Dopo lo sciopero dei magistrati e l’incontro con tra la presidente del consiglio Meloni e l’Associazione nazionale magistrati (Anm), la riforma della giustizia con la tanto discussa separazione delle carriere sembra procedere comunque avanti. Per capirne di più abbiamo voluto intervistare l’avvocato senigalliese Corrado Canafoglia, cercando di sottolineare pro e contro del progetto di riforma costituzionale. L’intervista, andata in onda nei giorni scorsi su Radio Duomo Senigallia (95.2 FM) è disponibile grazie al lettore multimediale. Nel testo troverete solo un breve estratto con i principali punti con cui si pone l’accento – in modo critico e articolato – sulla riforma della giustizia, con particolare attenzione agli squilibri del sistema processuale e alla necessità di garantire maggiore imparzialità e responsabilità.
Separazione delle carriere
Il fulcro della riforma è la netta divisione tra le carriere dei pubblici ministeri (requirenti) e dei giudici (giudicanti). Attualmente, i magistrati possono passare da un ruolo all’altro, anche se il fenomeno non è così frequente. Viene comunque messa in discussione l’imparzialità dell’organo giudicante con il rischio di influenze reciproche.
Riforma del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM)
La riforma prevede lo sdoppiamento del CSM e l’introduzione di un terzo ente. Si propone di modificare il sistema di elezione dei membri del CSM, introducendo il sorteggio per una parte dei componenti, al fine di ridurre l’influenza delle correnti politiche all’interno della magistratura.
Squilibri nel processo penale
Per quanto riguarda le responsabilità, l’avvocato sottolinea l’importanza di affrontare il tema della responsabilità civile dei magistrati, attualmente carente; al contempo evidenzia la necessità di criteri chiari per stabilire quando un magistrato commette un errore grave e deve risponderne, il che andrebbe anche a tutela delle vittime.
Giudizio sulla riforma
L’avvocato Canafoglia esprime scetticismo sulla separazione delle carriere come unico strumento per riequilibrare il rapporto tra accusa e difesa nell’ambito del processo penale. Tuttavia si dichiara favorevole alla riforma del CSM, ritenendola un passo fondamentale per ridurre l’influenza della politica sulla magistratura, anche se precisa non tutti i magistrati sono toghe rosse. Punto chiave rimane la responsabilità civile dei magistrati, consideratio il vero problema della giustizia italiana.
Le Marche, terra di lavoro certamente anche se non sempre ben retribuito, ma soprattutto incapace di reggere l’urto dell’inflazione. Lo testimonia una indagine dell’Ires Cgil Marche che ha elaborato i dati forniti dal ministero dell’economia e finanze (Mef) relativi alle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche per l’anno d’imposta 2022. Indagine da cui emerge che c’è stata la ripresa post covid (e forse si potrebbe dire anche “Ci credo, dopo uno stop prolungato del sistema paese…”) ma l’inflazione ha di fatto mangiato quell’incremento del reddito dei marchigiani.
La fotografia è impietosa: secondo la Cgil Marche ammontano a 24,9 miliardi di euro i redditi dichiarati nel 2023 da 1,1 milioni di contribuenti marchigiani, con un valore medio di 22.413 euro. Rispetto all’anno precedente, il reddito medio complessivo per contribuente è aumentato di 1.067 euro (+ 5%), tuttavia questo risultato è stato di fatto neutralizzato da un’inflazione che nel 2022 si è attestata al 7,6% (NIC – media annua, ISTAT). Riassumendo, la conseguenza è stata “una perdita del potere di acquisto per contribuenti e famiglie”, come spiega Marco Amichetti, Ires Cgil Marche.
Ma ci sono altri fattori che poi destano ancora preoccupazione, come se già non bastasse a spaventare i marchigiani: i redditi dichiarati sono inferiori sia alla media nazionale (23.633 euro) sia alla media delle regioni del Centro (24.403 euro). Il 37,9% dei contribuenti marchigiani dichiara un reddito inferiore ai 15.000 euro, percentuale che sale al 72,2% dei contribuenti marchigiani per quanto riguarda la fascia reddituale fino a 26.000 euro. Un fattore che può sembrare di forte ingiustizia sociale è il seguente: coloro che dichiarano redditi superiori a 120.000 euro rappresentano lo 0,8%, sono poco più di 9.130 unità ma hanno un reddito superiore rispetto a 270.000 contribuenti più poveri (con redditi inferiori a 10 mila euro, il 24,2%).
