Lunghe liste di attesa, strutture socio-sanitarie il cui costo è in aumento e pesa sulle spalle delle famiglie, soprattutto quelle meno abbienti. E’ un quadro a tinte fosche quello che hanno tratteggiato Uil e Uil Pensionati Marche, nel descrivere la situazione della sanità pubblica marchigiana. Una difficoltà, secondo l’associazione di categoria, dovuta alle scelte politiche della Regione che hanno contraddistinto gli ultimi anni. E che di fatto porta le persone a far ricorso alla sanità privata.
Liste di attesa
«Le lunghe liste di attesa sono la principale causa del ricorso alle prestazioni private – commenta Marina Marozzi, segretaria generale della Uil Pensionati Marche – ovviamente da parte di chi se lo può permettere. Se, come dice la Fondazione Gimbe rielaborando i dati dell’Istat, ogni marchigiano spende 638 euro (anno 2023) per curarsi, si deduce come sempre più marchigiani siano costretti a rinunciare a curarsi: sono stati il 9,7% contro la media nazionale del 7,6% – terza regione dopo Sardegna e Lazio – e, analizzando la media regionale, emerge che il 7,8% sono uomini e l’11,6% sono donne. Quest’ultimo dato non è un dettaglio da poco, ma il risultato di una condizione della donna che prima per via del gap salariale e poi quello pensionistico la pone in una situazione reddituale svantaggiata che la accompagna durante tutto il corso della vita».
Le strutture socio sanitarie
Costi che aumentano anche per i pazienti delle strutture sociosanitarie. «Il fondo di solidarietà con il quale i Comuni sostenevano il pagamento delle rette dei cittadini meno abbienti è stato azzerato – attacca Claudia Mazzucchelli, segretaria generale della Uil Marche – Con le scelte di bilancio che la Regione ha adottato vengono meno i sostegni economici destinati a un’utenza sempre più fragile, sempre più bisognosa di solidarietà e sempre più povera. La Uil aveva, invece, chiesto all’assessore regionale Saltamartini di incrementare le risorse e di allargare la platea del fondo, rappresentata inizialmente da disabili e psichiatrici, anche agli anziani non autosufficienti. L’assessore aveva assunto nel tempo precisi intendimenti – prosegue Mazzucchelli sulla sanità – ma quel che rimane è soltanto un’utenza che fa sempre più difficoltà a sopravvivere e a cui era necessario rivolgere una maggiore attenzione da parte del potere politico regionale».
Il nodo dei costi nella sanità.
Nel frattempo con apposita delibera, la giunta ha autorizzato l’aumento delle rette nelle strutture per disabili, ponendo a carico della regione 465.000 euro a copertura del maggior costo per gli utenti, ma limitatamente al 2024 e con risorse del bilancio 2025. «Ciò significa che dall’anno in corso gli ospiti di queste strutture devono farsi carico di quest’ultimo aumento – sottolinea Carlo Santini delegato sanità per la Uil confederale Marche – oltre che dell’importo previsto in compartecipazione dai Comuni e finanziato con il fondo di solidarietà che però, appunto, è stato depennato dal bilancio regionale».
Le critiche
«Si introduce invece una misura a favore degli anziani non autosufficienti indigenti di 4 milioni di euro per il triennio 24/27 – concludono dalla Uil Marche – che riusciranno quindi a garantire una elemosina riservata a pochissimi, mentre in questi anni la Regione non ha mancato di soddisfare le richieste economiche provenienti dagli enti gestori delle residenze per anziani, che perennemente stentano a far quadrare il proprio bilancio nonostante gli interventi regionali che si susseguono periodicamente nel tempo».
Si è celebrata recentemente la giornata mondiale per la lotta contro il cancro, che cade ogni anno il 4 febbraio. Un appuntamento per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della prevenzione ma anche per aggiornare su quelli che sono i passi in avanti più promettenti che la ricerca scientifica sta compiendo. Sono migliaia infatti le diagnosi tumorali che vengono certificate ogni giorno nella sola Italia, un dato spaventoso che però dev’essere accompagnato alcune buone notizie. Ne abbiamo bisogno. E a raccontarcele abbiamo chiamato la professoressa di Senigallia Rossana Berardi. Docente di oncologia all’Università Politecnica delle Marche, è direttrice della Clinica Oncologica e della Scuola di Specializzazione in Oncologia Medica e del Centro Regionale di Genetica Oncologica presso l’azienda ospedaliero universitaria delle Marche, ed è anche presidente di Women for Oncology, così come nel direttivo di altre associazioni che si occupano di oncologia in tutta Italia. L’intervista è andata in onda su Radio Duomo Senigallia nei giorni scorsi, ma l’audio è disponibile in questo articolo cliccando il tasto “riproduci” del lettore multimediale assieme alla sua trascrizione integrale.
