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Tag: dipinto

San Paolino vi attende in Pinacoteca

Dall’estate 2021 con l’esposizione “Episcopus Senogalliensis – Ritratti restaurati dei Vescovi di Senigallia”, allestita all’interno della Sala del Trono, accanto ai due grandi stendardi processionali realizzati dalla mano e dalla bottega di Claudio Ridolfi, è un dipinto di San Paolino, il Patrono di Senigallia che la città festeggia il 4 maggio, ad accogliere i visitatori della Pinacoteca Diocesana d’Arte Sacra.

San Paolino da Nola, olio su tela, secolo XVIII (1740 – 1760), Pinacoteca Diocesana d’Arte Sacra

L’opera, recentemente restaurata, è stata dipinta da un artista locale, purtroppo a noi oggi ignoto, nel XVIII secolo ed è particolarmente interessante soprattutto quale documento della devozione cittadina del Santo nolano a cui, il 4 maggio 1271, il vescovo Filippo, appartenente all’Ordine mendicante degli Eremitani di Sant’Agostino, consacrò la nuova cattedrale di Senigallia.

L’olio su tela ci mostra il Santo, rappresentato a mezza figura, vestito con un piviale dorato, l’ampia veste liturgica di stoffa pregiata, chiuso all’altezza del petto da un fermaglio con gemme, detto pectorale. Il Santo è inoltre raffigurato con tutti gli oggetti simbolici del suo ruolo di vescovo: la mitra, il copricapo alto e rigido di forma pentagonale utilizzato durante le celebrazioni, il pastorale, o vincastro, il bastone dall’estremità ricurva e riccamente decorata usato dal vescovo nelle celebrazioni più solenni, la croce pettorale e l’anello vescovile o anello episcopale, indossato sopra i guanti della stessa tinta della cappa.
Il dipinto, che ci mostra la figura del San Paolino in una posa quasi innaturale data dalla torsione del capo in contrapposizione a quella del busto, termina in basso con un cartiglio in cui è riportata l’iscrizione “S.Pavlino/Vescovo di Nola./È/protetore di Sinigaglia.

Ma come mai la scelta di questo Santo come patrono della città?
Prima del Santo nolano, nato a Bordeaux, in Aquitania, nel 352 circa e morto nella cittadina campana il 22 giugno 431, il patrono di Senigallia e titolare dell’antica cattedrale della città era un altro Paolino, meno noto, San Paolino I vescovo.
Le ragioni di questa sostituzione, avvenuta nella seconda metà del XIII secolo per volontà dell’allora vescovo Filippo, posso essere molteplici.
Oltre a essere uno dei santi più venerati nel mondo cristiano per le coraggiose scelte di rinuncia fatte in vita – prima tra tutte la decisione, presa assieme alla moglie Terasia dopo la conversione avvenuta nel 389, di vendere tutti i suoi beni per dare il ricavato ai poveri e di ritirarsi presso la tomba di San Felice a Cimitile, vicino Nola, a condurre una vita in perpetua castità -, San Paolino era allora, come oggi, anche un esempio per ogni singolo cristiano pronto a intraprendere un cammino di perfezione.

Reliquiario di San Paolino da Nola, Lang Franz Rupert, argento sbalzato, cesellato e inciso, secolo XVIII (1741), Pinacoteca Diocesana d’Arte Sacra

All’interno della Pinacoteca diocesana, un’altra opera raffigurante il Patrono di Senigallia e che cattura immancabilmente l’attenzione dei visitatori è lo splendido busto reliquiario di San Paolino, posto nella teca accanto alla grande pala d’altare di Federico Barocci.
Il busto, in argento sbalzato e parzialmente dorato, realizzato tra il 1730 e il 1740 dall’argentiere tedesco Franz Rupert Lang, venne donato il 26 maggio 1857 alla cattedrale di Senigallia da Papa Pio IX, in occasione della visita compiuta alla sua città natale nel corso del viaggio intrapreso in quell’anno attraverso lo Stato Pontificio.
A quanto pare il soggetto originario rappresentato da Franz Rupert Lang era in realtà un Sant’Agostino ma, un secolo dopo, Giovanni Maria Mastai-Ferretti lo fece modificare in un San Paolino prima di donarlo alla città di Senigallia.
L’opera venne inoltre posizionata sopra un basamento in legno di ebano intagliato contenente le reliquie del Santo, sul quale fu poi fissata una cartella d’argento, delineata nei suoi contorni da un tripudio di volute e conchiglie, con al centro inciso lo stemma di Papa Mastai-Ferretti.

Marco Pettinari

L’Annunciazione che unisce Loreto, Roma e Ostra Vetere

Lasciamo oggi il territorio della Diocesi di Senigallia per spostarci a Loreto e più precisamente all’interno della Basilica della Santa Casa. Qui è infatti conservata, nella Cappella della famiglia della Rovere, la copia in mosaico dell’Annunciazione di Federico Barocci (fig. 1), artista urbinate attivo anche nella città di Senigallia, dove ritroviamo la Madonna del Rosario, esposta presso la Pinacoteca Diocesana d’Arte Sacra, e la Sepoltura di Cristo, collocata nell’altare maggiore della Chiesa della Croce.

