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Tag: Centro diurno 'il Granaio'; alzheimer

L’età insegna tanta vita: intervista a Barbara Fontana, coordinatrice de ‘Il Granaio’

Barbara Fontana è la coordinatrice del Centro diurno per persone ammalate di Alzheimer ‘‘Il Granaio”, un’accogliente struttura colorata posizionata di fianco all’Opera Pia Mastai – Ferretti di Senigallia. Nel maggio scorso ‘il Granaio’ ha festeggiato venti anni di attività (vedi fotografia), confermandosi punto di riferimento autorevole e prezioso per l’intera comunità.

Che anno è stato quello del ventennale al Granaio? E il prossimo?
Oggi il Granaio rappresenta un importante riferimento per tante famiglie che ogni giorno convivono con la malattia d’Alzheimer e in questi vent’anni di vita ha dato loro risposte concrete ai bisogni assistenziali che, con il progredire della malattia, richiedono sempre più dispendio di energie fisiche e psicologiche. Il Granaio si prende cura della persona malata, la accompagna in un percorso doloroso, che mina le sue autonomie di base, con la finalità di rallentare il decorso inesorabile di una malattia che, purtroppo ancora oggi, non ha riscontri positivi da un punto di vista medico. Le famiglie trovano un aiuto concreto, delegando ad altri la cura del proprio caro nelle ore diurne, ma credo che il loro bisogno primario sia quello di sentire accolta e sostenuta la fatica quotidiana e poterla condividere con chi comprende il carico assistenziale o con chi lo vive alla stessa maniera, è uno strumento potente capace di alleggerirne il peso. In questi venti anni si sono costruiti legami affettivi e di fiducia importanti, che sono sopravvissuti al tempo, con tanti familiari, che hanno continuato a dimostrare il loro affetto e la loro gratitudine anche dopo la perdita dei loro cari malati. Ne è stato esempio la grande partecipazione delle famiglie all’evento che si è svolto nel mese di maggio, un forte e caldo abbraccio, con il quale abbiamo voluto festeggiare il ventennale della nostra attività. Ci impegneremo con lo stesso entusiasmo anche per il prossimo.
Viviamo forti pressioni sui servizi socio sanitari: quali sono i passi più urgenti e necessari per garantire cure sistematiche e azioni efficaci per malati di Alzheimer e familiari?
Le cure più efficaci a mio avviso partono dalla riflessione che la malattia d’Alzheimer riguarda tutti, anche se non tocca da vicino, riguarda l’intera comunità. E’ l’idea di base delle ‘Dementia Friendly Community’, le comunità amiche della demenza, che modificano le loro organizzazioni, perché siano inclusive e permettano alle persone malate di sentirsi coinvolte e facilitate nell’essere parte della comunità. Nel nostro piccolo cerchiamo di tenere sempre alta l’attenzione sulla problematica, attraverso l’informazione, la diffusione delle conoscenze, perché si possa parlare non di Alzheimer, malattia che fa ancora tanta paura, ma di persone malate di Alzheimer, con il rispetto, il riconoscimento, la dignità dovuti. E’ compito dei Servizi, dei centri diurni, dei caffè Alzheimer, ma anche del vicino di casa e della comunità intera, arricchire il mondo di relazioni del malato con la sua famiglia, per mantenerlo vivo più a lungo e migliorare significativamente la qualità della sua vita.
Un centro diurno per persone con demenza non è un’isola a se stante: come entrano al Granaio le vicende di fuori e come il legame con il territorio, il tempo esterno può rendere questo posto ancora più vivo e accogliente?
