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Tag: Palazzo Ducale di Urbino

La Madonna di Senigallia on line

La piattaforma streaming ITsART, dedicata all’arte e alla cultura italiana, nata a ridosso della pandemia e promossa dal Ministero della Cultura, precedentemente disponibile soltanto nel nostro Paese e nel Regno Unito, è finalmente da alcuni mesi debuttata in tutti e 26 gli stati dell’Unione Europea.
Tra gli oltre 1250 eventi e spettacoli presenti nel catalogo della piattaforma possiamo trovare anche la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca, oggi conservata nelle sale espositive della Galleria Nazionale delle Marche, ospitata all’interno del Palazzo Ducale di Urbino.

Madonna di Senigallia, Piero della Francesca, 1470-1485, olio su tavola, Galleria Nazionale delle Marche – Urbino

Nel terzo episodio della webserie “Il Museo si racconta”, il Direttore della Galleria Nazionale, Luigi Gallo, ci illustra la splendida “Madonna di Senigallia” di Piero della Francesca, restaurata nel 2001 dall’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro.
In quell’occasione l’opera, considerata uno dei dipinti più celebri di Piero della Francesca, fece ritorno nella sua città natale, Senigallia, e venne esposta dal 18 giugno al 10 luglio all’interno del piano nobile della Rocca Roveresca, in un percorso studiato per avvicinare il visitatore all’opera raccogliendo, stanza dopo stanza, diversi elementi e chiavi di lettura.

La “Madonna di Senigallia”, custodita per secoli nella chiesa di Santa Maria delle Grazie e trasferita poi nel 1917 al Palazzo Ducale di Urbino, pare essere stata commissionata a Piero della Francesca da Giovanna da Montefeltro e Giovanni della Rovere in occasione del loro matrimonio nel 1478. Per altri il dipinto potrebbe invece essere un dono di Federico da Montefeltro in punto di morte alla figlia Giovanna e per altri ancora l’opera fu voluta dal Duca di Urbino per rievocare, con presagi di lutto e allusioni alla Passione di Cristo, l’amata moglie Battista Sforza, morta prematuramente. Quest’ultima tesi è autorevolmente sostenuta anche da Maria Grazia Cardi Duprè del Poggetto, la quale riconosce nelle travature lignee della stanza retrostante le figure dipinte l’interno del Palazzo di Gubbio, dimora prediletta di Battista Sforza.

La mostra senigalliese venne allora intitolata “La luce e il mistero” proprio per quel senso della luce che resta uno degli aspetti più affascinanti e innovativi dell’esperienza artistica di Piero della Francesca, una sintesi perfetta tra la pittura luminosa e chiara appresa a Firenze dal grande Domenico Veneziano, in cui la luce nasce dall’impasto cromatico del colore e si integra con armonia al disegno, e la cultura fiamminga, incontrata ad Urbino e a Ferrara, caratterizzata per quell’uso della pittura ad olio che permette un controllo più raffinato della luce.
Così il grande critico d’arte Roberto Longhi parlava di Piero della Francesca cercando di spiegare quel suo modo di costruire le immagini con il colore e il colore con la luce:
“Sembrano, in Piero, i colori nascere per la prima volta come elementi di un’invenzione del mondo”.

La scena rappresentata sulla piccola tavola di noce (61×53,5 cm) ci mostra in primo piano, all’interno di una abitazione, la Vergine Maria con in braccio Gesù Bambino, nell’atto di benedire, e alle loro spalle due angeli, vestito di grigio il primo e di rosa salmone il secondo. Confrontando la fisionomia di questi ultimi con altri personaggi presenti nelle precedenti opere dell’artista è possibile notare come le due figure angeliche siano state riprese dalla “Pala di Brera”, realizzata da Piero della Francesca tra il 1472 e il 1474.
Gesù, in braccio alla Madre, viene raffigurato con una rosa bianca nella mano sinistra, a simboleggiare la purezza di Maria, mentre al collo porta una collana di perle rosse e un corallo, simbolo, oltre che di arcaica protezione per i nuovi nati, anche di premonizione della Passione, poiché il suo colore ricorda quello del sangue versato da Cristo.
Sullo sfondo, dietro all’angelo dalla veste rosa, sono raffigurati un armadio a muro, con una decorazione che ci riporta alle cornici presenti all’interno del Palazzo Ducale di Urbino, e sulle mensole di questo un cesto con un panno di lino e una scatola cilindrica d’avorio. Alle spalle dell’angelo dalla veste grigia si apre invece, alla maniera fiamminga, un secondo ambiente che contribuisce, grazie alla luce del sole che entra da una finestra aperta, ad illuminare la scena.
Il raggio di sole infatti, che si infrange sulla parete in ombra più lontana illuminando nel suo percorso il pulviscolo presente nell’aria, permette a Piero della Francesca di dare maggiore rilievo, tramite i riflessi disegnati dalla luce, agli oggetti e ai protagonisti presenti nella prima stanza.

