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Tag: don giancarlo giuliani

Giovani, precari e donne: il lavoro povero è soprattutto nelle Marche

donne, agricoltura, lavoro, coltivazioni, pixabay
Foto di Marcelo Trujillo da Pixabay

Che servano politiche speciali per superare la crisi del lavoro povero, sottopagato, precario è ormai innegabile. Che poi di lì si passi a iniziative concrete è ancora difficilmente realizzabile. Eppure gli stipendi di giovani, precari e donne sono ridotti al lumicino, con differenze tra le Marche e le altre zone della nazione o persino il solo centro Italia che emergono con evidenza.

A dare l’allarme è la Cgil che ha elaborato i dati Inps del 2022 da cui si comprende la gravità del fenomeno. Nelle Marche, cresce il numero di occupati, di appena il 3,5%, ma la crescita è rappresentata da lavoro precario ed è inferiore rispetto a quella del centro Italia e del paese. A crescere sono i lavoratori part time, che rappresentano il 32,8% del totale, i contratti a tempo determinato, i somministrati e gli intermittenti, questi ultimi rispettivamente del 3,5% e del 13,9%. A farne le spese sono soprattutto giovani e donne.

Giovani

Tra gli under 30 solo uno su tre arriva a un indeterminato (uno su due appena dieci anni fa), con in media 1.876 euro lordi annui in meno rispetto ai coetanei con la stessa tipologia contrattuale su base nazionale. Ma soprattutto la metà dei giovani under 30 marchigiani percepisce una retribuzione lorda tra i 10 mila e i 12 mila euro annui. Lordi annui. Significa qualcosa come 7/800 euro al mese. Significa non potersi comprare un’auto, una casa, non potersi allontanare dal nido familiare se non con affitti a lunghissimo termine (altro che bamboccioni). Significa non avere un futuro, perché poi il rischio è di rimanere arenati per anni in questa condizione. Un pantano. 

Donne

Non va meglio per le donne che hanno stipendi più bassi di sette mila euro rispetto ai colleghi uomini, circa il 30% in meno. Le lavoratrici delle Marche sono 202 mila (44,2%) e più della metà con un rapporto di lavoro part time (50,6%). Solo una su tre ha un contratto a tempo pieno e indeterminato.

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Ricominciamo

Dopo un’estate di battaglie elettorali, finalmente il nuovo governo ha giurato fedeltà alla Repubblica e ha ottenuto la fiducia dai parlamentari. Ora dovrà guadagnarsi quella del popolo italiano. Le promesse, tante, dovranno essere mantenute. Almeno in buona parte.

L’unica subito messa in attuazione sembra il respingimento dei profughi in mare. In un’Italia che manca di manodopera in tanti settori e che deve riconoscere, numeri alla mano, che l’immigrazione dona risorse allo stato più che consumarne, non sembrerebbe la priorità. Almeno a me.

Magari è il prezzo da pagare alla cattiva propaganda. Visto che sta arrivando Halloween, speriamo non ci vendano zucche al posto dei meloni.

don Giancarlo Giuliani

Cinquant’anni per cinque: incontriamo don Giancarlo Giuliani

Don Giancarlo Giuliani

Cinque preti festeggiano quest’anno il loro cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale. Il 1971, infatti, seppur in date diverse, era stato particolarmente ricco di vocazioni e i ‘magnifici cinque’, nel tempo, hanno saputo donare alla nostra chiesa locale una presenza significativa. Forse perché il loro essere preti è iniziato in una stagione ecclesiale particolarmente vivace, il Concilio Vaticano II era finito da poco, la stessa identità sacerdotale tradizionale era stata fortemente interpellata dalle istanze sociali. E loro, ognuno con il proprio carattere, hanno vissuto con entusiasmo i primi passi di ministero. Abbiamo incontrato don Giancarlo Giuliani.

Don Giancarlo, qual è il ‘grazie’ più convinto per questi cinquanta anni di sacerdozio?