Il centro diurno non è e non deve essere un’isola a se stante. Da anni ormai le porte del nostro centro si sono aperte al territorio e abbiamo sperimentato contaminazioni, che hanno arricchito e colorato la quotidianità di tutti gli attori. Ad esempio sono entrati bambini di diverse età, anche molto piccoli e hanno condiviso con gli anziani momenti di spensieratezza, con una spontanietà che molto avrebbe da insegnare al mondo degli adulti. Ma anche gli anziani hanno varcato le porte del centro e sono usciti nel territorio; penso alle feste di carnevale che abbiamo organizzato nella splendida cornice della nostra Rotonda a mare, dove non c’era più contezza di chi fosse malato e chi no, perché tutti gioiosamente accomunati dal piacere di stare insieme, liberi dai condizionamenti e dalle etichettature diagnostiche. Questi sono solo esempi di come sia bello e possibile facilitare l’incontro con la malattia, direi normalizzarlo, perché non spaventi e perché ognuno senta di poter dare e ricevere in uno scambio relazionale reciproco e gratificante.
La vecchiaia, con quanto si porta dietro, è spesso raccontata male. O enfatizzata nelle performance o narrata quasi come una catastrofe (nodo pensioni, deserto demografico e invecchiamento della società, malattie invalidanti, solitudini..). Aiutiamoci a mettere ordine.
I nostri anziani ci ricordano sempre che “Vecchie sono le strade” ed è vero, il termine vecchio potrebbe far pensare più a qualcosa di inanimato, mentre il termine “anziano” sembra più rispettoso riferito ad una persona. Personalmente invece non mi disturba parlare di vecchi e di vecchiaia, sarà forse per il profondo rispetto che nutro per questa fase della vita. Non si può certo negare che la vecchiaia sia un’età complessa, spesso costellata di problematicità legate allo stato di salute, soprattutto oggi che si vive molto più a lungo senza garanzia di una migliore qualità della vita. Non si può neanche negare che la società di oggi impone dei ritmi che poco si conciliano con il rallentamento fisiologico tipico del processo di invecchiamento. Tanto altro ci sarebbe da dire sulla sostenibilità, sul carico assistenziale, sulle difficoltà economiche legate all’essere vecchi, ma mi interessa invece spostare lo sguardo verso altre riflessioni. Viviamo in un’epoca frenetica, che accorcia i tempi e ci costringe a divorare le nostre giornate, senza assaporarne davvero il gusto; presi da impegni che si susseguono non troviamo il senso di quello che facciamo e viaggiamo senza meta alla ricerca di una soddisfazione che non raggiungiamo mai. Se provassimo a rallentare, se cominciassimo a togliere anziché aggiungere, se fossimo disposti a rinunciare alla quantità per guadagnare in qualità, credo che sarebbe più facile vivere e soddisfare quei bisogni che renderebbero piena la nostra esistenza. Non è un po’ quello che ci costringe a fare la vecchiaia? Non a caso in una fase in cui bisogna cominciare a tirare le fila di ciò che siamo stati e sono convinta che quanto meglio abbiamo vissuto in giovinezza, meglio affronteremo la vecchiaia e anche la morte. Non voglio banalizzare, né troppo semplificare concetti così tanto complessi, ma credo che la vita si sviluppi in un tempo circolare e fluido e che i confini delle diverse fasi non siano poi così ben definiti; si può essere vecchi anche da giovani e giovani anche da vecchi.

