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Tag: Roberto Mazzoli

Presentata all’European Film Market di Berlino la storia di Alfredo Sarano e degli ebrei salvati nel convento di Mombaroccio

Presentato a Berlino il documentario sulla storia di Alfredo Sarano e gli ebrei salvati nel convento di Mombaroccio
Presentato a Berlino il documentario sulla storia di Alfredo Sarano e gli ebrei salvati nel convento di Mombaroccio

Nella cornice dell’European Film Market di Berlino e nei giorni della Berlinale, il 22 febbraio 2023, al CinemaxX di Potsdamer Str. 5, è stato presentato Siamo qui, siamo vivi. E’ il documentario che ripercorre attraverso interviste, testimonianze e materiale d’archivio, l’incredibile vicenda di Alfredo Sarano, segretario della comunità ebraica di Milano che salvò la vita a 14.000 ebrei milanesi, rifugiandosi con la sua famiglia nel convento del Beato Sante di Mombaroccio. Qui si incrocia la straordinaria storia di Erich Eder, giovane sottufficiale della Wehrmacht, la cui azione sarà fondamentale nel determinare la salvezza della famiglia Sarano e dei 300 civili rifugiati nelle grotte del santuario. Eder non obbedì agli ordini del Reich e non rivelò la presenza di ebrei nel rifugio.

Il documentario, voluto fortemente dal produttore americano Arman Julian, è tratto dall’omonimo libro del giornalista marchigiano Roberto Mazzoli, che ha attinto dai diari di Alfredo Sarano, custoditi in un cassetto dalle sorelle Matilde, Miriam e Vittoria e ritrovati dopo quasi 80 anni. «Questa storia indimenticabile è stata nascosta per anni. Nel suo diario, Alfredo racconta come lui e Diana, sua moglie, abbiano dovuto sacrificare la loro vita e la loro famiglia per salvare gli altri. Porta anche alla luce l’esistenza di Erich Eder, giovane ufficiale della Wehrmacht di soli 21 anni, membro della gioventù hitleriana da quando era bambino. Ho prodotto questo documentario per far conoscere una storia straordinaria e promuovere il lungometraggio che ne sarà tratto e che verrà girato per la fine di quest’anno con le principali star di Hollywood nella Regione Marche», ha commentato il produttore Arman Julian.

La regia del documentario è di Daniele Ceccarini, che ha voluto raccontare la storia, evidenziandone la forza umana e l’insegnamento etico: saper scegliere il bene, anche quando è difficile e rischioso, facendo la differenza.

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A Loreto l’Europa giovane del dialogo. Quattro giorni per ripartire, insieme

I partecipanti al campo ecumenico di Loreto

Il primo a piantare qui il seme dell’ecumenismo per le nuove generazioni fu Benedetto XVI nel 2007 durante l’Agorà dei giovani italiani a Loreto. In quell’occasione il Papa consegnò il mandato missionario a “72 discepoli” scelti tra quasi mezzo milione di ragazzi. Due di loro raggiunsero nei giorni seguenti Sibiu, in Romania, per la III Assemblea ecumenica europea. Da qui iniziarono a germogliare nuove relazioni bilaterali con i luterani danesi di Aarhus, gli ortodossi rumeni di Resita, gli anglicani di St. Albans, gli svedesi di Linköping dove a Vadstena è custodito il corpo di santa Brigida. In breve fu la volta del primo “Campo europeo ecumenico per giovani” che in circa dieci anni porterà a Loreto migliaia di ragazzi.

Poi la lunga interruzione causata dal Covid-19 e infine la ripresa del cammino nei giorni scorsi con la XII edizione del campo ecumenico dal titolo “Da Eurhope a Eurhome: la memoria fiorirà”, che si è svolto dal 7 al 10 agosto scorsi presso l’istituto salesiano di Loreto. Circa settanta i partecipanti di età compresa tra 17 e 25 anni di confessione cattolica, ortodossa e greco-cattolica. Tra loro italiani, ungheresi e romeni, giunti a Loreto con il mandato dei loro vescovi insieme a quattro sacerdoti della diocesi romena di Caransebes e due seminaristi della diocesi ungherese di Debrecen. A guidare il campo l’équipe storica composta da don Francesco Pierpaoli di Fano e don Giorgio Paolini di Pesaro, ai quali si sono aggiunti suor Catherine Southwood e una coppia di giovani sposi pesaresi, Marco Sanchioni ed Elena Ranocchi, che si sono fidanzati e hanno celebrato il loro matrimonio proprio durante un precedente campo ecumenico di Loreto.

«Quest’anno – spiega don Pierpaoli – è stato come un grembo di ripartenza dopo il lungo stop della pandemia. In tutti i ragazzi c’era un forte desiderio di conoscere Loreto, che è la capitale spirituale che Giovanni Paolo II ha indicato per i giovani d’Europa. Qui infatti è custodita la casa di Maria che è la casa del “sì” giovane». Tre giorni intensi vissuti in piena sintonia e gioia. “Perché siamo divisi se stiamo così bene insieme?”: è stata questa la domanda ricorrente dei giovani che hanno avuto l’opportunità di confrontarsi su temi di stretta attualità: la custodia del Creato, le disparità tra ricchi e poveri, la guerra in Europa e la divisione tra cristiani. Per loro l’arcivescovo prelato di Loreto, monsignor Fabio Dal Cin, ha espresso parole di incoraggiamento durante la veglia all’interno Santa Casa: «la Chiesa deve ripartire da voi – ha detto – ed è per questo che vi invito ad essere costruttori di pace e vi affido la preghiera per il bene del mondo».