Quali sono le patologie più diffuse nel nostro territorio. Non abbiamo dati così solidi per poter dire se nella nostra regione ci siano delle patologie differenti rispetto alle altre regioni, le differenze sono sfumate, i registri tumori sono aggiornati ad alcuni anni fa. Quello che sappiamo oggi è che la nostra regione sostanzialmente riflette il dato epidemiologico nazionale e che globalmente mille sono le nuove diagnose di cancro in Italia al giorno. È un numero piuttosto alto, corrisponde a circa 390 mila nuovi casi. Sono dati sostanzialmente stabili negli ultimi anni, forse lieve incremento per alcune patologie, lieve riduzione per altre. C’è da dire però che quello che è importante l’oncologia al di là della diagnosi è anche lo stadio della diagnosi, cioè l’estensione della malattia, perché se riuscissimo a diagnosticare precocemente le malattie – è vero che chi più cerca trova, quindi facendo lo screening magari è più facile trovare – fare una diagnosi di malattia, ma la si può fare ad uno stadio più precoce con un obiettivo importante che è quello della guarigione delle persone.
Queste diagnosi derivano soprattutto dagli screening quando c’è un segnale che ci allarma… Sì, molto spesso noi arriviamo alla diagnosi quando c’è un segno o un sintomo che fanno porre un sospetto di malattia e a quel punto facciamo quello che viene definito l’approfondimento diagnostico, quindi degli esami strumentali, degli esami di laboratorio che poi alla fine ci portano a fare una biopsia che è quella che conferma la diagnosi oncologica. Questo perché lo screening, ovvero la diagnosi precoce nella persona apparentemente sana, nel senso che non presenta sintomi e segni, in realtà è praticabile solo per alcune patologie. Ad oggi sappiamo che abbiamo tre/quattro programmi di screening: la mammografia, la ricerca del sangue occulto nelle feci per il tumore del colon retto negli uomini e nelle donne, il PAP test, la ricerca del papillomavirus nelle donne per i tumori della cerdice uterina e il nuovo programma che non è un vero e proprio screening, ma è un programma che ci permette di fare diagnosi precoci del tumore del polmone, che è la tac nei pazienti fumatori o ex forti fumatori che si vogliano sottoporre a questo monitoraggio.
Ancora la prevenzione non è sufficientemente praticata? Senz’altro possiamo fare molto di più, sia in termini di prevenzione primaria, che è di fatto la riduzione dei fattori di rischio, quindi la modifica di quelli che possono essere stili di vita a rischio, la possibilità anche di vaccinarci per il papillomavirus, queste sono tutte forme di prevenzione primaria. Poi abbiamo la prevenzione secondaria che è lo screening propriamente detto e in questo certamente c’è da fare molto di più. I dati ci dicono che la mammografia è quello più praticato tra i vari screening disponibili, ma abbiamo percentuali di adesione allo screening che oscillano da poco più del 60 per cento al nord, con un gradiente che scende fino a poco più del 30 per cento al sud, con il centro che si attesta a valori intermedi. E lo stesso dica anche per gli altri programmi di screening disponibili, quindi indubbiamente potremmo davvero fare molto di più per la nostra salute.
Queste sono le tipologie di malattia che si verificano con più frequenza? Queste sono tra le malattie che si verificano con più frequenza, noi sappiamo effettivamente che il tumore al seno, il tumore al colon, il tumore del polmone per cui esiste questo programma – che si chiama appunto RISP della rete italiana screening polmonare – effettivamente sono tra le patologie più frequenti. Abbiamo altre patologie però analogamente frequenti per esempio nell’uomo, il tumore della prostata e ovviamente poi ci sono patologie a minore frequenza ma comunque ad alta incidenza lo stesso, però per le quali non esistono programmi di screening codificati perché non ci sono esami che ci permettono effettivamente di fare una diagnosi precoce che abbia come obiettivo quello della riduzione della mortalità, che è l’obiettivo primario dello screening, cioè aiutare le persone appunto a non morire di quella patologia ma casomai a guarire o non ammalarsi addirittura.
Tra i dati positivi sulle diagnosi, c’è un tasso di mortalità inferiore rispetto agli anni precedenti per quanto riguarda le persone di giovani o di mezza età, ci può confermare che c’è una tendenza positiva in questo senso? Sì, lo possiamo assolutamente confermare e più globalmente possiamo confermare che c’è un’aspettativa di vita di gran lunga superiore oggi rispetto già a pochi anni fa. Oggi le persone che vivono dopo una diagnosi di cancro, sono guarite o ne convivono con la malattia, sono oltre 3 milioni e 600 mila in Italia e consideriamo che erano 2 milioni e 440 mila appena 15-20 anni fa, ciò significa che davvero in poco tempo c’è stato un grande progresso ma certamente ancora di più e di meglio si può fare tenendo conto che molto possiamo agire in prevenzione, ma molto possiamo agire anche con una visione un pochino più olistica che è quella che noi chiamiamo della “One Health”, della salute globale che crea un’interconnessione, una maggiore consapevolezza di quanto l’ambito oncologico ,ma l’ambito della salute dell’uomo più in generale, sia connesso con l’ambiente in cui viviamo e il mondo animale con cui ci relazioniamo.
