellirà”.  Poche cose sono così vere come certe invenzioni dell’arte.

Miocinema: il Gabbiano on line, in attesa di riverderci

La platea del cinema ‘Gabbiano’ a Senigallia

Ci troviamo nuovamente di fronte ad una situazione molto difficile per il nostro Paese in generale e per il settore della cultura e del cinema in particolare. MioCinema vuole rispondere a questa crisi con tutti gli strumenti che ha a disposizione e che ora hanno avuto un rodaggio di diversi mesi, ed è per questo che abbiamo continuamente e tempestivamente lavorato a nuovi contenuti da offrire ai vostri e nostri spettatori, per non lasciarli soli e continuare a fargli sentire la vicinanza del loro cinema preferito! Sperando, con tutta la nostra forza, che si tratterà di un countdown al 25 novembre. Registratevi su #MioCinema e selezionate il Cinema Gabbiano come vostro cinema preferito, in modo da poter accedere alla selezione di film presentati, tra imperdibili novità e rassegne uniche!Oltre ad una vasta selezione che comprende titoli di richiamo ed acclamati dalla critica, saranno disponibili per tutti gli utenti di MioCinema titoli di grande richiamo e in prima visione.

Carmine Imparato

Il cinema sa parlare all’anima

Intervista al vescovo di Senigallia, Franco Manenti, su cosa possono rappresentare le sale della comunità

Cosa significa poter disporre di sale della comunità nella propria diocesi?

Significa una risorsa e un’opportunità, strettamente collegate: la sala è un luogo di incontro tra persone e opportunità di comunicare con quanti le frequentano, non necessariamente per le ragioni della propria fede; è un’opportunità di tipo sociale, culturale e legate alle manifestazioni della creatività umana, uno stimolo continuo a confrontarsi con sensibilità altre, non opposte, ma legate alle manifestazioni della creatività umana che tutti ci affascina.

Come vive oggi la Chiesa la sfida culturale, come è cambiata nel tempo?

Mi piace pensare alla cultura con un’accezione ampia: la penso sostanzialmente come il modo in cui la gente vive la propria vita, l’esercizio del pensiero che elabora una riflessione rigorosa volta a capire quanto succede nel mondo e nell’animo delle persone. La Chiesa ha sempre prestato ascolto alla cultura, da subito ha cercato di parlare alle persone non prescindendo da quanto queste stavano vivendo e pensavano. Basti pensare alla predicazione di San Paolo ad Atene, in un tentativo riuscito a metà, proprio per la fatica dell’incontro tra la fede e la cultura greca e romana. C’era da considerare, in questa incomunicabilità, lo scandalo di un Salvatore che si presentava così dimesso, umile, all’apparenza sconfitto. Paradigmi diversi che faticavano a capirsi e questo è accaduto più volte nella storia umana.
Oggi la Chiesa desidera e cerca di trovare forme di comunicazione più adatte alla cultura di oggi, dove adatte non vuol dire ‘adattabili’, quasi fossimo coinvolti in una indagine di marketing alla ricerca dello slogan che funziona meglio. Adatto vuol dire chiedersi come il vangelo parla alla gente e sia parola comprensibile. Il vangelo è sempre quello, ma gli uditori no. Papa Francesco, non a caso, parla di un cambiamento d’epoca, radicale, che notiamo nel modo di concepire la vita, di ripensare i fondamentali dell’esistenza (relazioni, genitorialità, malattia, morte…), nel modo di costruire gli ambienti. Oggi non c’è più un’interpretazione univoca. Ecco perché è più che mai necessario il confronto con il pensiero altro: non è tempo perso quello dedicato al vissuto e alla riflessione, ma registra delle difficoltà, per tanti motivi. Un tempo era un confronto non problematico; oggi convergenze e sinergie sono venute meno, siamo in un mondo che dichiara una forte marginalità della fede e quindi della Chiesa. I papi conciliari hanno sollecitato a stare in questo mondo senza sentirsi sconfitti, senza vittimismi ma con l’amore di cui Cristo sta di fronte al mondo, che è e rimane il destinatario del vangelo. La fatica di interloquire è evidente ed in questo mi incoraggia pensare, ad esempio, allo stile e alla passione di un Benedetto XVI che chiede pazienza e rigore, che aiuta questa cultura a recuperare dignità e la capacità della ragione ad accedere alla Verità. Sfida, non battaglia, che indica una possibilità tutta da cogliere.