Oltre ai lavori di gruppo e di animazione, i ragazzi hanno particolarmente apprezzato la cosiddetta “preghiera di luce” del mezzogiorno. «Non potendo vivere l’adorazione eucaristica per ovvi motivi -– spiega Patricia dalla Romania – ci riunivamo in chiesa ciascuno con un lumino spento e, dopo una breve introduzione guidata, ci raccoglievamo in silenzio per circa mezz’ora prima di accendere la luce e portarla all’altare». Ogni delegazione inoltre si è alternata nell’animazione della Messa celebrata nel proprio rito. «Al momento dell’Eucaristia abbiamo sperimentato la ferita della divisione – spiegano alcuni ragazzi ungheresi – perché pur vivendo tutto il giorno insieme non potevamo mangiare alla stessa tavola di Gesù».

Per questo, come gesto di comunione, i fratelli ortodossi segnavano la benedizione sulla fronte degli altri giovani. «È stato questo forse il momento più forte – spiega don Pierpaoli – che però ci apre ad un impegno quotidiano. La ferita infatti può diventare una feritoia e quindi un dono maggiore da vivere come l’attesa di una terra promessa che è l’unità». Nel corso delle giornate è stata anche programmata, insieme alla delegazione luterana svedese collegata via skype, la XIII edizione del Campo che si terrà nell’ultima settimana di luglio 2023. «Poco dopo – conclude don Pierpaoli – partiremo per la Gmg di Lisbona, in Portogallo a cui prenderanno parte anche ragazzi di altre confessioni cristiane, perché la fede che cercano i giovani fa rima con una Chiesa unita».

Roberto Mazzoli

Un premio per conoscere le luci nel buio della Shoah

Giovani che manifestano per la pace

A colloquio con RobertoMazzoli, giornalista di Pesaro, tra i fondatori del Premio nazionale ‘Luci nel buio della Shoah.

Cos’è e da dove nasce il premio ‘Luci nel buio della Shoah’?

Il premio viene bandito dal Comune di Mombaroccio in provincia di Pesaro ed è rivolto a tutte le scuole italiane. L’idea nasce dalla necessità di mantenere viva la memoria di quelle persone che, durante la seconda guerra mondiale, hanno messo a rischio la loro vita per la salvezza di chi era perseguitato dalle leggi razziali. In particolare a Mombaroccio avevano trovato scampo numerosi ebrei tra cui la famiglia di Alfredo Sarano, che era il segretario della comunità israelitica di Milano e che, prima di fuggire, era riuscito a nascondere le liste di 14mila ebrei milanesi. Un gesto eroico grazie al quale migliaia di persone riuscirono a salvarsi dai campi di sterminio. Infatti senza quelle liste i nazisti non riuscirono a rastrellare la comunità milanese come invece era accaduto a Roma. A Mombaroccio la famiglia Sarano fu protetta dai frati del convento del Beato Sante, da alcune famiglie di contadini e da un giovane comandante tedesco della Wehrmacht, Erich Eder, che scoperta l’identità degli ebrei scelse di non deportarla. Per questo gesto l’ufficiale bavarese è stato insignito nel 2021 del riconoscimento dei Giusti dalla fondazione internazionale Gariwo.

Tre edizioni non sono tante, ma già sufficienti per farsi un’idea: cosa hanno raccontato e restituito?

L’idea di avviare il concorso è stata condivisa insieme alla senatrice a vita Liliana Segre che ha firmato la prefazione al libro dal titolo “Siamo qui siamo vivi” che raccoglie il diario inedito che Alfredo Sarano aveva scritto durante la guerra. Il libro si apre con le sue parole: “Il racconto di un avvenimento è più importante dell’avvenimento stesso”. Una frase che ha colpito Liliana Segre che ha invitato a raccogliere anche quelle storie della Shoah che raccontano il bene che è esistito e che ha permesso in qualche modo di salvare l’umanità dall’abisso. Nel bando del premio gli studenti sono chiamati a rileggere storie più o meno note di quegli anni e cercare in ciascuna quella luce che ha illuminato il buio della Shoah. In queste tre edizioni le scuole hanno fatto emergere tanti piccoli frammenti di vicende quasi dimenticate che insieme compongono un puzzle ricco di speranza anche per il futuro.

Cosa c’è in cantiere per l’edizione 2022?

Purtroppo il perdurare della pandemia ha limitato le tante iniziative legate al premio. Il sogno sarebbe quello di riuscire a ripetere nel maggio del 2022 una premiazione in presenza con la famiglia Sarano. Ma in cantiere c’è anche la nascita di un museo multimediale al quale il Comune di Mombaroccio sta lavorando da tempo. Nella sezione multimediale del museo troveranno posto tutti gli elaborati prodotti dalle scuole in questi anni. Un catalogo di storie raccontate dai giovanissimi narratori da vedere e ascoltare nelle loro rispettive inflessioni dialettali. Una ricchezza unica nel suo genere che li rende nuovi testimoni della memoria.

a cura di L.M.