Il mosaico, che oggi troviamo a Loreto, è una copia accurata del dipinto (fig. 2) che Francesco Maria II della Rovere, ultimo discendente diretto di Giovanni della Rovere, Signore di Senigallia, fece eseguire tra il 1582 e il 1584 a Federico Barocci per la Cappella dei Duchi d’Urbino nella Basilica lauretana.
La riproduzione in mosaico, che è attualmente lì collocata, è invece datata al 1781.
L’opera originale, dal 1820 conservata presso la Pinacoteca Vaticana, venne trafugata nel 1797 dalle truppe napoleoniche durante la Campagna d’Italia guidata dal generale Bonaparte e recuperata soltanto nel 1815, a seguito della caduta di Napoleone, da Antonio Canova, inviato in Francia, in rappresentanza dello Stato Pontificio, per ottenere la restituzione delle opere sottratte dall’imperatore.

La pala d’altare del Barocci, un olio su tavola trasportato su tela alto circa 2 metri e mezzo, è in parte rovinata nell’area inferiore del dipinto, ma questa è facilmente ricostruibile grazie, oltre che al mosaico di Loreto, anche di una copia antecedente al 1635 (fig. 3) conservata presso il Museo Civico Parrocchiale di Ostra Vetere. La versione di Ostra Vetere, che vede l’aggiunta, mancante nell’originale, del Padre Eterno circondato da putti e cherubini e della colomba, simbolo dello Spirito Santo, rientra nel novero di quelle opere realizzate dagli allievi o dai collaboratori della Bottega di Federico Barocci con l’utilizzo dei cartoni e dei disegni del maestro.

L’opera ci racconta il momento in cui l’arcangelo Gabriele annuncia a Maria il concepimento verginale e la nascita verginale di Gesù. L’evento religioso domina l’intera composizione. Al centro della scena troviamo Maria che, probabilmente colta di sorpresa, getta con la sinistra, sul tavolo alle proprie spalle, il libro che stava leggendo, mentre istintivamente porta al petto la mano destra. Lo sguardo sembra invece rivolto al giglio, simbolo della purezza immacolata della Vergine, che l’arcangelo, inginocchiato, stringe in omaggio nella mano sinistra, mentre tende la destra verso la donna.
Entrambi i soggetti, resi con grande semplicità, sono immersi in una luminosità diffusa e pervasi da un’atmosfera familiare e idilliaca. L’idea della casa e del sogno ritornano anche nella figura del gatto che, in basso a sinistra, continua a dormire noncurante di ciò che sta avvenendo all’interno della stanza.
Sullo sfondo dell’opera un’apertura ci lascia intravedere una veduta del Palazzo Ducale di Urbino, elemento che torna molto spesso nei dipinti del Barocci a sottolineare il forte legame tra il maestro e la sua Urbino.

Marco Pettinari

Perché Santa Apollonia è la patrona dei dentisti?

Ambito marchigiano, sec. XVII, Santa Apollonia

Vi siete mai chiesti perché molti studi dentistici hanno il nome di Apollonia?
Chi era questa donna che morì nel 249 ad Alessandria d’Egitto durante una sommossa popolare contro i cristiani e perché la sua figura è oggi legata ai centri odontoiatrici?

Voglio raccontarvi di lei partendo da un pregevole dipinto di ambito marchigiano, un olio su tavola del XVII secolo, raffigurante Santa Apollonia, conservato a Senigallia in una chiesa della Diocesi.
In questa tavoletta, alta 25 cm, discretamente conservata, è ritratta la figura di una giovane fanciulla che è possibile senza dubbio identificare, grazie a una principale caratteristica che appartiene alla Santa, con Apollonia.
La donna ritratta infatti, coi capelli raccolti dietro la nuca e il capo cinto da un’aureola, stringe tra l’indice e il pollice della mano sinistra un dente. È mancante, in questa opera di autore sconosciuto, il secondo attributo caratteristico della Santa, ovvero le tenaglie, e la lunga foglia di palma, simbolo del martirio e solitamente posta tra le braccia di Apollonia

La storia del martirio di Apollonia è giunta a noi tramite il racconto di Eusebio di Cesarea, il quale riporta un brano della lettera del vescovo Dionigi di Alessandria (morto nel 265) indirizzata a Fabio di Antiochia. Tra il 248 e il 249 ad Alessandria d’Egitto scoppiò una sommossa popolare contro i cristiani e Apollonia, che fin dalla giovane età volle rinunciare volontariamente al matrimonio e rimanere vergine per dedicare la sua vita a Gesù, diventando addirittura diaconessa, venne catturata con altri fedeli di Cristo e, secondo la tradizione popolare, le furono estratti i denti con delle tenaglie.
Il popolo, incitato da un indovino pagano, preparò poi un grande fuoco per bruciare viva la donna se non avesse pronunciato delle bestemmie contro il suo Dio, ma Apollonia, riuscita a liberarsi dalle mani dei suoi aguzzini, si lanciò da sola tra le fiamme per evitare che le venisse violata la castità con lo stupro o che ulteriori torture prima del rogo le facessero vacillare la fede.
Da alcune fonti che riportano il racconto pare che la Santa sia morta durante il regno di Filippo l’Arabo, il presunto imperatore cristiano, e questo ci fa supporre che il suo martirio avvenne non dopo la primavera del 249.

Nonostante la storia ci parli di una Apollonia ormai anziana quando accaddero i fatti, la donna viene, come anche in questo caso, sempre ritratta in giovane età. La caratteristica più particolare del dipinto senigalliese è piuttosto l’assenza dello strumento di tortura, che però ritorna nella posizione delle dita che stringono il dente. Osservando la mano della Santa infatti questa ricorda proprio una tenaglia.

Per questo forte legame tra Apollonia e i denti, che le vennero cavati dalla bocca con la forza, la Santa viene considerata la patrona dei dentisti, degli igienisti dentali e degli odontotecnici e per questa ragione molti studi dentistici portano il suo nome.

Marco Pettinari