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Tag: femminicidio

Femminicidi. Circa 250 orfani speciali presi in carico, un progetto anche nelle Marche.

Sono 10 i milioni di euro del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile messi a disposizione per il sostegno degli orfani di femminicidio grazie al rinnovo del bando “A braccia aperte”. In questo modo Con i Bambini prosegue e amplia l’iniziativa già pubblicata nel corso del 2020 e riconosciuta come modello di intervento di riferimento sul tema. Il fenomeno dei crimini domestici rappresenta un problema grave e diffuso in Italia, con conseguenze sui cosiddetti “orfani speciali”, bambini e bambine che perdono un genitore a seguito di un omicidio commesso dall’altro genitore. Le stime più prudenti indicano che, annualmente, centinaia di minori si trovano a dover affrontare la perdita contemporanea di entrambi i genitori a causa di un omicidio-suicidio o di un omicidio seguito da arresto. Questo dato rende l’Italia uno dei Paesi europei con un numero elevato di “orfani speciali”
La vita dei figli di vittime di un crimine domestico viene fortemente sconvolta. Le conseguenze subite sono multiple e rintracciabili a vari livelli: giuridico, sociale e psicologico.

Attraverso la prima edizione dell’iniziativa “A braccia aperte”, Con i Bambini attraverso un percorso di progettazione partecipata nel 2021 ha selezionato 4 cantieri educativi dedicati agli orfani delle vittime di femminicidio, nel Nord est, nel Nord Ovest, nel Centro e al Sud, sostenuti complessivamente con 10 milioni di euro. Con l’iniziativa “A braccia aperte”, avviata nel 2020, Con i Bambini ha sostenuto interventi volti a fornire supporto socio-educativo, formazione e opportunità di inclusione lavorativa per i minori orfani di vittime di femminicidio e crimini domestici. All’interno di questo programma nazionale, sono state sostenute e accompagnate anche le famiglie affidatarie nell’assolvimento delle loro responsabilità educative e nella cura quotidiana. Nel concreto “i 4 progetti hanno promosso la costruzione di una solida rete affettiva e relazionale che sostenga gli orfani nella loro crescita, attivando sistemi per la precoce intercettazione del rischio di violenza domestica”.

Uno dei progetti previsi, “Airone” – con soggetto responsabile “Il Giardino Segreto” e localizzazione in Lazio (Roma, Frosinone, Viterbo), Toscana (Firenze, Pistoia, Arezzo, Lucca, Livorno, Siena, Prato), Abruzzo (L’Aquila, Teramo, Pescara, Chieti), Umbria (Perugia), Molise (Campobasso, Termoli, Isernia), Marche (Ancona, Fermo, Pesaro, Ascoli Piceno, Urbino) – ha puntato alla costruzione di una solida rete di sostegno per gli orfani nella loro crescita, agendo sull’elaborazione e attuazione di un modello di presa in carico integrata sia dei minori, sia delle famiglie affidatarie, favorendo il capacity building delle reti territoriali e strutturando azioni di prevenzione e sensibilizzazione. Il progetto si è mosso su due piani: uno volto a sostenere l’adozione di prassi di lavoro congiunte, anche nel periodo immediatamente successivo al trauma; l’altro, più operativo, ha previsto l’organizzazione di team adeguati a coprire le aree di intervento della psicologia clinica e sociale, della medicina del trauma psicologico, del sostegno sociale, pedagogico, lavorativo, della tutela giuridico-sociale. Attivate doti educative per la realizzazione di piani individuali di aiuto personalizzato, con attività e servizi diversi a seconda del bisogno. Nel progetto anche una sperimentazione sui padri degli orfani, in collaborazione con gli organi della giustizia, le amministrazioni penitenziarie e i servizi sociali con l’obiettivo di redigere linee guida sulla ricostruzione della relazione padri-figli.

a cura di Gigliola Alfaro

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Violenza sulle donne, Cardinaletti: «Non la sconfiggeremo mai se non capiamo che riguarda tutti e tutte» – L’intervista

Si celebra il 25 novembre la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, un fenomeno di strettissima attualità che riguarda tutti i paesi ma che vede in italia numeri, seppur in calo, ancora molto elevati. Sono infatti oltre 100 le donne vittime di femminicidi dal solo inizio del 2024, dati dell’osservatorio nazionale in Italia “Non una di meno”. Praticamente una donna ogni tre giorni muore per mano sempre più spesso del partner o dell’ex. In nove casi su dieci la violenza è perpetrata in ambito domestico. Sul tema abbiamo intervistato Simona Cardinaletti, psicoterapeuta di Chiaravalle che da anni si occupa di case rifugio e consulenza a varie associazioni per la tutela delle donne in molte parti d’Italia tra cui Marche ovviamente, Abruzzo e Puglia. L’intervista sarà in onda lunedì 25 e martedì 26 novembre alle ore 13:10 e alle ore 20 e domenica 1° dicembre alle 16:50 sempre su Radio Duomo Senigallia (95.2 FM) ma sarà disponibile integralmente anche in questo articolo assieme a un breve testo.

