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Tag: simona cardinaletti

Il caso ‘Mia moglie’, la violenza sulle donne e la sfida culturale per gli uomini

Una degradante vicenda ha scosso il web e la società italiana: la scoperta dell’esistenza da anni di un gruppo sulla piattaforma facebook, denominato “Mia Moglie“, in cui per anni sono state scambiate, per la maggior parte dei casi senza consenso, centinaia di migliaia di foto di donne, in atteggiamenti quotidiani ma anche in momenti intimi. Un’indignazione collettiva ha portato alla sua chiusura e rimozione, ma il caso non è che la punta di un iceberg, un campanello d’allarme che merita una riflessione profonda sulla violenza di genere. E la nostra riflessione parte dalle parole della psicologa e psicoterapeuta Simona Cardinaletti che Laura Mandolini ha intervistato per “20 Minuti da Leone” e che vi proponiamo in versione integrale qui su La Voce Misena: basterà cliccare sul tasto play del lettore multimediale per ascoltare l’intervista.

Una vetrina di corpi senza consenso

Il gruppo, attivo dal 2019 e con quasi 32 mila persone, era una vera e propria “piazza del mercato” in cui esporre la merce, fatta di immagini rubate, alcune reali e altre tratte dal web. Foto che venivano in maniera anonima sottoposte al giudizio pubblico degli iscritti, con commenti sessisti, violenti e degradanti. Post come “Voi cosa le fareste?” ricevevano risposte come “La stuprerei io”. Il problema è che non è una novità ed solo la punta di un fenomeno ben radicato purtroppo nella nostra cultura. Secondo Cardinaletti, si tratta di una versione moderna del concetto di branco, in cui la competizione si basa sull’oggettificazione della donna.

Un gioco in cui perdono tutti

La dottoressa Cardinaletti spiega che per gli uomini che partecipano a queste dinamiche «mettere sul mercato le foto della propria moglie è un modo per ottenere l’approvazione degli altri maschi e sentirsi un maschio che vale». Un atteggiamento minimizzato come si è giustificato il marito di una delle donne le cui foto sono state condivise, dopo aver confessato di far parte del gruppo. La donna, in un amaro sfogo sul Corriere della Sera, ha scritto: «Lui si è giustificato dicendo che era soltanto un gioco… un gioco in cui alla fine perdono tutti».

L’impunità

Simona Cardinaletti
Simona Cardinaletti

Questa vicenda non è solo un “gioco”, ma un vero e proprio reato. Scambiare foto sessualmente esplicite o rubate senza il consenso della persona raffigurata è un illecito punibile con la reclusione da uno a sei anni e una multa dai 5mila ai 15mila euro. Ma la rimozione del gruppo, avvenuta dopo sei anni dalla sua creazione, solleva dubbi e interrogativi sulla responsabilità delle piattaforme social. Meta, la società che gestisce Facebook, ha agito solo dopo l’ondata di indignazione, dimostrando una grave mancanza nella moderazione dei contenuti, che ha permesso a migliaia di utenti di commettere atti illegali indisturbati per anni.

La sfida culturale

Il caso “Mia Moglie” evidenzia una profonda problematica culturale. La violenza di genere, spiega la dottoressa Cardinaletti, non è un problema che riguarda le donne, bensì un problema che riguarda gli uomini. L’idea che le donne siano al servizio degli uomini in tutti i sensi, incluso il corpo, è ancora radicata e ampiamente accettata. Per questo motivo, le iniziative contro la violenza dovrebbero essere rivolte agli uomini, nei loro luoghi di lavoro e nello sport, interpellandoli in maniera attiva. L’educazione al rispetto di genere, da praticare fin dalla giovane età, e un’auto-riflessione del mondo maschile sono i primi passi per una vera evoluzione. «Fin quando continuiamo a lavorare solo con le donne, da qui non ne usciamo» è l’amara considerazione conclusiva di Cardinaletti.

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Un nuovo sportello territoriale antiviolenza, la partecipata inaugurazione a Monterado

È stato inaugurato lo scorso 27 giugno lo sportello territoriale antiviolenza, nel Comune di Trecastelli, a Monterado. Un luminoso spazio ubicato al piano terra dello stabile che ospita l’Unione dei Comuni ‘Le Terre della Marca Senone”, in Piazza Roma e gestito dall’associazione “Dalla parte delle donne”. Sarà un punto di riferimento importante, ‘più vicino alle donne… per le donne’, come recita lo slogan riportato nell’invito, luogo di accoglienza, ascolto e consulenza per quante decidono di condividere la propria situazione di sofferenza ed intraprendere percorsi di reale emancipazione.

All’evento hanno preso parte il sindaco di Trecastelli Marco Sebastianelli, le assessore Eleonora Lozza e Liana Baci, la Coordinatrice dell’ATS 8 Giusi Campolucci, la presidente dell’Associazione Sabina Sartini, oltre a numerose persone che hanno voluto plaudire l’apertura dello sportello – il secondo attivo sul territorio dopo quello di Senigallia – frutto della collaborazione tra il Comune di Trecastelli, l’Unione dei Comuni “Le Terre della Marca Senone”, l’Ambito Territoriale Sociale 8 e l’Associazione “Dalla Parte delle Donne”, da oltre vent’anni riferimento territoriale consolidato in questo ambito.