a cura di Laura Mandolini

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Giornata Alzheimer: Paola Tonini Bossi racconta la nascita del centro ‘Il Granaio’ di Senigallia

Quelle mani ferme, immobili, non le davano tregua. Nel guardarle si chiedeva ‘chissà quante cose avranno fatto, quante tagliatelle tirate ad arte, quante carezze, quanti occupazioni, quante cure per figli e nipoti, quanto lavoro nella terra’. Dovevano muoversi di nuovo, ridestare quella vita messa in pausa.
Paola Tonini Bossi, prima coordinatrice del Centro diurno per malati di Alzheimer di Senigallia, racconta i passi mossi verso una cura più adeguata e amorevole  delle persone con demenza. Quegli stessi passi che hanno portato nel 2003 all’apertura del ‘Granaio’, festeggiata lo scorso giugno alla presenza di tanti cittadini, familiari ed istituzioni.

In occasione della Giornata mondiale dedicata all’Alzheimer, ogni 21 settembre, dare voce a chi ha dedicato tempo, cuore e testa a queste persone oltre che essere doveroso, è prezioso, necessario. Fare memoria, giusto per rimanere in tema, di chi ha fatto la differenza per la nostra comunità fa bene a tutti.

“Lavoravo a Corinaldo alla Casa protetta – ci dice Paola Tonini Bossi – struttura che ospita persone con gravi disabilità. Mi venne fatta la proposta di promuovere all’Opera Pia ‘Mastai – Ferretti’ un progetto sperimentale con persone affette da demenza. Con trepidazione, ma con forte convinzione, accettai e mi resi subito conto che molto spesso nell’organizzare i servizi le regole sovrastavano le esigenze più vere degli ospiti, non era così diffusa la conoscenza di approcci diversi nella cura”.

Prende atto della realtà ma continua a sognare qualcosa di diverso, stimolata da quelle mani che avrebbero potuto nuovamente ritrovare linfa. Ritagli di giornale, qualche gomitolo, altri piccoli oggetti a prima vista insignificanti avrebbero fatto da volano per abitare diversamente quel tempo. Insieme, in una stanzetta ed attorno ad un tavolo, ci si riscopriva capaci, mentre si godeva della compagnia gli uni degli altri: “Caterina ha sempre amato la musica – ricorda con emozione – ed è bastato metterle una cuffia collegata alla radio per riaccendere in lei questa sua passione: sulla sua sedia a rotelle sembrava una regina!”.

Pian piano quel laboratorio si anima di abilità rimesse in circolo. Sembravano cose da niente, piccole azioni, ma quei volti risplendevano ogni giorno di più di una luce diversa. “Erano persone che da anni avevano smesso di fare cose, di mettersi in gioco. Sapevo di una signora bravissima all’uncinetto, le proposi di riprenderlo in mano chiedendole di realizzare un rettangolo. È venuto fuori un triangolo, sembrava una vela. Le dissi convinta che era proprio quello che volevo (ovviamente non era così), e quel piccolo, immenso lavoro è subito diventato parte di un quadretto con una barca che solcava il mare”. Dignità e autostima hanno ricominciato a prendere coraggiosamente il largo, fuori dalle secche conosciute.

Paola non ammette smentite, nemmeno quelle all’apparenza autorevoli, perché lo ha sperimentato per anni. Non è vero che l’Alzheimer toglie tutto: “Quella parte di cervello in cui risiede l’affettività non è toccata dal morbo. E se anche una persona non ricorda chi sono, chi siamo, ma riesce ancora ad amarci, ad emozionarsi nell’essere insieme, tutto questo ha un valore inestimabile, va preservato”. Anche il terribile mostro, di fronte all’amore, si arrende e ha le armi spuntate.

Gli esperimenti all’Opera Pia funzionavano, la stanzetta diventava un punto di riferimento per tanti. Le persone erano serene, il piccolo gruppo aumentava di numero, l’intera struttura beneficiava di questo approccio, mentre si cominciava ad avvertire l’esigenza di dare risposte più adeguate alle demenze, sempre più diffuse e presenti nella struttura.

Nel 2003, in un percorso che ha del miracoloso per aver messo attorno allo stesso tavolo ente gestore, istituzioni sanitarie, comune, privato sociale e volontariato, viene aperto il ‘Granaio’, nome scelto dalla stessa Paola perché pare che proprio in quelle stanze ci fosse un deposito di grano, ma molto di più per la capacità di quei piccoli semi di donare vita. In molti pensarono a lei per guidare questo inedito esperimento socio – sanitario, aveva i numeri per farlo. E lei non si è tirata indietro, ha accolto la sfida: “L’esperienza della Casa protetta mi aveva aiutata molto, non avevo mai avuto incarichi di responsabilità di questo tipo, ma sapevo bene cosa volevo e soprattutto cosa non avrei voluto”. Il suo metodo, semplice quanto rivoluzionario per quei tempi, forse anche per oggi, è racchiuso in questa convinzione: “Sono le persone, guardate nel volto una per una, a suggerire il percorso, ad attivare idee e progetti, ad ispirarti nelle scelte giuste e più adeguate”.