Cioè ci sono dei fattori ambientali di rischio importanti per la salute umana? Assolutamente sì, in senso generale ma anche nello specifico dell’oncologia. Ne cito uno su tutti, per esempio abbiamo dati molto recenti pubblicati un paio di anni fa su una grande statistica di oltre 300 mila persone osservate in nove diverse nazioni che dimostrano che le polveri sottili aumentano il rischio di esorgenza di tumore polmonare nelle persone non fumatrici. Questo è un dato che per la prima volta è stato dimostrato ed è un dato estremamente importante: va da sé che l’ambiente impatta sulla nostra salute. Ci sono anche dati emergenti ma questi ancora in preclinica, quindi non ancora nell’uomo sono stati dimostrati ma nelle linee cellulari in particolare da tumore del colon retto rispetto alle microplastiche e le nanoplastiche, quindi è evidente che anche il nostro comportamento nei confronti dell’ambiente può rappresentare un’ulteriore forma di prevenzione.
Ci si riflette contro praticamente quello che noi apportiamo, i danni che apportiamo all’ambiente. Sì, letta in questa chiave assolutamente sì, ma letta in senso contrario potremmo cercare di limitare ecco quello che può essere l’inquinamento ambientale e questo favorirebbe una maggiore probabilità di non ammalarsi.
Parlava prima di stili di vita: nel senso che alcune alcuni nostri comportamenti poi pregiudicano il nostro stato di salute. Sì oggi potremmo dare anche dei numeri che sono un pochino diversi dal passato: prima avevamo la formula 0-5-30 oggi la formula è diventata 0-5-45 in cui 0 sta a rappresentare no alcol, no fumo possibilmente dieta a chilometri 0; 5 sta ad indicare le porzioni di frutta o verdura al giorno; 45 i minuti di attività fisica cui dovremmo tendere giornalmente. Erano 30 fino a pochi anni fa, oggi le linee guida ci dicono che dobbiamo effettivamente praticare attività fisica da 150 possibilmente fino a 300 minuti a settimana. In aggiunta a questa formula, diciamo magica, ci deve essere un’attenzione alla famiglia, un’attenzione al nucleo familiare inteso come anche albero genealogico. Se abbiamo una famiglia particolarmente colpita da patologie oncologiche, va discussa la situazione con il medico curante e se occorre anche va effettuata una consulenza genetica perché il caso di Bianca Balti e il caso di Angelina Jolie ci insegnano come sia importante identificare quelle sindrome eredo-familiari che possono esporre la persona ad un maggior rischio di sviluppare tumore e in queste famiglie, in queste persone davvero possiamo fare una prevenzione ancora più importante.
Ci sono degli studi come dire particolarmente promettenti che possano in qualche modo infondere un pochino più di fiducia nelle persone colpite da diagnosi tumorale? Certamente, oggi abbiamo terapie talmente innovative che sono realtà penso ai farmaci intelligenti a bersaglio biomolecolare, tanto è vero che non si parla neanche più di oncologia in senso generale ma di oncologia di precisione o addirittura di oncologia mutazionale. Noi andiamo a identificare quelle mutazioni presenti nei geni espressi dai tumori che rappresentano un bersaglio terapeutico e usiamo un farmaco mirato contro quel bersaglio. Abbiamo anche l’immunoterapia che è già una realtà e che va a riattivare il sistema immunitario che è compromesso nei pazienti oncologici per reagire contro la malattia; e la realtà che sta diventando presente futuro, per cui ci sono studi che stanno uscendo continuamente nelle diverse patologie, è quella degli anticorpi farmaco-coniugati, ovvero farmaci che uniscono la vecchia tecnologia della chemioterapia alla nuova tecnologia degli anticorpi monoclonali che quindi arrivano direttamente alle cellule tumorali e iniettano il chemioterapico attraverso il farmaco intelligente al farmaco a bersaglio biomolecolare e iniettano la vecchia chemioterapia all’interno, in maniera mirata, delle cellule tumorali. All’orizzonte abbiamo anche terapie con vaccini per alcuni tipi di tumore che sono ancora in fase di studio ma avanzata, per cui è possibile che tra qualche anno lo scenario sia ancora più incoraggiante di quello che è già diciamo uno scenario importante in termini di ricerca ma anche di pratica clinica oggi.
Si parla di salute, del vertice G7 sulla salute ad Ancona e di contestazioni nel programma “20 minuti da Leone”. L’ultima puntata, in onda venerdì 11 ottobre e sabato 12 alle 13:10 e alle 20, con un’ulteriore replica domenica 13 a partire dalle 16:50 (la terza di tre interviste) su Radio Duomo Senigallia (95.2 FM) ha come protagonista e ospite Nicola Mancini dello spazio comune autogestito Arvultùra di Senigallia. In questo articolo, oltre all’audio integrale dell’intervista, è presente anche un estratto testuale.
Partiamo dagli striscioni appesi a Senigallia… L’iniziativa che abbiamo messo in campo sabato 5 ottobre aveva uno scopo comunicativo, si trattava di esporre degli striscioni nei luoghi che riteniamo simbolici rispetto al diritto alla salute, il nostro ospedale e il nostro consultorio. La critica che portiamo al G7 è la questione della privatizzazione della sanità pubblica, della sua decostruzione e dell’accumulo delle liste d’attesa per poter ottenere visite, operazioni o comunque accertamenti vari. Questo elemento l’abbiamo voluto rendere evidente con la questione dell’intramoenia, perché ci sembra assurdo e grave che una persona per avere una visita o per farsi un’operazione debba attendere mesi, un anno a volte di più e se invece paghi fior fior di soldi lo stesso medico ti fa la stessa operazione nello stesso ospedale il giorno dopo. Questa cosa noi la riteniamo inaccettabile e vorrei dire incompatibile con un sistema di diritto.