Dopo l’inaugurazione della sede, nel vicino Largo Maria Lisa Cinciari Rodano c’è stato il dialogo tra la psicologa e psicoterapeuta Simona Cardinaletti e Catia Ventura (vedi foto), titolare dell’omonima casa editrice. Simona Cardinaletti è tra le più autorevoli esperte sul tema, grazie a lei è nata nelle Marche la prima ‘casa rifugio’ per donne maltrattate. Per lei, che da quasi venticinque anni si occupa del tema e che di recente ha scritto il libro Il sesso debole “occorre agire insieme, in rete perché la cultura del rispetto ha bisogno di tutti e tutte, si costruisce al di fuori delle mura domestiche. È una sfida da condividere ed uno sportello come questo – ha continuato – è uno stimolo per far crescere relazioni di aiuto, prezioso veicolo di cambiamento per tutte le donne, non solo per quelle che qui saranno accolte”. La cronaca non smette di raccontarci femminicidi, abusi di ogni genere, ma l’impegno deve toccare ambiti e azioni più ampi. C’è infatti da mettere mano “all’intero assetto sociale che produce o asseconda la violenza sulle donne: la diversa distribuzione del lavoro di cura, la disparità in ambito economico e professionale, il grande tema del corpo delle donne”.

Le giovani ed intense voci canore delle allieve della musicista e cantante Marika Discepoli hanno chiuso il pomeriggio, allietato ulteriormente da un momento conviviale offerto da aziende e produttori che collaborano con l’associazione ‘Dalla parte delle donne’. Erano presenti anche numerose volontarie di questo sodalizio, diventate un prezioso approdo per quante, in numero crescente, si recano in queste stanze alla ricerca di un sostegno a tutto tondo, spesso duraturo nel tempo ed assai articolato. Alla gestione dello sportello si aggiunge una loro costante attività formativa, educativa e di prevenzione per consolidare, anche nella nostra realtà, una cultura diffusa e rispettosa, capace di essiccare le troppe radici di una violenza odiosa che fa male a tutti, uomini e donne.

Laura Mandolini

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Stupri di gruppo, femminicidi. Ne parla l’esperta Simona Cardinaletti, della cooperativa Polo9.

La cronaca di queste settimane ci parla di stupri di gruppo commessi da giovanissimi su giovanissime. Nei giorni precedenti lo strazio di femminicidi che sembrano non avere mai fine. Simona Cardinaletti, psicologa e psicoterapeuta Polo9, è tra le più autorevoli esperte sul tema a livello nazionale, autrice de “Il sesso debole. Debolezza femminile e violenza contro le donne”, libro che è stato presentato lo scorso 14 luglio a Senigallia nel quale descrive cosa si cela dietro il fenomeno della violenza sulle donne, invitata dal Centro italiano femminile locale.

Polo 9 ha pensato bene di interpellarla per aiutarci a comprendere l’incomprensibile, pubblicando sui propri canali social queste interessanti valutazioni: “In cuor mio spero che questi fatti non indichino una recrudescenza del fenomeno, – spiega Simona Cardinaletti – i recenti fatti di cronaca dimostrano che le ragazze vittimizzate non sono più disposte a restare nel silenzio, ma parlano e denunciano gli stupratori. A parte l’orrore per quello che queste ragazze hanno subito, ciò che mi ha suscitato ancora più orrore, se possibile, sono le frasi attribuite agli arrestati “sarei dovuto andare via” (sottinteso: lasciando la ragazza in mano agli stupratori); “mi sono rovinato la vita” (la sua vita non quella della ragazza).

In realtà, la vita rovinata ce l’avranno solo le vittime; se tutto andrà come deve andare, ma non siamo certi perché in Italia quando si tratta di violenza contro le donne escono le sentenze più fantasiose per giustificare o per lo meno minimizzare la gravità del reato (tempesta emotiva, comportamento promiscuo della vittima, l’inganno da parte della vittima, ecc.) gli stupratori si faranno qualche anno di carcere. Usciranno ancora giovani, incontreranno una compagna, faranno figli e dimenticheranno. Ma alle vittime aspetta l’ergastolo: perché per tutta la vita questo ricordo traumatico le accompagnerà; le più fortunate incontreranno un/una professionista che le aiuterà a convivere con il ricordo e forse riusciranno ad andare avanti. Le meno fortunate saranno condizionate nei loro rapporti affettivi, non riusciranno ad avere una normale vita sessuale ed affettiva. Restano prigioniere per sempre.