Dopo cinquant’anni di servizio presbiterale i grazie convinti sono veramente tanti: a Dio ed alla Chiesa ed ai suoi pastori; alla mia famiglia, genitori e fratelli con tutta la coorte di nipoti ed anche pronipoti che sempre mi hanno sostenuto discretamente; a tutte le comunità in cui ho prestato servizio, fatte di persone concrete con nomi, volti e sorrisi. Ma il ringraziamento speciale lo voglio dare ai miei confratelli preti, compresi quelli di cui non ho condiviso opinioni e scelte. Ma sono stati la squadra con cui ho giocato la partita della vita intera, la costruzione del Regno di Dio a Senigallia e dintorni. Ma fra di essi in modo speciale e convinto a quel piccolo gruppo che, ispirato alla spiritualità di San Charles de Foucauld, ha saputo ritrovarsi per cinquant’anni, settimanalmente, attorno alla Parola di Dio, con cui confrontare la vita e l’azione pastorale. In questi ultimi anni ci incontravamo all’Opera Pia dove alcuni erano ospiti,iversi ci seguivano ormai dal cielo. Ha chiuso i nostri incontri il Covid. è stato un cammino sulla Parola, sulla essenzialità, sulla concretezza di Nazareth, sull’amore ai poveri e agli ultimi, sulla fraternità universale. Per far comprenderne l’incisività: su una decina di preti che partecipavano, quattro sono stati preti operai e tre siamo stati in missione, tutti sul fronte attivo della pastorale vicina alle persone.

Tanti tasselli pastorali, tra piccoli centri, grandi parrocchie, diocesi e mondo: qual è il filo rosso?
Questa domanda per me è facile: la Parola di Dio. Sull’onda del dopo Concilio insieme a tanti ho condiviso l’essenzialità della Parola che illumina, riscalda e conduce. Perché Dio ha scelto di darci e di essere la Parola. La parola costruisce la conoscenza e la libertà; non dà regole esterne ma suggerisce dall’interno le scelte di vita. Solo una comunità che ascolta direttamente e cerca di comprendere la parola può essere veramente adulta. E questo è il tempo. In tutte le comunità ho sempre cercato occasioni e modi per leggere insieme la Parola: le letture della liturgia domenicale,il cammino delle Comunità di Ascolto, la lettura continuata di libri della Bibbia, la conoscenza dei personaggi evangelici minori; modalità e tecniche diverse con l’unico intento di assaporare e nutrirsi della Parola. Ed è per portarla “fino ai confini del mondo” che ho chiesto di dedicarequalche anno di ministero alla missione apostolica in Burundi.

Un impegno intenso tra le fragilità umane (Caritas ed ospedale): cosa insegna?
L’insegnamento evangelico, la prospettiva del Concilio Ecumenico Vaticano II e Charles de Foucauld fratello universale mi hanno sempre spinto verso l’attenzione agli ultimi ed ai poveri. In quest’ultima parte di vita, me ne è stato affidato l’incarico pastorale: da dieci anni in Caritas e da cinque ad accompagnare il ministero del cappellano dell’Ospedale. Servizio intenso e coinvolgente per permettere alla chiesa di essere vicina a chi soffre. Come ha fatto Gesù. Anche se ora le regole anti – Covid non ci permettono di visitare quotidianamente i malati in Ospedale, rimane sempre un servizio speciale di prossimità. La nostra Caritas diocesana, comprendendo in questo anche le Caritas parrocchiali, svolge un’opera veramente straordinaria: l’assistenza a tante persone e famiglie; l’accoglienza breve o prolungata nel tempo; il lavoro offerto attraverso la Cooperativa Undicesimaora, soprattutto nella Falegnameria e negli Orti Solidali; Casa Stella con le famiglie ospitate; il magazzino Rikrea con la possibilità di riciclare cose e ricostruire persone. Il mio servizio in Caritas è soprattutto quello di accompagnare gli operatori ed i volontari e mi permette di constatare quante belle persone si mettono con professionalità e passione a servizio degli altri. è una ricchezza grande e bella della nostra comunità. In questi tempi difficili per la Chiesa che deve trovare nuovi modi di evangelizzazione, la solidarietà permette di coinvolgere persone e gruppi in una testimonianza evangelica che realizza l’invito di Gesù allo scriba di imitare il samaritano: “ Va’ e anche tu fa’ lo stesso!”