E il secondo? Riguarda più una battaglia che stiamo portando avanti, insieme al collettivo transfemminista Ortica e insieme alla rete Oltre 194, sul consultorio. I consultori sono strumenti essenziali per la sanità pubblica, che riguardano la libertà delle donne di poter abortire e quindi proprio in quanto tali sono strumenti che vengono costantemente o depotenziati o chiusi oppure infiltrati dai vari pro-vita che fondamentalmente occupano posti che non gli spettano. L’aborto è una libertà e dovrebbe essere anche indiritto, mentre invece i pro-vita ritengono che l’aborto sia un omicidio e che la salute delle donne sia un elemento secondario, sacrificabile rispetto a una presunta vita.
Per quanto riguarda il diritto alla salute e l’intramoenia incontrate il favore un po’ di tutti i cittadini, un’opinione abbastanza diffusa e condivisa. Il tema dell’aborto invece incontra una serie di critiche che riguardano questioni etiche e che quindi interessano ampie fasce della città in maniera anche trasversale. Queste iniziative hanno come scopo quello di pubblicizzare la contestazione al G7, quindi uno le deve leggere in questo quadro qua, altrimenti avremmo messo in campo altre situazioni. La questione delle liste d’attesa è qualcosa di trasversale, ma nonostante sia condiviso da persone anche di opinioni politiche opposte, non produce nessun tipo di conseguenza da un punto di vista politico. Tutti pensano quello che abbiamo appena detto, ma i politici non fanno assolutamente nulla, anzi remano al contrario. La seconda questione riguarda invece i consultori, io innanzitutto non sono così d’accordo che il tema dell’aborto sia un tema così divisivo. Attiene al piano etico, estremamente soggettivo, individuale: ognuno di noi ha la libertà di scegliere cosa fare e cosa non fare con il proprio corpo, ma questa libertà di scelta non può obbligare gli altri a piegarsi alla nostra stessa idea di libertà, questo è il concetto fondamentale e in più noi uomini, noi maschi dovremmo un po’ tacere su questa questione, perché sul corpo delle donne decidono le donne.
Il nodo non è tanto la scelta dell’aborto, ma che ci possa essere il diritto di effettuarlo, giusto? Esatto, è una pratica diffusa, quindi a mio avviso scientifica e ragionata, della destra al governo e la possiamo riportare dal livello comunale a quello regionale e nazionale. Con questa compagine politica è difficile poter affrontare frontalmente certi temi e certe questioni: non potranno mai vietare l’aborto, mai abolire la 194. Il loro atteggiamento non è di scontro frontale, dialettico, ma è aggirare le cose. Questo sistema è un po’ viscido, per cui formalmente resta tutto, ma poi nella sostanza se togli finanziamenti, riduci i medici, riduci gli orari d’apertura, le strutture le lasci nel loro degrado e rendi ancora più difficile per una donna arrivare all’aborto o anche a prendere la pillola del giorno dopo e tutti gli altri strumenti contraccettivi. Di fatto stai combattendo una libertà e un diritto senza però andare a toccare il piano legislativo.
Avete registrato un progressivo deterioramento di questo diritto, avete visto questo fenomeno accentuarsi oppure era già una scia, una tendenza che era in essere da tempo? Se parliamo della demolizione del servizio sanitario pubblico, questo è un qualcosa che è in corso da 20 anni e, ahinoi, il centrosinistra, il Partito Democratico ne è pienamente responsabile, soprattutto la giunta Ceriscioli che a mio avviso è quella che ha distrutto la sanità marchigiana. Il centrodestra si è semplicemente accomodato nel solco. Per quanto riguarda invece i diritti civili, sicuramente da quando il centrodestra è al governo in questo ambito qua c’è stata una grossa accelerazione.
Torniamo al G7 di Ancona. Quali sono le iniziative che sono state messe in campo? La contestazione al G7 è già cominciata tra il 28 e il 29 settembre. I movimenti femministi e transfemministi, era la giornata mondiale sull’aborto, sono scesi in piazza. E noi siamo scesi in piazza in svariate centinaia in Ancona. Questa prima mobilitazione per noi è stato l’inizio della campagna che ci ha portato verso il G7. Il secondo step fondamentale è stato il 5 ottobre, sabato scorso, dove ci siamo divisi tra due iniziative. La prima è ovvia, la presenza a Roma per il corteo pro palestina e quindi per disobbedire al divieto alla manifestazione imposto dal governo e per criticare questo assurdo liberticida e criminogeno decreto sicurezza. La seconda invece era la presenza a un presidio a Falconara davanti all’API. Uno dei temi del G7 è quello del rapporto tra salute e territorio ambiente. L’ecomostro API che da decenni inquina la nostra area, il nostro mare e la nostra terra, è esattamente il contrario di quello che il G7 dice. Parlano di salute, territorio e ambiente esattamente in un territorio martoriato verso i quali non propongono nessun tipo di soluzione alternativa. Quel problema va risolto chiudendo la raffineria API senza girarci tanto intorno.