Possiamo fare una panoramica della violenza di genere?
Credo che sia un fenomeno trasversale a livello internazionale, non esiste luogo al mondo in cui questo fenomeno non ci sia; la discriminazione delle donne è l’elemento che unisce tutte le culture indistintamente.

Come si come si sviluppa? Quali sono i suoi segnali che potrebbero anche aiutare a prevenire alcuni dei fenomeni più violenti?
I segnali sono difficili da cogliere per tutti, sia per le vittime, che per gli autori di violenza, che per le persone intorno proprio per il fatto che è un fenomeno che si confonde molto facilmente con quello che noi vediamo tutti i giorni. E’ questo il principio culturale della violenza sulle donne: il fatto che per esempio che una donna abbia delle limitazioni da un punto di vista sia delle relazioni affettive, un controllo su dove va, con chi esce, come si veste, oppure il fatto che una donna debba sacrificare il suo lavoro, la sua carriera in nome della famiglia e quindi in questo modo essere più dipendente da un punto di vista economico. Chiaramente non tutti gli uomini sono violenti, ma tutte le donne sono vittime di una discriminazione di cui non sono consapevoli.

Quali sono questi appunto segnali che possono indicare un certo percorso nello sviluppo di una relazione malsana?
Ho cominciato nel 2000 con una casa rifugio perché poi il centro antiviolenza già esisteva sul territorio di Ancona e continua ad esistere che è “Donne e giustizia”. Quando arriviamo noi è troppo tardi nel senso che il fenomeno è arrivato al suo apice, quindi quello che noi facciamo con le donne è quello di renderle consapevoli del fatto di essere vittime dell’uomo, chiaramente in primo luogo, ma anche vittime di un’immagine di sé che le ha sempre legate in un luogo di dipendenza economica, dipendenza affettiva, le donne sono quelle che devono curare le relazioni, sono quelle che si devono occupare di tutti, di figli, di compagni. Tutto viene completato con un lavoro sul territorio, con la creazione delle reti, cioè lavorare con la società, chiamiamola civile, con enti, istituzioni, terzo settore per portare una visione unitaria, la stessa lettura del fenomeno. 

Stessa lettura poi si traduce in un protocollo operativo comune?
Da una parte abbiamo chiaramente la definizione di prassi, quindi che cosa fa ognuno dei componenti di questa rete nel momento in cui riceve una richiesta d’aiuto, che cosa si deve attivare evitando che la donna faccia mille richieste d’aiuto; dall’altra parte proprio lavorare sul fatto che la violenza è insita nel sistema culturale ed economico e questo è un meccanismo che ci riguarda tutti. Sono convinta che noi non sconfiggeremo mai la violenza alle donne se non cominciamo a pensare che è un problema che ci riguarda tutti e tutte perché insito nel nostro modo di vivere le relazioni di genere, nel sistema economico e politico.

Come possiamo uscire da questa visione e quante persone avete accolto nella casa rifugio Zefiro di cui è responsabile?
Abbiamo ospitato circa 150 donne e circa 200 bambini. La strategia che noi adottiamo e che mi chiedono di fare è di parlare di questo fenomeno proprio ai non addetti ai lavori perché le persone si rendano conto che il problema dell’aderenza non riguarda solo quella vittima o quel carnefice ma che ci riguarda tutti. 

Come ne parlano i media? 
Chiaramente i media hanno una grandissima responsabilità rispetto a questa cosa. Ancora sentiamo parlare di “uccide per amore”, “uccide per gelosia”, alimentando la confusione perché l’amore e la violenza non hanno niente a che vedere eppure si confondono molto facilmente. Credo che gli organi di stampa, insomma, la comunicazione di massa dovrebbe fare questa netta distinzione: quando si uccide una donna si uccide per violenza, non c’è nessun altro motivo. Non solo in qualche modo si trova una parziale giustificazione all’operato di chi ha agito con violenza ma si continua a perpetuare questa confusione nella testa di tutti fino a pensare che anche la vittima abbia la sua responsabilità. E questa cosa non esiste per nessun altro reato.