Un desiderio forte per la Chiesa universale e diocesana…
Questo piccolo gruppo che celebra il cinquantesimo di presbiterato ha iniziato il suo ministero dando corpo alle istanze del Concilio; ora ad un altro snodo della vita ecclesiale io faccio l’augurio che le tante belle energie del nostro presbiterato diocesano, fatto di preti anziani, maturi e giovani sappia interpretare questo tempo. Come diceva Gesù a proposito del passaggio dalla concezione ebraica a quella cristiana del Regno di Dio: “ Ogni scriba, divenuto discepolo del regno di Dio estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”.

Cuccioli

Nel cortile della parrocchia il gattino, inseguendo una lucertola, si è infilato in un tubo di scarico. Il suo miagolio fa accorrere gente, impietosita ed impotente. Chiamano i vigili del fuoco. Una corda con uno straccio cui aggrapparsi salvano il micetto impaurito. Il turno del sabato sera finisce un po’ piu’ tardi, ma fra gli applausi per i salvatori. Mare di Sicilia in tempesta, il gommone si rovescia, una mamma perde in acqua il suo bambino di 6 mesi. Glielo ripescano morente, con altri naufraghi. “Conoscevano il rischio… colpa loro!” ringhia qualcuno. A volte siamo più vicini alle bestie che agli uomini.

Debolezza forte

La democrazia è una debolezza forte, e non una forte debolezza. E’ sì fragile, incerta, contraddittoria e mutevole, ma segue il corso della storia e fa crescere gli uomini. Le elezioni americane ne sono una dimostrazione. Forse, se la vittoria di Biden sarà confermata, ci sarà un’onda politica che influenzerà il mondo verso attenzioni maggiori verso il sociale, il globale, il rispetto della natura, dopo un tempo politico più orientato alle esigenze dei singoli e delle nazioni, alla efficienza economica più che alla uguaglianza sociale. Ognuno di noi inevitabilmente fa tifo per l’uno o per l’altro. A patto che nessuno si senta padrone del mondo, perché di persone indispensabili, si sa, ne sono pieni i cimiteri.

I primi e gli ultimi

Le scarpe da ginnastica costano e la piccola Rhea, filippina di undici anni, appassionata della corsa, non se le può permettere e corre scalza. Il suo allenatore, in occasione dei campionati provinciali studenteschi, trova il rimedio: non le scarpe, i soldi non ci sono, ma con il cerotto avvolge i piedi della sua atleta. La piccola campionessa, con civettuola fantasia, ci dipinge sopra il logo di un marchio famoso, così tanto per sentirsi alla moda.

E corre, corre, corre vincendo i 400, gli 800, i 1500 metri sulla sbrindellata pista di atletica. Tre medaglie d’oro, a dir la verità anche quelle finte. A volte gli ultimi sono i primi.

Di Giancarlo Giuliani

Pio IX e le missioni

Quando si parla del nostro papa Pio IX generalmente si parla dei rapporti politici nel contesto del risorgimento italiano e delle vicende dello Stato Pontificio. Ma Papa Mastai diede un grandissimo impulso all’impegno missionario della chiesa, che con lui divenne veramente cattolica.

In particolare, nel contesto degli imperi coloniali delle potenze cristiane, che avrebbero voluto usare le Missioni Cristiane come alleate delle loro mire economiche e politiche, volle che le missioni cattoliche fossero il più possibile indipendenti dai governi, ma guidate dalla Santa Sede. Per questo istituì 206 nuove diocesi e vicariati apostolici e promosse le Pontificie Opere Missionarie per rendere indipendente anche economicamente l’azione missionaria.