E nel vivo delle giornate del G7? Mercoledì un presidio al Salesi proprio per rivendicare la libertà di abortire, soprattutto rispetto a alcune pratiche terribili che stanno proponendo, per fortuna ancora non eseguendo, di portare dall’Ungheria, dalla Polonia come l’ascolto del battito del feto e altre cose. Giovedì delle iniziative diffuse, sit-in, presidi: uno la mattina in Ancona sul tema delle liste d’attesa; uno il pomeriggio davanti alla sede della provincia di Ancona sul tema sempre salute, ambiente e territorio. Non per l’API, ma la costruzione dell’Edison, anche questa ennesima follia che stanno facendo a a Jesi, e poi la sera in Ancona un confronto, un dibattito e una spiegazione proprio del DDL Sicurezza per organizzare sabato 19 ottobre una manifestazione nazionale a Roma. Venerdì poi la mattina presso il Cinema Azzurro l’assemblea plenaria di tutti i vari soggetti che hanno partecipato all’organizzazione del contro G7 con l’obiettivo ambizioso di costruire una piattaforma di lotta comune che possa essere condivisa, con anche interventi internazionali per esempio dei medici palestinesi, sulla sanità di Gaza. Il tutto si conclude venerdì pomeriggio con una manifestazione pacifica e di massa da Piazza Cavour, centro della città di Ancona, proprio mettendo insieme tutti questi argomenti che in maniera singola sono stati sviluppati nei giorni precedenti, nei presidi, nelle manifestazioni, nelle assemblee, con la partecipazione di tutti i comitati sulla sanità pubblica e di tanti altri movimenti da molte città d’Italia.
L’ospedale civile di Senigallia “Principe di Piemonte”
Quali le problematiche attuali dell’ospedale di Senigallia e quali i passi in avanti che si potrebbero compiere di qui a poco? Dove si sta intervenendo e quando la comunità senigalliese e valliva potrà godere delle migliorie, strutturali e relative al personale, che sono state messe in campo dall’amministrazione sanitaria e regionale? Sono alcune delle domande che abbiamo posto a Silvano Cingolani Frulla, presidente del comitato cittadino a difesa dell’ospedale di Senigallia con cui abbiamo parlato di sanità e del futuro del nosocomio locale. L’intervista è in onda venerdì 16 e sabato 17 agosto, nei soliti orari delle 13:10 e delle 20, con un’ulteriore replica poi domenica 18 alle 17:25 circa (subito dopo l’intervista in due puntate al commissario della fondazione Città di Senigallia Canafoglia). L’audio è disponibile anche in questo articolo grazie al lettore multimediale ma si potrà leggere anche un estratto dell’intervista in forma testuale.
Parliamo delle liste di attesa, il sintomo che forse tutti notano di una sanità in difficoltà… Vanno avanti da anni e si acuiscono sempre di più, con problemi sia per i cittadini sia per la Regione perché aumenta la mobilità passiva, ovvero il ricorso a cure di altre regioni, oppure si va privatamente. Il problema è che non tutti possono curarsi adeguatamente: il 10% dei marchigiani non ha le risorse per farlo. Eppure l’articolo 32 della costituzione sancisce che è un diritto di tutti potersi curare.
Molti devono fare una scelta tra le varie spese da affrontare e le cure mediche. Ci impegniamo su questo fronte affinché le cose cambino e proprio l’interlocuzione ottima a livello locale con l’amministrazione comunale che ci ascolta e recepisce le nostre istanze va in questa direzione. Lo stesso vale col direttore dell’Ast 2 dottor Stroppa, spero che la collaborazione dia qualche frutto a breve. Criticavamo prima e critichiamo anche adesso, la differenza è che ora a livello locale siamo ascoltati. Non lo siamo a livello regionale.
Sulla palazzina per le emergenze-urgenze avete novità? I lavori dovevano partire in primavera… L’aspettiamo con ansia perché il pronto soccorso deve essere a norma. Conterrà il pronto soccorso, l’osservazione breve, la medicina d’urgenza, la terapia intensiva e semi-intensiva, sale operatorie di ultima generazione con diagnostica dedicata. Il problema è che sotto, nel terreno, vi sono tutte le linee elettriche, idriche e per il riscaldamento dell’ospedale. Non so cosa riusciranno a fare in quella zona, andranno dirottate tutte le condotte. Inoltre andrà fatta una bonifica perché vi era un inceneritore una volta: che materiali di risulta vi sono? Questo ritardo è dovuto ai sondaggi del terreno?
Sicuramente è il più importante investimento sull’ospedale pubblico degli ultimi anni… Sì ma deve essere finito entro primavera 2026, perché è finanziato con i fondi del pnrr, speriamo di vedere almeno l’inizio dei lavori. A breve dovremmo avere un incontro col direttore Stroppa per capire anche il cronoprogramma dei lavori sulla nuova palazzina.
Che novità sul personale sanitario e amministrativo dopo le assunzioni annunciate dall’Ast? Ne sono state fatte molte ma avrebbero bisogno di più risorse, ma dal fondo nazionale: ora è tutto passato a livello regionale ma il 10% delle risorse regionali non è uguale al 10% nazionale. Bisognerebbe che dal governo allarghino le risorse adeguandole al costo storico sanitario nazionale.