Marco Pettinari

Dante Alighieri, dal Palazzo Ducale di Urbino al Museo del Louvre di Parigi

Il 25 marzo 2021, oltre alle celebrazioni per il Dantedì, ovvero il giorno scelto per omaggiare la figura di Dante Alighieri, sono cominciate anche una serie di iniziative in occasione dei 700 anni dalla morte del Sommo Poeta, padre delle lingua italiana (1265-1321).

Per ricordare l’autore della Divina Commedia ho pensato di trattare un’opera, una tempera su tavola, realizzata tra il 1473 e il 1476 circa dal fiammingo Giusto di Gand, in cui è appunto ritratto Durante di Alighiero degli Alighieri.

Il dipinto, alto poco più di un metro, per la cui realizzazione alcune fonti indicano anche la collaborazione dell’artista spagnolo Pedro Berruguete, appartiene a una serie di 28 ritratti, detti degli “Uomini Illustri”, voluta da Federico da Montefeltro per decorare il suo studiolo presso il Palazzo Ducale di Urbino.

Lo studiolo del Duca, celebre per le tarsie lignee attribuite a Baccio Pontelli, l’architetto che diede alla Rocca Roveresca di Senigallia l’aspetto che possiamo ammirare noi oggi, è il solo ambiente interno del palazzo a essere rimasto pressoché integro e che ci permette di apprezzare il gusto fastoso della corte di Federico.

In origine le pareti del piccolo studio, che sembra all’occhio più grande grazie ai giochi di prospettiva del Pontelli, erano decorate nella parte superiore da un fregio contenente i 28 ritratti, disposti su due registri, degli uomini illustri del passato e del presente.
Oggi quattordici di questi dipinti sono nella loro collocazione originaria all’interno della Galleria Nazionale delle Marche, mentre gli altri quattordici, e fra questi anche il ritratto di Dante Alighieri, sono al Museo del Louvre di Parigi.

Dopo il 1631, con la fine della dinastia dei Della Rovere e il passaggio del ducato di Urbino allo stato pontificio, i dipinti furono acquisiti e portati a Roma dal Cardinale Antonio Barberini. Le tavole passarono quindi nella collezione romana dei Barberini e rimasero insieme fino al 1812, quando quattordici di esse andarono alla famiglia Colonna di Sciarra che le vendette al Marchese Campana. Nel 1861 vennero infine acquistate da Napoleone III, per approdare nel 1863 al Museo del Louvre. I quattordici dipinti rimasti in Italia furono invece acquistati dallo Stato italiano nel 1934, grazie a un accordo con i Barberini, e tornarono a Urbino nella loro locazione all’interno del Palazzo Ducale.

Nel dipinto in questione Dante Alighieri viene ritratto di profilo, seduto in un ambiente interno, con in mano un libro, elemento che viene introdotto per la prima volta nella versione di Giotto – e ripreso successivamente anche da altri artisti, come Andrea del Castagno – a ricordare la sua illustre fama di scrittore.

Giusto di Gand, Ritratto di Dante Alighieri (1460-1475), tempera su tavola, Museo del Louvre, Parigi

Altri elementi distintivi del poeta sono, sicuramente recuperati dall’antecedente giottesco, l’espressione seria, la cuffia bianca e l’abito rosso carminio come il morbido copricapo sul quale spicca la corona di alloro, simbolo di quella gloria poetica a cui Dante aspira nella prima terzina del proemio che apre la Cantica del Paradiso.

O buono Appollo, a l’ultimo lavoro
fammi del tuo valor sì fatto vaso,
come dimandi a dar l’amato alloro…

Marco Pettinari