Ed ecco che ritornano in scena le mani: “Vogliamo parlare delle strette di mano? Alberto, mentre ero indaffarata nel mio piccolo ufficio ricavato al Granaio, mi veniva a trovare ed un giorno, con grande difficoltà nel parlare, aveva voglia di raccontarmi dell’uccellino che era capitato nel balcone di casa sua. Ho sospeso tutto e prendendogli la mano, mi sono messa in ascolto. Mi emoziono ancora nel pensare a quello e a tanti momenti simili. Lui voleva farmi partecipe di quell’episodio e lo fece con tanta tenerezza. Sentivo di dover prendere la sua mano tra le mie e ho imparato proprio lì, grazie a lui, alla mia età, come si dà la mano. La mano la si dà toccandola per davvero, Alberto doveva sentire intensamente la mia presenza, avvertire anche la mia tenerezza, era tutto reciproco. Queste persone mi hanno sempre donato tanto, tantissimo”.

Paola Tonini Bossi insiste spesso sulla necessità di partire dalle piccole cose per poi osare ancora. Un metodo collaudato che è riuscito a mettere insieme la cura del quotidiano con progetti sempre più strutturati e professionali: “Il miracolo è avvenuto con una squadra bellissima che ha camminato passo dopo passo con me, condividendo i principi fondamentali  dell’essere insieme a persone rese fragili dalla malattia. Non c’era bisogno di dire come relazionarsi ai nostri ospiti, era qualcosa che esisteva già, uno stile condiviso e sottotraccia che ha reso il Granaio un posto tanto sereno, gioioso, vitale. Non ho trovato difficoltà nel lavorare con gli operatori, c’era una sorta di patto di fondo che ha reso tutto tanto naturale. Poi, naturalmente, la parte ‘politica’ e gestionale ha richiesto dialoghi, progetti, a volte anche qualche confronto acceso”.

Chi accoglie fragilità, qualunque siano, per Paola deve immaginare e realizzare percorsi ritagliati su misura. Certo, agire ‘a taglia unica’ semplifica il lavoro, ma cosa ne è dei volti? “C’è bisogno di guardare in faccia una persona alla volta, ognuno è unico e irripetibile ed ognuno offre, se lo si accoglie davvero, una proposta di cura efficace, quella più adatta alla sua unicità. A volte sembra quasi un di più che non serve, in molte realtà si pensa che basti garantire i bisogni fondamentali di cibo e assistenza, ma noi siamo fatti di tanto altro, fino alla fine. E questo ‘altro’ va ascoltato e custodito. Il rispetto della persona, nella sua interezza, è la base fondamentale dalla quale partire”.

Il ‘Granaio’ continua a funzionare così e Paola ne è molto orgogliosa. “Dopo gli anni terribili del Covid, ho avuto voglia di ritornare in quelle stanze. Confesso che ho pianto dall’emozione!  Mi rendo conto, sono un po’ presuntuosa, ma sono davvero felice che tutto prosegua come sempre e mi viene da dire ‘più di così, cosa vogliamo?’. Perché altre idee verranno da altri piccoli spunti, le persone e la realtà continuano a suggerire cosa sia meglio realizzare. Abbiamo l’oro nelle mani, gli ospiti ci rispettano profondamente, stanno bene al Granaio e questo si vede”.

Attorno a quelle stanze, in venti anni, si è mosso tanto. Basterebbe pensare ai convegni pubblici in occasione delle Giornate mondiali dell’Alzheimer, originali, sempre diversi nella proposta ed aperti alla città anche per far sentire meno sole le famiglie delle persone ammalate, sempre presenti insieme ai loro cari, commosse e grate. E con quei momenti pubblici di settembre, organizzati con grande cura, abbiamo tutti imparato tanto. In ogni occasione platea da tutto esaurito, per dirsi che l’Alzheimer insegna vita.