Silvano Cingolani Frulla
Quali i vostri dubbi sulle centrali operative territoriali (COT)? Secondo la Regione, dovrebbero coordinare la presa in carico della persona. C’è a Senigallia, Jesi, Ancona e Fabriano. Ma la domanda è: quali utenti prende in carico una cot se le liste regionali di prenotazione sono chiuse e qualsiasi esame o visita non è prenotabile? Se vado al cup e non posso prenotare, il cot chi prende in carico? Queste sono alcune delle domande, ma molte ce le fanno anche i cittadini che sono arrabbiati perché dicono che il diritto alla salute sia negato quasi a tutti. Per questo ci impegniamo.
Quali soluzioni? Per esempio, nel laboratorio analisi di Senigallia c’è ora una nuova organizzazione che dovrà regolare meglio l’attività rispetto agli altri laboratori di Jesi e Fabriano;
Perché non riapre il parcheggio lungo lo stradone Misa? C’è una proposta vecchia che vede quel parcheggio nelle mani di una società che però lo tiene chiuso per non si sa quali motivi. E’ avvenuto dopo l’alluvione 2022, probabilmente dovevano esservi fatti dei lavori ma che sono bloccati.
Anche il Misa Soccorso ha dei problemi? I loro locali sono angusti e non a norma e soprattutto le ambulanze non hanno alcun riparo, sia d’estate che d’inverno, nonostante le delibere che regolamentano il trasporto sanitario. I mezzi raggiungono sotto il sole delle temperature altissime, come come infuocate ma al loro interno contengono medicinali e apparecchi elettromedicali che potrebbero rovinarsi, per non parlare poi degli ammalati.
Che notizie dai reparti? L’otorino una volta era un’unità operativa complessa, poi è stato declassato a unità semplice dipartimentale: ora c’è l’interpello ai medici, attendiamo la nomina del responsabile per ridurre le liste di attesa. Si pensi che a settembre c’è solo una seduta di sala operatoria per l’otorino di Senigallia: quattro interventi al mese di quindici minuti l’uno, con cinque medici a disposizione. E’ inaccettabile.
E poi? Qualche passo in avanti? Stanno venendo fuori le nomine dei facenti funzione a nefrologia, a cardiologia. La cardiologia è importantissima: c’era una delibera che eliminava sulla carta l’utic, la terapia intensiva cardiologica tramutandola in riabilitativa; poi non è stata mai di fatto tolta. Adesso dovrebbe ritornare come prima grazie al concorso per primario, quindi torneremo ad avere un’utic come nel 2017, anche se attendiamo l’uscita del concorso.
Tante problematiche, tante segnalazioni dei cittadini… Sono 6-700 segnalazioni. Cerchiamo di dare una mano con la nostra esperienza, senza guardare a posti e poltrone, ci occupiamo di salute senza guardare la politica, siamo un comitato civico che vuole cercare delle soluzioni.
Nasce nelle Marche BAM (Bambini Allergici Marche), la prima associazione regionale a sostegno dei bambini con gravi allergie
Nasce nelle Marche BAM (Bambini Allergici Marche), la prima associazione regionale a sostegno dei bambini con gravi allergie. Nascita contestuale alla tappa marchigiana del Progetto RipartiAmo che si è svolta lo scorso 23 giugno all’ospedale pediatrico “G. Salesi”di Ancona.
Il progetto mira a creare una rete con le associazioni a supporto dei bambini allergici e lo fa percorrendo l’Italia in bicicletta. Curato dalla Società italiana di allergologica e immunologia pediatrica (SIAIP) e condiviso dal direttore dalla sod di pediatria Salvatore Cazzato e da Lucia Liotti, è stato realizzato grazie all’aiuto della Fondazione Salesi. Ad accogliere i bambini e le loro famiglie ci hanno pensato clown festosi, bolle giganti e gli amici della pet therapy. Si è fatto il punto sulle difficoltà quotidiane che ogni bambino con allergia, e ogni famiglia, deve gestire per crescere serenamente nonostante l’allergia alimentare.
E’ una patologia che ha un grande impatto sociale, per la sua frequenza e per le importanti ricadute sulla qualità di vita dei bambini e di tutto il nucleo familiare. Mangiare fuori casa, andare al compleanno di un amico, poter rimanere a mensa a scuola, fare una partita di calcio, andare in gita con i compagni… niente è scontato per un bambino allergico. Spesso si incontrano grandi muri e troppi ostacoli alimentati dalla poca conoscenza di queste patologie e dalla paura che porta all’esclusione.
L’obiettivo principale dell’associazione BAM è quello di mettere in rete le tante famiglie marchigiane, e soprattutto garantire, con il supporto scientifico dell’allergologia pediatrica dell’ospedale Salesi, ambienti sicuri, pasti sicuri, accesso a tutte le attività scolastiche, sportive e sociali per ogni bambino con allergia. Bambino che ha la stessa voglia di vivere, saltare, giocare ed esplorare di tutti gli altri anche se nel suo zainetto porta la sua lista di cose che non può mangiare, i suoi farmaci salvavita, la sua storia speciale.
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Un gruppo di auto mutuo aiuto per i pazienti stomizzati. Questa l’importante progettualità partita ormai da qualche mese nell’ambulatorio stomizzati dell’unità operativa di chirurgia a Senigallia. Un’iniziativa che nasce dalla necessità di un supporto a pazienti e famiglie coinvolte in questa condizione.
