Luce in sala, ritratti di comunità. Una mostra fotografica racconta tanti cinema di prossimità
Un fermo immagine per raccontare vite di cinema, al cinema. Margherita Mirabella ha messo il naso nella quotidiana esistenza di tante sale della comunità, associate all’Acec, per catturare storie di impegno e passione, volti e progetti. Tutto racchiuso in una mostra fotografica, “Sale della Comunità: lo spazio in vita” che parla molto più di mille parole. La immaginiamo tra sipari, poltroncine, dietro la cassa, seduta in ultima fila a cogliere la luce migliore per i suoi scatti, i soggetti più eloquenti, tutte e tutti incorniciati in un avvincente percorso iconografico che ci fa entrare in posti speciali. Mostra di grande qualità, appoggiata a pannelli ‘vivi’, anche per lasciare traccia ai posteri di storie bellissime, parte di una grande storia.
Un emozionante assaggio della mostra ha trovato posto al cinema Kinemax di Gorizia, in occasione degli Incontri del Cinema d’essai 2025, all’inizio di ottobre, organizzati come ogni anno dalla Fice e quest’anno inseriti tra le iniziative di GO!, Gorizia e Nova Gorica, capitali europee della cultura. L’abbiamo incontrata.
Quale punto di vista hai scelto per questo reportage?
Ho cominciato questo lavoro il giorno in cui è morto Papa Francesco: i miei colleghi fotografi andavano in Vaticano, io ho preso la macchina e sono andata invece in Val Policella a fotografare la prima sala della serie. Quando mi sono trovata davanti ai volontari di quel cinema, ho capito che la chiave di lettura di questo racconto doveva essere il lavoro di conservazione delle sale, perché la sala ha una vita propria che non necessariamente contempla il pubblico. Nelle fotografie ho voluto raccontare la luce naturale che entra lì dentro, ho avvertito che hanno un respiro tutto loro. Sale che sono la memoria delle persone che le vivono, un incubatore di esistenze che proprio lì si sono sedute, hanno mangiato pop corn, hanno visto film, si sono amate, innamorate, hanno litigato, si sono annoiate, o divertite. Basterebbe soltanto fermarsi ad ammirare le sedie per cogliere questa abbondanza di vite, che eloquenza! Da questo approccio è nata l’idea di dividere il mio lavoro in tre parti: quella umana, con i ritratti alle persone che animano le sale, fotografate sullo sfondo di tende di velluto, marchio di fabbrica di ogni luogo di cultura teatrale e cinematografica. Poi la sala vuota, perché ha tanto da raccontare di se stessa soltanto per come è; infine ho catturato il momento in cui ero fisicamente presente in proposte e serate, cogliendo ad esempio la gente in attesa di entrare, o durante un dibattito con i protagonisti di film, o in altre iniziative create attorno alla proiezione.
Giro d’Italia in 26 sale: cosa ti porti dietro?
L’aver toccato con mano una dimensione autenticamente umana: non ci sono telefoni cellulari a comandare e a dare il ritmo al tempo insieme, non c’è distrazione, c’è invece tanta condivisione. È stato molto bello vedere come le persone si ritrovino nelle sale, veri e propri poli di comunicazione sana, finalmente, senza social, senza Instagram, senza Facebook, senza tutto quello che è fuori dal relazionarsi in carne ed ossa. Sono davvero occasioni di ritrovo, di compagnia, di critica e circolazione di idee. Si guarda insieme il film, si discute, si capisce qual è il punto di vista dell’altro. Cultura che nutre, la bellezza di un’opera d’arte che diventa patrimonio comune, perché il cinema è arte!
Sala e comunità, connubio vincente…
Si parla di sale della comunità, ma per me è la comunità per la sala, possiamo ribaltare tranquillamente la prospettiva. Le comunità servono a tenere vivo uno spazio, lo spazio serve a tenere vive le persone e insieme.