“L’apertura alla città è stata stimolata dalla mia convinzione che i malati dovevano stare in mezzo alle persone, cosiddette ‘normali’- continua Paola.  Un giorno mi è venuto in mente di organizzare la festa di carnevale alla Rotonda a mare, luogo significativo per Senigallia. Ho creato un po’ di scalpore, sembrava una forzatura, ma ne ero molto convinta. Anzi, mi sono detta, dobbiamo andare proprio lì a parlare di Alzheimer. Sono stati momenti bellissimi e nella festa di carnevale, entrando alla Rotonda, non si capiva chi era malato e chi no; questo mi è sembrata una cosa bellissima, l’occasione ci rendeva tutti uguali, con la stessa voglia di fare festa”.

Ormai il passo è fatto e Paola rilancia: “Guardavo con stupore la mole degli oggetti realizzati nelle tante attività al Centro e  mi è venuto in mente di organizzare una mostra. Altro luogo significativo, i locali dell’Expo – ex (di fianco alla Rocca roveresca) dove di solito espongono artisti esperti. E perché noi non eravamo grandi?”. Ride di gusto, Paola, ha ragione, degno luogo per tanta creatività semplice e geniale al contempo. Oggetti bellissimi, realizzati con cose semplici; come non pensare all’esposizione di presepi nel 2016, natività  create da mani delicate e fragili, ancora loro, tornate esperte, per condividere anche un festa come il Natale.  Iniziative per avvicinare mondi che fino a quel momento non si incontravano, occasioni per parlare di demenza in modo diverso, per guardare da tutt’altra prospettiva quanto solitamente ci terrorizza.

L’idea di fondo, semplice e anche stavolta rivoluzionaria, era che la malattia fa parte della vita e quindi bisogna andare dove c’è la vita. “Capisco il pudore e la riservatezza di tanti familiari, ma non bisogna emarginare le persone più fragili. Penso poi che tutti abbiamo bisogno di guardare in faccia quanto invece ci fa tanta paura, fare i conti con queste fragilità non è per niente facile, ma fuggire non serve a niente”.

Ecco allora l’altra iniziativa, mutuata da esperienze collaudate in Nord Europa: il caffè Alzheimer, uno spazio ed un tempo per vivere socialità vivaci e colorate, ricche di musica, balli, incontri e dolcetti. “E’ stata l’occasione per uscire dalla cappa che la malattia impone alle famiglie, di mettersi ancor di più in relazione. È capitato di raggiungere anche 50 presenze, tra persone ammalate e familiari; venire al Caffè era una festa, tanto che alcune signore arrivavano tutte agghindate con perle e rossetto. Le famiglie hanno dovuto superare il senso di colpa che inizialmente le portava a pensare di liberarsi dei propri cari, quasi ‘depositandoli’ al Caffè. Poi, sperimentando dal vivo il clima che si respirava, cambiavano idea ed erano felicissimi di partecipare tutti insieme”.

Paola Tonini Bossi ogni tanto si ferma e si intuisce che qualche altro volto torna a farle visita. Stavolta, al termine di questa bellissima chiacchierata, ci fa conoscere Mafalda: “E’ stata per tanti anni caporeparto alla Standa di Ancona. Ho chiuso gli occhi e mi sono immaginata quante maglie, tessuti, capi d’abbigliamento avrà piegato in vita sua. Sono andata nella cucina dell’Opera Pia, ho preso un po’ di tovaglioli già stirati e l’ho acciaccati, accartocciati, mi guardavano di traverso, ma si sono fidati. Poi ho chiesto a Mafalda se mi aiutava a piegarli: gli occhi sono tornati a brillare, si era di nuovo riconosciuta ed era tornata ad essere utile. Adesso, anche oggi, questa è un’attività consolidata all’interno della casa di riposo, sembra impossibile che tutto sia iniziato da quei quattro tovaglioli sgualciti appositamente! Non mi sono fermata lì, ormai si stupivano sempre di meno e alla lavanderia chiedevo di darci qualcosa da piegare, proponendo loro di non stirate tutto. E ancora: perché non contarli? Naturalmente a nessuno di noi interessava sapere quante tovaglie, lenzuola, strofinacci ci fossero. Era un modo alla nostra portata, utilissimo, di mantenere attiva ed allenata la mente”.

