L’Ultima cena messa in scena da Federico Barocci

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Quando si pensa a un dipinto raffigurante l’Ultima cena probabilmente il più celebre è il Cenacolo di Leonardo da Vinci, collocato nel refettorio del convento adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano. L’opera, alla cui fama ha sicuramente contribuito il romanzo di Dan Brown “Il Codice da Vinci”, in cui si ipotizzava la presenza della Maddalena giocando sui tratti femminili della figura seduta accanto a Cristo, è visitata da circa 410 mila visitatori all’anno.

In realtà Leonardo, come molti artisti che lo hanno preceduto e che lo hanno seguito, aveva semplicemente ritratto il discepolo prediletto (quem diligebat Iesus), ovvero Giovanni, secondo la tradizione iconografica che lo caratterizzava.
Infatti in tantissimi dipinti medievali e rinascimentali, che hanno come soggetto l’Ultima cena, l’apostolo Giovanni è sempre rappresentato come un giovane dai tratti lineari, delicati e armoniosi, quasi da adolescente, e dal viso glabro, a differenza degli altri discepoli che invece vengono raffigurati spesso con la barba e che hanno l’aspetto di uomini adulti.
Inoltre Giovanni ha sempre il capo reclinato sulla spalla o sul petto di Gesù o in rare occasioni, come nell’Ultima cena di Leonardo o del pittore tedesco Hans Holbein, ruotato verso Pietro.
Il perché di questo gesto è ben descritto nei versetti dei Vangeli in cui è annunciato il tradimento di Giuda.

Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Dì, chi è colui a cui si riferisce?». Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone.

Federico Barocci, Ultima cena (1590-99), olio su tela (cm 299×322), Urbino, Cattedrale di Santa Maria Assunta

Anche nell’Ultima cena di Federico Barocci l’apostolo Giovanni torna con le medesime caratteristiche alla destra di Gesù, rispettando in parte, poiché il capo non poggia sul petto di Cristo, la descrizione fatta dallo storico dell’arte James Hall nel “Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte”, in cui lo indica come un giovane aggraziato, a volte quasi femmineo, sbarbato e con lunghi capelli a boccoli.

La grande tela del Barocci, realizzata in 9 anni, dal 1590 al 1599, e collocata nella Cattedrale di Santa Maria Assunta a Urbino, si distingue piuttosto per una composizione che potremmo definire teatrale, in cui i tantissimi personaggi presenti sulla scena ruotano attorno alla figura di Gesù, rappresentato nell’atto di istituire l’Eucaristia. Cristo, infatti, al centro della scena, con lo sguardo rivolto verso l’alto, viene ritratto con il pane sulla mano sinistra, mentre con la destra benedice il calice di vino.

Il tutto avviene in un ambiente interno la cui architettura è un chiaro richiamo dei luoghi legati alla famiglia ducale di Urbino e questo legame con la famiglia, in particolare con Francesco Maria II della Rovere, è indicato anche dal simbolo araldico della ghirlanda di rovere presente sul vaso retto dal servitore in primo piano sulla destra e dalle foglie di rovere che spuntano dal legname portato dal giovanotto accanto al camino, sempre sulla destra della tela.

L’utilizzo della luce, che colpisce i personaggi e gli oggetti producendo bagliori o modificando i colori, ci fa dedurre la grande esperienza del Barocci e il suo rifarsi all’arte fiamminga e allo stile di Piero della Francesca. Le fonti di luce nell’opera sono ben quattro: le finestre delle due stanze che si aprono dietro la tavolata, da cui è possibile intravedere il cielo, la luce divina che irrompe dal soffitto investendo Gesù e i quattro angeli che volano sopra gli apostoli, il fuoco acceso sulla destra e la luce di una finestra fuoricampo che avvolge l’intera scena e che troviamo riflessa nel piatto in primo piano dentro la cesta appoggiata sul pavimento.

All’interno della composizione del Barocci maniacale è l’attenzione e la definizione di ogni dettaglio, dall’apostolo con la tunica gialla che sta riponendo il coltello nella propria custodia a quello alla sua destra che si sta pulendo la bocca con un lembo del mantello mentre allunga la coppa al fanciullo per farsela nuovamente riempire, dall’espressione concentrata del discepolo in preghiera con le mani giunte a quella attenta dei restanti commensali che osservano Gesù e ascoltano le sue parole.
La grande agitazione che la scena raffigurata, così affollata, trasmette a chi la osserva, viene interrotta dall’ingresso nella sala di un cagnolino, simbolo di fedeltà, che si affaccia sul grande catino in metallo posto a terra probabilmente in cerca di un po’ d’acqua.

Marco Pettinari

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