A livello provinciale va leggermente meglio solo per la provincia di Ancona, dove si registra il reddito medio più elevato (l’unica sopra il livello nazionale), con 23.658 euro, seguita da Pesaro Urbino con 22.516 euro, Macerata con 22.078 euro, Ascoli Piceno con 21.303 euro. A Fermo si registra il valore più basso con 20.634 euro.
Essenzialmente la lettura è questa: le Marche sono una regione con forti disparità nella distribuzione della ricchezza complessiva e sostanzialmente povera, in cui il reddito medio è molto basso. Quello da lavoro dipendente ammonta a 20.614 euro, sotto la media nazionale (22.284 euro) e del Centro (22.541 euro), anche se in lieve crescita (+726 euro, +3,7%); il reddito medio da lavoro autonomo ammonta a 61.508 euro, con un significativo aumento rispetto all’anno precedente (+4.121 euro, +7,2%). Il reddito medio da pensione risulta essere di 18.527 euro e osserva un aumento del 4,1% rispetto all’anno precedente.
“Il miglior modo di prevedere il futuro è crearlo” dice e scrive Elon Musk, il miliardario e visionario texano che vuole portare i turisti su Marte entro il 2025. John Elkan presidente della multinazionale automobilistica Stellantis aggiunge: “Il segreto per farcela è porre le domande giuste e accettare che arrivino”. L’intelligenza umana e quella artificiale, la potenza e la potenzialità della tecnologia e della scienza sono a fondamento delle loro imprese.
A queste voci se ne aggiungono altre e si apre un grande confronto su un tema che si riaccende mentre il virus attenua la sua morsa. Le domande sul futuro si sono fatte strada nel tempo della pandemia e oggi continuano a intrecciarsi sui media.
Una domanda di futuro viene dai popoli che sono nella povertà, nella sofferenza, nell’ingiustizia e in quelli che ancora sono nella stretta del contagio e vedono un troppo lento procedere della solidarietà internazionale. Il futuro dei poveri non è quello dei non poveri, non è quello dei viaggi su Marte ma quello di vivere con dignità sulla terra. Un’altra domanda di futuro viene dai giovani di “Friday for future” che in molte città italiane e del mondo intero hanno provocato gli adulti chiedendo come si possa parlare di futuro quando “non c’è più tempo” per salvare l’ambiente, per realizzare la giustizia climatica. Un’altra domanda di futuro viene dalle donne afghane e da tutte le donne che vedono minacciata e offesa la dignità, i diritti, la libertà. Volti e voci che, vittime di violenze diverse, si uniscono in una denuncia e in una domanda che ancora vedono disattenzione, indifferenza e ignoranza da parte degli uomini. Ancora una domanda di futuro viene da Liliana Segre che nel ricevere il 26 settembre la più alta onorificenza della Repubblica tedesca ha rivissuto e raccontato la tragedia della Shoah. La sua testimonianza, ha commentato la presidente del Senato, “è il segno
tangibile che il coraggio delle donne può davvero aiutarci a scrivere un futuro diverso”. Anche le persone anziane, gli uomini e le donne della memoria, hanno un futuro e pensano al futuro delle generazioni che salgono.
Molte altre domande di futuro si possono aggiungere, tutte chiedono risposte che non siano cocci di un vaso, frammenti che si respingono, ma tessere di un mosaico che si cercano. Ed è proprio da queste due immagini prende inizio e cresce la ricerca di una risposta sul futuro. Chi compone il mosaico, chi distingue tra le tessere e i cocci, chi ha l’ultima parola sul futuro considerando le diverse e a volte opposte visioni? L’avvenire dell’uomo non è una somma di frammenti che si ignorano e respingono. C’è Qualcuno che conosce, prepara e realizza il futuro, chiede la cooperazione dell’uomo ma non cessa per questo di essere il trascendente regista della storia.
La “paralisi economica” provocata dalla pandemia di coronavirus può aprire alle mafie “prospettive di arricchimento ed espansione paragonabili a ritmi di crescita che può offrire solo un contesto post-bellico”. È l’allarme contenuto nell’ultima Relazione semestrale della Dia inviata al Parlamento nella quale un intero capitolo è dedicato proprio all’emergenza Covid. Il rischio è che le mafie allarghino il loro ruolo di “player affidabili ed efficaci” a livello globale, mettendo le mani anche su aziende di medie e grandi dimensioni in crisi di liquidità. Ma non sono solo le imprese il target a cui le mafie guardano: “Le organizzazioni si stanno proponendo come welfare alternativo a quello statale, offrendo generi di prima necessità e sussidi di carattere economico”. Tra gli altri dati della Relazione, uno rilevante riguarda l’azzardo visto che “giochi e scommesse” sono un settore “attorno al quale sono andati a polarizzarsi gli interessi di tutte le organizzazioni mafiose, in alcuni casi addirittura ‘in consorzio’ tra di loro”. I sempre maggiori profitti “vengono realizzati secondo due direttrici: da un lato la gestione ‘storica’ del gioco d’azzardo illegale, le cui prospettive sono andate allargandosi con l’offerta on line; dall’altro, la contaminazione del mercato del gioco e delle scommesse legali”. Del quadro emerso dalla Relazione della Dia parliamo con mons. Alberto D’Urso, presidente della Consulta nazionale antiusura.