Un tovagliolo accartocciato che trova la sua forma, un gremito convegno con gli esperti più autorevoli: queste, in estrema sintesi, le coordinate di una vita spesa tra i più fragili, di una professionalità tanto creativa al servizio di chi, mentre perde pian piano i ricordi, conserva quanto è necessario per vivere davvero. E che, anche grazie a Paola Tonini Bossi, ha trovato casa nel Granaio, trasformando la nostra città in un luogo decisamente più degno di essere abitato.

Laura Mandolini

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Il giardino sensoriale dell’Opera Pia ‘Mastai-Ferretti’ di Senigallia si presenta alla città

Il giardino sensoriale della fondazione Opera Pia Mastai Ferretti di Senigallia
Il giardino sensoriale della fondazione Opera Pia Mastai Ferretti di Senigallia

Venerdì 16 giugno 2023, alle ore 17.00, momento di presentazione alla cittadinanza del nuovo giardino sensoriale presso l’Opera Pia Mastai Ferretti di via Leopardi. La storica struttura residenziale per anziani infatti presenta, in collaborazione con Il Seme, l’associazione di volontariato che rappresenta i volontari e le volontarie che prestano servizio nei progetti Caritas, un giardino sensoriale come luogo di incontro e di aggregazione. Qui, infatti, gli anziani della città potranno chiacchierare, trascorrere del tempo insieme e incontrare dei volontari formati.

Il pomeriggio inizierà con i saluti delle autorità e proseguirà con gli interventi del presidente dell’Opera Pia Mastai Ferretti, Mario Vichi, del presidente dell’associazione ‘Il Seme’ Silvano Paradisi, della vice presidente della cooperativa ‘Polo9’, che cura la gestione del Centro diurno Alzheimer ‘Il Granaio’, Anna Gobbettie e di varie associazioni. A seguire buffet e musica con il Duo Khroma, composto da Elena Solai al flauto ed Elisa Bellavia al pianoforte.

“Il progetto” spiega Silvano Paradisi “nasce come degna conclusione di un lungo percorso che ha visto coinvolti alcuni volontari pensionati e ha lo scopo di mettere insieme, tenere vicine e unite persone di una particolare fascia d’età, quella più anziana, in un modo affettuoso e ricreativo.” Caritas infatti ha spesso pensato in quale modo dare attenzione alla fascia più anziana della popolazione e l’idea finale è stata interessante: agire su due versanti lontani ma vicini. Offrire quindi la possibilità ai pensionati di fare servizio di volontariato e ai più anziani di ricevere la vicinanza del servizio da parte di queste persone. A questo scopo è stato costruito un percorso di formazione, durato 13 incontri, tra aprile e settembre 2022, dal titolo “In-formazione per tutti: volontari per a terza età”, seguito da molte persone che hanno al termine ricevuto anche un attestato.

“Il Seme” sottolinea Giovanni Bomprezzi di Caritas Senigallia “si sta aprendo a tutte le persone che vorranno fare volontariato, anche presso la struttura Opera Pia Mastai Ferretti, in un’ottica di ampliamento degli ambiti di servizio fortemente sociali e all’interno di realtà collegate alla diocesi”.

Chiara Michelon

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I venti anni del ‘Granaio’, il centro diurno di Senigallia per malati di Alzheimer

Venti anni del Centro diurno ‘Alzheimer’ a Senigallia. Tanta storia festeggiata nel pomeriggio di giovedì 18 maggio 2023 perché è davvero un bellissimo traguardo. Essere insieme per ricordare proprio dove si fa di tutto per trattenere la memoria, perché il morbo che la cancella non l’abbia del tutto vinta e faccia meno paura.