Il paziente stomizzato è un paziente che per necessità di cure, per patologie oncologiche, per malattie croniche intestinali, secondariamente a traumi o ad alterazioni congenite deve ricorrere ad un intervento chirurgico con la creazione di una derivazione intestinale o urinaria chiamata appunto stomia. Nel post operatorio il paziente si ritrova ad affrontare una situazione nuova, oltre alla gestione pratica del sacchetto adeso alla parete addominale, è travolto da un vortice di emozioni, disagio, paura e angoscia di non riprendere la propria vita nel quotidiano.
Per gestire questo caos, il paziente ha bisogno del sostegno dello stomaterapista e della propria famiglia. Ma l’aiuto di cui ha bisogno nel gruppo di Auto Mutuo Aiuto “STOMIA, LA STORIA MIA” viene anche da chi condivide lo stesso percorso da più tempo ed è in grado di accogliere con pienezza le emozioni, le sensazioni e le paure. Allora il peso del paziente si alleggerisce e il vuoto che sentiva è colmato dalle esperienze e dalla scoperta di poter vivere la propria vita anche con una stomia.
Gli incontri hanno cadenza mensile, ogni primo giovedì del mese, ospitati nella sala riunioni del Club Nautico di Senigallia. Alla presenza degli stomaterapisti e dell’equipe della unità di chirurgia, il gruppo di avvale anche del contributo di una psicologa-psicoterapeuta che attraverso pratiche guidate di rilassamento e mindfulness fornisce ai partecipanti una rete di supporto interna ed esterna per affrontare il percorso.
Un dolore mentale insopportabile e un profondo senso di abbandono, spesso accompagnati dall’idea che chiedere aiuto sia un gesto di cui vergognarsi in una società dominata dalla logica dell’efficienza e del successo, all’interno della quale spesso la fragilità è difficilmente accolta e ascoltata. Se ne è parlato il 24 marzo scorso a Torino nel corso dell’evento di presentazione alla stampa dell’Osservatorio nazionale suicidi (Ons) che prevede un Centro di ricerca nazionale di cura ma, soprattutto, di contrasto e prevenzione del suicidio.
Secondo l’Oms, ogni anno nel mondo si suicidano circa un milione di persone: una persona ogni 40 secondi. In Italia, secondo gli ultimi dati Istat disponibili, nel solo 2019 i suicidi sono stati 3.680, con un’incidenza maggiore nelle regioni del nord. Il Rapporto sull’uso dei farmaci rivela la presenza di almeno 3 milioni di persone depresse su tutto il territorio nazionale e il fenomeno ha conosciuto una crescita drammatica con la pandemia. Per questo…
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La rottura c’è e sarà lunga la strada per la riconciliazione. La pandemia ha inasprito i contrasti fra due ali della società: chi approva i vaccini e chi no. Secondo Mario Pollo, antropologo dell’educazione, già docente di sociologia e pedagogia all’Università Lumsa di Roma, “È evidente il mancato riconoscimento delle competenze, delle differenze e delle gerarchie sociali”. E per trarre una eredità positiva dalla pandemia non serve la rimozione ma l’innesco di un processo emotivo che coinvolga tutti.
Professore, la pandemia che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo cambierà i nostri comportamenti anche quando mascherine e contagi saranno un ricordo?
Impossibile prevedere il futuro ma non bisogna essere troppo ottimisti. Temo che il nostro comportamento a livello collettivo non cambierà. Perché ciò che viviamo diventi esperienza è necessario venga interpretato simbolicamente e acquisisca un significato cognitivo ed emotivo. Ma non mi sembra che a livello collettivo sia avvenuto questo processo.
Per innescarlo cosa servirebbe?
Finora le misure di restrizione, la richiesta per esempio di indossare la mascherina, erano basate sulla motivazione “la scienza dice”. Ma la scienza non riesce a toccare le ragioni profonde che orientano i comportamenti della persona nutrita da sentimenti ed emozioni. Quando manca la capacità di capire che i miei comportamenti hanno conseguenze su di me e sugli altri, la prescrizione o l’obbligo cadono nel vuoto. Sarebbe necessaria una educazione di tipo civico, che aiuti le persone a sentirsi responsabili, non solo della propria salute ma anche quella degli altri, in particolare dei più fragili. Questo permetterebbe di trarre un insegnamento, un modo per migliorare la vita della comunità. È una delle conseguenze secondarie del pensiero diffuso nella nostra società secondo il quale ‘uno vale uno’….
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Il dott. Aboud Assad e i sindaco di Trecastelli Marco Sebastianelli
Buone notizie per i residenti di Ponte Rio, località della municipalità di Monterado. Tra pochi giorni prenderà infatti servizio il nuovo medico nell’ambulatorio comunale di viale I° Maggio n. 9, il dott. Aboud Assad. L’inizio è fissato per metà mese, a due settimane esatte dalla cessazione della precedente figura medica, la d.ssa Fiorella Perlini che aveva terminato a fine novembre.