Nelle tue fotografie è la sala stessa ad essere un personaggio da ritrarre …
È bellissimo questo approccio, è vero: la sala è protagonista perché è un luogo che accoglie e lo fa con una sua forte personalità. Ci sono elementi che sono apparentemente tutti uguali, le sedie, lo schermo, la toilette, la cassa, il popcorn… ma ognuna di queste sale ha la sua identità. Se avessi evitato di mettere le didascalie sotto le fotografie, avremmo potuto immaginare una un’unica sala che si racconta in tanti modi e posti. A me, alla fine, non interessa identificare il singolo edificio. Sono sostanzialmente ritratti di comunità che trovano il loro profilo peculiare ed unico, per accogliere e dare casa ai film.
Ogni luogo uno spazio vivo e originale…
Esatto. Pensiamo a Marc Augé, quando parlava del non luogo. Tutto il contrario: questi sono luoghi che nulla hanno a che fare con l’omologazione, ad esempio, dei centro commerciali, tutti identici negli Stati Uniti, come in Cina, come a Roma. La sala di ogni piccola o grande città dove sono stata è riconoscibile e non replicabile. Ho conosciuto una realtà molto, molto affascinante. Ho scoperto tanto lavoro che precede e segue la proiezione di un film, tante persone che fanno sì che tu possa vedere quel film e vederlo al meglio. Che lo scelgono, lo selezionano pensando se possa essere adatto a quel pubblico, che hanno a cuore la bellezza della fruizione… Siamo lontanissimi dall’omologazione commerciale. Qui si hanno presenti i volti, i gusti, i percorsi dalla lunga storia. Tutti dovremmo avere la possibilità di fruire in questo modo dell’opera d’arte che è il cinema. Il cinema, se ci pensi, è un’unica parola che si usa sia per l’arte cinematografica, sia per il luogo. Un tutt’uno, creatività e spazio in cui esercitare bellezza.
Sale che ci fai conoscere grazie ad immagini stampate e non viste in uno schermo luminoso. È un’Italia che non urla, non finisce sulle prime pagine ma è tessuto connettivo delle nostre comunità. Assolutamente. Vado a vedere mostre in continuazione, ma la mostra è un’esperienza solitaria, anche quando magari ci si organizza per andare in più persone. Il film al cinema, anche se non parlerai necessariamente col tuo vicino di poltrona, è vissuto contemporaneamente da tante persone intorno a te, con i respiri, le risate, le reazioni… sappiamo che le emozioni sono contagiose e crescono nel momento in cui vengono condivise, anche se si tratta di perfetti sconosciuti, ma che sono lì per la stessa ragione per cui ci sei tu. Il cinema visto in sala, inoltre, attiva anche la cosiddetta comunicazione ‘a caldo’, orami quasi persa. Piuttosto la gente fa un post su Instagram per dire ho visto questo film, sono qui, con tanto di selfie all’entrata di identici edifici. No, andiamo controcorrente, parliamo, condividiamo, viviamo insieme. Decentriamoci e la sala della comunità è un bel posto per farlo.
Cosa ti auguri che susciti questa mostra che poi toccherà diverse località del nostro Paese?
Mi piacerebbe che le persone, guardando queste foto, si sentissero a casa, riconoscessero un ambiente accogliente dove hai voglia di andare e tornare, che magari ti riporti alla memoria tanta tua vita intensa. Ci sono delle foto che a me fanno pensare alla mia infanzia, a mia madre che mi ha portata a vedere L’albero degli Zoccoli a quattro anni. Andavo al cinema con lei tutte le settimane, esperienze indelebili che mi hanno formata ed educato lo sguardo. Vorrei che queste fotografie facessero sentire la sala come un luogo dell’anima, quasi a prescindere dal titolo proposto. La sala che conosci e che sa di casa, sei lì, c’è la tua abitudine, la tua sicurezza, il tuo sentirti parte. Mentre attendi con trepidazione di vedere un film che ti possa emozionare e sorprendere ancora una volta.
a cura di Laura Mandolini
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