Nella mia professione mi è capitato di seguire una di queste ragazze rapita e seviziata da un gruppo di uomini a 17 anni; è arrivata da me che ne aveva 40: stessi incubi, stesse paure, l’aiuto della chimica per condurre una vita normale. Ci abbiamo messo anni per ritrovare l’equilibrio, lasciare la chimica e tornare a contare su di sé. Allora, quando sentiamo queste notizie prima di pronunciare le solite frasi contro le vittime, che inevitabilmente arriveranno: perché era lì con tutti ragazzi, perché ha bevuto, ecc. (alias: se l’è cercata) pensiamo al danno che hanno subito e di cui MAI hanno nessuna colpa: essere imprudenti non è una colpa è una leggerezza, essere stupratori non è una leggerezza, un colpo di testa, una bravata, è un atto di violenza intenzionale, è una riduzione ad oggetto di una persona, è un’affermazione di potere degli impotenti. L’impotenza di uomini che non sono in grado di affermare la loro mascolinità se non attraverso al violenza e spalleggiati dal gruppo, perché come dice una famosa canzone di Mia Martini “Se l’uomo in gruppo è più cattivo quando è solo ha più paura…”.

Le donne parlano, denunciano, dicono basta (per questo vengono uccise), scendono in piazza, ma quello che è sempre più assordante è il silenzio degli uomini, che si limitano a prendere le distanze e dire “io mai”, che non condannano senza se e senza ma la violenza contro le donne agita da altri uomini, che non scendono in piazza per dire “adesso basta”. Non dimentichiamo ciò che dice Eli Wiesel “Il silenzio incoraggia sempre il torturatore, mai la vittima”. La violenza contro le donne è un problema degli uomini, non delle donne, noi ne paghiamo solo le conseguenze”.

Grazie al team ‘comunicazione’ di Polo9 per averci autorizzati a rilanciare queste interessantissime considerazioni.
www.polo9.org

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“Il sesso debole”. Il libro sulla violenza contro le donne in una serata speciale a Senigallia

Evoluzione non sempre fa rima con emancipazione. Anzi, in tema di donne, molto raramente. Se è vero che molte conquiste sono state fatte, l’aria che si respira e tutt’altro che fresca. Di questo si è parlato venerdì 14 luglio scorso, a Senigallia, quando l’autrice del libro ‘Il sesso debole. Debolezza femminile e violenza contro le donne’, Simona Cardinaletti si è confrontata con la giornalista Fabiana Martini, invitate dal Cif – Centro italiano femminile – di Senigallia.

Oltre la cronaca, oltre le frasi fatte, oltre i buoni propositi. Le pagine di questo libro invitano ad andare oltre, quasi una cassetta degli attrezzi per comprendere meglio tutta la portata di un fenomeno che non passa di moda. Anzi! Le donne continuano ad essere violate, vessate, uccise ad ogni latitudine, in contesti di fatica come in quelli decisamente più agiati.

L’autrice non fa tanti giri di parole: la discriminazione viene accettata! È un dato culturale difficile da estirpare, un terreno che nutre radici malsane e pensare di combattere la violenza sulle donne tagliando le chiome di questo albero sempre rigoglioso, significa limitarsi a tamponare l’emergenza e alla lunga arrendersi al fallimento. Altrimenti non si comprenderebbe perché, a fronte di Giornate, mobilitazioni, panchine rosse, dichiarazioni e ottime leggi ogni tre giorni la cronaca nera restituisce episodi di sconvolgente efferatezza, un ‘estremo’ dietro l’altro a cui si arriva passo dopo passo.

È proprio qui il corto circuito. Accendere i riflettori sul caso limite, che poi tanto limite non è, per ignorare sistematicamente il brodo di coltura che nutre lo squilibrio di genere. Diamo per scontato, uomini e donne, che le cose funzionino quasi naturalmente in questo modo. La società patriarcale è identica per maschi e femmine, gli uomini stessi sono vittime di questo sistema che, pur mettendoli in posizione di apparente privilegio, alla fine fa male anche a loro.

Più che debole, allora, il sesso è indebolito, più che vittime, le donne sono vittimizzate. Non si tratta di un semplice artificio lessicale: il passaggio dall’aggettivo al participio passato significa sostanzialmente dare il nome giusto alla realtà, spostare la responsabilità, e quindi la libertà di scelta, su chi agisce, su chi proprio non ce la fa a mettersi in discussione e pensa che se le cose sono sempre andate così, un motivo ci sarà.

Di motivi in effetti ce ne sono tanti e premesse e conseguenze sono raccontate bene nel libro di Simona Cardinaletti, forte di tantissimi anni di professione accanto a donne in condizione di vulnerabilità, responsabile della Casa rifugio Zefiro di Ancona della Cooperativa Polo 9 e nella sua attività di supervisione a diversi Centri antiviolenza. Basta scorrere l’indice per coglierne tutta la complessità: la diversa distribuzione del lavoro di cura, le discriminazioni di genere sul lavoro, l’uso e l’abuso del corpo delle donne, le molteplici modalità in cui si manifesta la violenza contro le donne,
il contesto della genitorialità e delle dinamiche di coppia…

Cardinaletti e Martini, in un dibattito di grande interesse e qualità, consegnano al numeroso pubblico presente, a stragrande maggioranza femminile, una convinzione forte: è tempo di coinvolgere prioritariamente gli uomini. Non si sfugge. O il tema diventa ‘affare’ e impegno condiviso o di violenza, qualunque sia il colore e la forma in cui si esprime, si continuerà a soffrire ancora per tanto tempo.

Laura Mandolini

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