Dopo la cessazione del medico di base, molte persone avevano lamentato la carenza di altre possibilità: dato che nessuno si era detto disponibile a coprire l’ex comune di Monterado, praticamente non c’erano altri professionisti a cui rivolgersi se non andando a pescare tra quelli indicati dall’Asur che operano però fuori dal Comune di Trecastelli. Non tutti i cittadini avevano fatto la scelta: per molte persone, perlopiù anziane, spostarsi per andare dal medico è un problema se non c’è un accompagnatore disponibile.
Così era scattata la petizione con una raccolta firme tra i circa 1500 residenti a Ponte Rio: quasi 500 persone avevano firmato chiedendo la prossimità di un servizio indispensabile, come l’ambulatorio medico, rimasto scoperto dopo la cessazione dell’attività della dottoressa Perlini.
Dopo giorni di lamentele e interlocuzione, finalmente la buona notizia di un nuovo medico: il dottor Aboud Assad inizierà l’attività ambulatoriale dal 15 dicembre, mettendo a tacere per fortuna le proteste. Rimane però l’amaro in bocca, dato che la pratica poteva essere chiusa prima della cessazione della dottoressa Perlini, evitando i disagi alla popolazione che si è subito mobilitata.
Dopo il difficile periodo della pandemia, Cuore di Velluto riapre le sue porte alla cittadinanza e lo farà nella nuova sede di via Capanna – già operativa, ma che nelle prossime settimane verrà ufficialmente inaugurata – con delle attività organizzate finalizzate al recupero psicofisico dei soggetti affetti da cardiopatie.
L’iniziativa dell’associazione di volontariato senigalliese, che sta avviando in questi giorni un progetto di “auto mutuo aiuto per pazienti post evento cardiaco”, mira a fornire un supporto psicologico ed educativo. Consiste nell’accoglienza di gruppi di massimo 10 persone, che hanno in comune l’esperienza di problematiche cardiovascolari: un tentativo di costruire reti solidali per far fronte al bisogno degli individui di confrontarsi sulle proprie vicende ed emozioni legate al vissuto di queste patologie, con lo scopo di promuovere dinamiche di sostegno e di aiuto reciproco.
«Si tratta del primo esperimento in questo senso nelle Marche e tra i primi in Italia, con la formazione di un gruppo pilota che si incontrerà a cadenza settimanale» spiega la dottoressa Catia Gaggiotti, psicologa responsabile del progetto.
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Caritas Senigallia entra nel progetto SAFE – rete per l’inclusione e la salute – che coinvolge 24 partner tra il Trentino e la Sicilia e prevede di attuare strategie e realizzare progetti che sensibilizzino sul tema della povertà sanitaria e dell’inclusione lavorativa.
Sono più di 2 milioni in Italia le famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta, il 7,7% del totale. Non ci si può aspettare che gli enti caritatevoli da soli risolvano problemi di questa portata. Serve un intervento culturale, ed è quello che il progetto SAFE si propone.Non solo rispondere a un problema, ma sostenere progetti di reinserimento lavorativo e la sensibilizzazione sul tema della povertà sanitaria. Caritas Senigallia si impegna da sempre su questi fronti ma ora potrà valorizzare e incrementare il proprio impatto sul disagio sociale ela vulnerabilità economica. “Safe” è un termine inglese che significa sicuro, protetto, affidabile, descrive uno “stare bene” in relazione con gli altri, non da solo. Tutte le persone e gli enti partner del progetto si impegnano a testimoniare un’appartenenza reciproca, offrendo spazi accoglienti, cure, beni necessari ma anche e soprattutto tempo, ascolto, sorrisi e risposte ai problemi.Così SAFE diventa una rete, spazio di confronto e di incontro dove ognuno ha qualcosa da dire, una storia da raccontare, un aiuto da donare: l’operatore come il volontario, l’ospite come il cuoco, il direttore come il senzatetto. Un gioco delle parti, in cui non esiste chi salva e chi è salvato: siamo tutti sulla stessa barca.
“È un grande onore, ma anche una grande responsabilità per noi essere capofila del progetto SAFE” racconta Mario Galasso, direttore della Caritas di Rimini. “Abbiamo una grandissima opportunità: ampliare le nostre competenze per servire al meglio le persone che si rivolgono a noi”. Il progetto nasce grazie al finanziamento del Ministero del Lavoro, che ha il compito di coordinare l’attività di realtà presenti in modo capillare su tutto il territorio italiano. Realtà esperte, competenti, attive da anni per rispondere in maniera puntuale ai bisogni crescenti dei poveri sul nostro territorio. L’appello però è rivolto a tutti, dice Marco Pagniello, responsabile ufficio politiche sociali e promozione umana di Caritas Italiana: “La coesione sociale, la crescita del benessere delle comunità e la lotta alla povertà richiedono, soprattutto nella situazione attuale, la mobilitazione di tutti”.
Hanno aderito al progetto enti nazionali e locali, in un’ottica di sussidiarietà circolare, tra i quali il Banco Farmaceutico, ACLI – CTA, Caritas italiana e numerosi partner come Caritas Senigallia, che attraverso le loro attività e disponibilità al lavoro di squadra si fanno portavoce del progetto per rafforzare la potenza del messaggio innovativo di SAFE, che descriverà anche storie vere di lavoratori, ospiti, volontari dei progetti in giro per l’Italia attraverso il sito internet www.progetto-safe.it e la pagina Facebook SAFE – rete per l’inclusione e la salute.
Chiara Michelon
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