Lei ha fatto attività di supervisione per diverse realtà in Italia: che quadro emerge c’è una certa uniformità oppure ci sono distinzioni come dire territoriali, culturali?
Se devo vedere una differenza non è tanto rispetto nord-sud-centro, quanto rispetto alle peculiarità territoriali, nel senso che territori che sono caratterizzati da isolamento perché territorialmente sono collocati in zone con poca comunicazione, abbastanza isolati, ecco lì il fenomeno della violenza è molto forte ed è molto nascosto dalle comunità. Lo possiamo trovare un po’ trasversalmente in tutta Italia, c’è differenza in un luogo in cui ci sono più comunicazioni e le donne si possono muovere più liberamente. Un’altra differenza è nelle vittime: si denuncia più dove ci sono i servizi ecco al sud ci sono meno servizi e questo è un altro grande problema.

Dai dati che sono stati diffusi recentemente, ad esempio dall’osservatorio nazionale di “Non una di meno”, sono oltre 100 le donne vittime di violenza, di femminicidi nel 2024 ma erano 179 nel 2013 secondo i dati del ministero della giustizia: c’è un calo?
No, credo che ci sia un aumento della consapevolezza da parte soprattutto delle vittime le quali, probabilmente visto che se ne parla, e se ne parla tanto, riescano a cogliere prima determinati segnali. Ancora dobbiamo fare tanta strada però.

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Violenza sulle donne, la vittima n. 77

donne, violenza di genere, abusi

Uccisa la sera del 23 agosto mentre era al telefono con la sorella che ha sentito l’aggressione in diretta. Alessandra Matteuzzi, 56 anni, è stata massacrata a martellate dall’ex compagno, il calciatore Giovanni Padovani, senigalliese di 27 anni, che non accettava la fine della relazione. È un torrente in piena Isolina Mantelli, presidente del Centro calabrese di solidarietà con sede a Catanzaro, all’interno del quale è attivo dal 2012 anche “Mondo rosa”, centro antiviolenza e casa rifugio per accogliere donne vittime di violenza di genere con i loro figli.

Il procuratore di Bologna Giuseppe Amato ha escluso un caso di “malagiustizia” ed ha spiegato che per concludere le indagini occorreva attendere il rientro dalle ferie di “alcune persone da sentire”.
È presto per esprimere opinioni su una vicenda ancora da chiarire, ma mi sembra che in casi di emergenza come questo si dovrebbe poter attivare una corsia preferenziale con procedure d’urgenza più agili come l’ascolto di testimoni in videochiamata ma soprattutto, in attesa di concludere le indagini, si dovrebbe mettere in sicurezza la donna che ha sporto denuncia. Mi metto nei panni di Alessandra: camminare guardandosi alle spalle, avere paura della propria ombra e del minimo rumore, essere costretta a parcheggiare l’auto in strada anziché nel garage per ridurre al minimo il percorso a piedi verso casa, non sentirsi sicura in nessun luogo… un terrore che invade la vita e ti uccide un po’ alla volta anche se sei ancora viva.

Ci troviamo di fronte ad un copione già visto infinite volte… 
Una donna adulta, indipendente, realizzata nella professione a fronte di un “fanciullone” che la considera un oggetto di sua esclusiva proprietà. Per l’ennesima volta, di fronte all’abbandono, scatta nella mente maschile un corto circuito: o mia o di nessun altro. 

Ma il codice rosso? Forse un divieto di avvicinamento avrebbe potuto evitare questa morte?

Credo che il codice rosso lo preveda; in questo caso non so dove sia finito… Le leggi esistono, ma probabilmente vengono applicate in base alla sensibilità delle diverse magistrature. Forse si poteva imporre il braccialetto elettronico…

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Alla base della violenza c’è anzitutto l’idea sbagliata di ‘potere’

donna, disperazione, dolore, tristezza, violenza di genere, abusi

In Italia, dall’inizio dell’anno, sono 92 le donne vittime di femminicidio, nella maggior parte dei casi per mano del partner, ex o attuale, o di persone vicine al nucleo familiare. Se ne è parlato in occasione della presentazione del volume “Violenza sulle donne. Antichi pregiudizi e moderni mutamenti di identità, ruoli e asimmetrie di potere”, a cura di Maria Rosa Ardizzone, Giuseppe Chinnici e Maria Francesca Francesconi (Studium). Ne abbiamo parlato con la senatrice Valeria Valente, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio.

Le cronache non cessano di registrare femminicidi. È un fenomeno che si può ancora arginare o è destinato a rimanere un fiume in piena? Dagli ultimi casi saliti alle cronache emerge un elemento grave. A evitare il femminicidio non basta la denuncia che le donne fanno con coraggio e spesso non bastano neppure le misure adottate, come l’allontanamento, e in alcuni casi non è sufficiente neanche la condanna per stalking.

Queste circostanze devono farci riflettere perché l’Italia ormai possiede un quadro normativo robusto, di cui fanno parte anche misure di prevenzione solide. C’è allora un ‘vulnus’ che non possiamo nasconderci…

Leggi l’intervista completa sull’edizione de La Voce Misena del 18 novembre, disponibile a questo link.
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