Il quadro emerso dalla Relazione semestrale della Dia con un focus sulle conseguenze del Covid-19 confermano quanto la Consulta sta denunciando da mesi…
Nei periodi di crisi economica e finanziaria il mondo della criminalità prospera perché chi ha denaro lo usa come forma di potere per possedere e sfruttare chi è in stato di bisogno ed è più vulnerabile. È certo che il coronavirus ha portato un aumento di bisogni perché parecchie persone hanno perduto il lavoro, mentre tutto costa di più. La pandemia è venuta a incidere in un ambiente sociale già complesso: nel 2019 il Pil si è ridotto di almeno due punti, ma più in generale siamo all’interno di una crisi non ancora risolta iniziata nel 2008.
Il coronavirus ha aggravato ulteriormente la situazione.
Le organizzazioni criminali, che non tengono in alcun conto il valore e la dignità delle persone, badano solo al loro profitto, in qualsiasi modo ottenuto. E se ci sono tanti negozianti onesti che non possono riaprire le loro attività per le perdite subite con il Covid-19, vediamo fiorire tanti compro oro perché c’è tanta gente disperata che vende i pochi averi che ha. Questo è lo scenario nel quale stiamo vivendo: lo sappiamo dalla testimonianza diretta di tanti che ci chiedono aiuto.
L’azzardo, sia quello “legale” sia l’illegale, secondo la Relazione della Dia, è un settore che fa molta gola alle mafie…
Innanzitutto, voglio precisare che per noi l’azzardo legale non esiste e lo Stato in questo caso diventa un biscazziere e non un educatore. Detto questo, il mondo dell’illegalità, che ora, grazie al Covid, si sta tuffando più che mai nel mondo del bisogno, ha interesse a infiltrarsi anche nel cosiddetto azzardo legale per accrescere i suoi guadagni. L’anno scorso non sono diminuite le spese per il gioco, quest’anno un po’ solo perché non ci sono soldi.
La Relazione evidenzia anche che le mafie costituiscono un welfare alternativo sul territorio…
La criminalità organizzata ha una liquidità immediata da offrire a chi versa in cattive acque, acquisendo nei fatti le attività di chi le si rivolge per ottenere prestiti e, alla fine, resta titolare solo come prestanome. Tra l’altro, ora le mafie sono disposte a prestare denaro agli stessi interessi delle banche, ma mentre queste ultime prima di erogare un prestito “perdono tempo” per avere le garanzie, le organizzazioni criminali hanno come garanzie la manovalanza che così acquistano, le mogli, i mariti, le figlie e i figli dei loro debitori minacciati, la droga, la prostituzione. Quindi, il mondo dell’illegalità ha abbassato gli interessi dei soldi che presta pur di avere un mercato più aperto dove poter operare. Inoltre, si guadagnano così consensi sul territorio perché la gente disperata non può aspettare tempi lunghi, ha bisogno di mettere a tavola il pane quotidiano. Anche tutte le promesse fatte dal Governo su quello che darà l’anno venturo sono tante parole, ma la gente ha fame oggi.
Cosa chiede la Consulta in questo frangente così difficile?
Se i soldi ci sono bisogna che il Governo non aspetti, ma li dia subito per ridurre il bacino di persone fragili che più facilmente possono cadere nella rete della criminalità. E non dimentichiamo un’altra emergenza: molte persone, che hanno perso il lavoro, ora rischiano di perdere anche la casa perché hanno difficoltà a pagare le rate del mutuo. Le case saranno svendute all’asta. Noi abbiamo chiesto di sospendere le rate almeno fino a dicembre, ma il governo è sordo e non va dal dottore. Fa le leggi contro l’usura ma poi nei fatti non cerca di stroncare i fenomeni che la favoriscono. È necessario pensare a un sistema economico che sia in grado di produrre e distribuire ricchezza e occupazione. È l’unica via per contrastare la povertà e le disuguaglianze, cunei in cui si infiltra l’usura, a favore dell’equità sociale ed economica.
Gigliola Alfaro
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