Cosa insegna questo tempo incerto alla Chiesa nel rapportarsi anche culturalmente al mondo?

Anzitutto siamo sollecitati ancora una volta a superare il pregiudizio per il quale spiritualità significa altro rispetto alla vita: la vita spirituale è vita concreta, vissuta nell’accoglienza dello Spirito Santo, un’esistenza che assume lo stile di Gesù Cristo. La concretezza è l’interlocutrice e destinataria della spiritualità e si tratta di dimostrare come la Buona notizia (che è Gesù stesso) è in grado di parlare non come realtà estranea, ma come ingresso che apre alla realtà. È Parola che ti consente di cogliere il senso originario della tua vita e di raggiungerne il compimento. La Genesi, quando parla della creazione dell’uomo e della donna, accentua la bontà di questa creazione. Gesù restituisce alla vita umana la sua bontà originaria e ne indica il compimento. E ciò – splendidamente raccontano al n. 10 dell’enciclica Redemptor hominis di San Giovanni Paolo II – chiede di spalancare le porte a Cristo. Un annuncio che ha bisogno di essere mostrato nelle pieghe della vita tutta intera, in quello che mi piace definire servizio di bonifica antropologica.

Il cinema parla ancora tanto: quali le potenzialità più belle, quali invece i ‘pericoli’?

Il cinema, dico quello che suscita in me, raccoglie diverse forme di comunicazione in se (immagini, musica, parola detta, mimica…) e questo linguaggio è persuasivo, suadente. Immagini belle, azioni incalzanti, parole di senso: tutto tanto seduttivo, quando naturalmente contiene qualità. È un linguaggio che è continua sollecitazione molto interessante, un film può far pensare oppure può far spegnere il pensiero. Puoi consumarlo nell’immediatezza, oppure andare in profondità, farlo digerire col tempo, nelle situazioni esistenziali più diverse. Io prediligo questo secondo approccio e mi metto nella riflessione del card. Martini, il quale diceva che la linea che marca la distinzione tra le persone è il pensiero: c’è chi mette in moto l’intelligenza, c’è chi invece non la esercita, per tanti motivi. Il cinema, quando è buon cinema, è un prezioso alleato del pensiero.

Quali scelte pastorali urgono?

Pastoralmente dobbiamo abitare questa arte: se ci sono persone che si dedicano a questo linguaggio e alla sala, significa che possiamo scommettere su una preziosa risorsa e opportunità per far pensare la gente, sulle domande da porsi e anche sulle possibili risposte. Una chiesa diocesana che ha anche questo servizio pastorale è tanto più ricca, perché può godere di un linguaggio, non semplice, ma tanto incisivo, che suggerisce prospettive. Mi piace anche la dimensione di leggerezza che il cinema sa offrire, ci vuole anche quella!

Nella sua filmografia, cosa trova particolare ospitalità?

Sono affascinato dai film di Bergman, l’intera sua filmografia è nei miei scaffali. Non è un cineasta di evasione, mi rendo conto, ma in lui trovano eco tante domande fondamentali; poi amo “La leggenda del santo bevitore”, i film di Ermanno Olmi, anche per la vicinanza geografica delle ambientazioni al mio paese natale, mi piacciono i western di Sergio Leone. E ho apprezzato tantissimo l’ultimo film di Terrence Malick, ‘La vita nascosta’. Ripeto, il cinema mi strega per i tanti linguaggi diversi racchiusi in un’emulsione mirabile. È davvero una risorsa grande, anche nell’alimentare i sogni. Non sogni che rimangono tali, piuttosto attivatori del desiderio. E da questo possono nascere dinamiche che aprono percorsi tanto belli e utili alla nostra umanità.