Lo hanno detto in tanti, con grande soddisfazione: il Granaio non sarebbe nato se non si fossero messi insieme – e senza litigare! – comune, Opera Pia, enti sanitari, cooperazione sociale, volontariato. Vent’anni di passione ed entusiasmo, professionalità e sperimentazioni messe in rete per dare risposta alle tante domande che una malattia come la demenza chiede.

Una carrellata di volti tanto emozionati e felici di esserci, presentati dalla dottoressa Barbara Fontana, psicologa, psicoterapeuta e coordinatrice del Centro, figura di riferimento sicuro per tutti: “Il granaio nasceva il 31 marzo del 2003, in via sperimentale. Molte persone si sono battute perché questo servizio nascesse, si espandesse e continuasse ad operare: qui si è sperimentato che si può lavorare in sinergia. Ed è stato possibile trovare energie e risorse per il bene comune”.

Che le demenze fossero in vertiginoso aumento lo si era compreso da tempo, ma nel territorio si faceva ancora fatica ad affrontare in modo sistematico e strutturato i crescenti bisogni di assistenza. E Mario Vichi, presidente della Fondazione Opera Pia Mastai Ferretti, struttura in cui il Granaio è inserito, ha rivendicato con orgoglio il significativo primato: “Siamo stati i primi nelle Marche ad avere questa idea che ad oggi ci consente di offrire un servizio vivace e vitale”. Luciano Verzolini, che era alla guida dell’Opera Pia, ci aveva creduto da subito e dalla platea annuisce.

Emozionante vedere il pubblico di questo evento. Tanti capelli bianchi, quelli di chi oggi frequenta il centro, accanto a familiari e amici, anche di chi ha abitato queste stanze ed oggi non c’è più. Ci si dimentica, appunto, di essere in un luogo di cura, o meglio, in cui ci si prende cura perché i sorrisi, la voglia di salutarsi, il grazie detto in ogni dove hanno la meglio sulla fatica della malattia.

La signora Nives lo ha detto, convinta, a nome degli ospiti: “Il Granaio è un posto di persone diventate amiche. Per me è una grande gioia stare insieme: non sono più sola!” ed è sempre lei a dar voce a Brigida, Sandro, Gianni, Gabriella, Germana e a Piero, la cui frase ha strappato una risata generale: “Vi rendete conto che qui gli anziani resuscitano? Ci deve essere qualcosa di speciale!”.

Cambiano le maggioranze politiche a tanti livelli istituzionali, ma stavolta sono tutti d’accordo: il Centro è una grande realtà da custodire. “Il Comune crede nell’opportunità che un Centro così efficace possa continuare le proprie attività”, dice il sindaco di Senigallia, Massimo Olivetti, ringraziando chi ha messo in moto tutto questo. E gli amministratori di allora, Luana Angeloni, già sindaca, Pina Massi, suo assessore ai Servizi Sociali e tra le persone che hanno maggiormente creduto in un progetto così, il consigliere Fabrizio Volpini, tutti a sottolineare la bellezza del lavorare insieme, del fare ognuno la propria parte, dell’aver realizzato una serie di servizi di prim’ordine, sorti proprio grazie all’esperienza del Centro.

Anche il mondo sanitario ha voluto essere presente. Il dottor Izzicupo – Dirigente psicologo, Centro Disturbi cognitivi e demenze – Distretto sanitario di Senigallia, parla di una “storia fatta di grande professionalità, grandi capacità, profonda empatia” e la dottoressa Maria Del Pesce, già primario di Neurologia presso Ospedale di Senigallia, si lascia andare ad una confessione: “Ho lavorato quindici anni a Senigallia e il Granaio è stata la mia esperienza più bella, fatta di entusiasmo e passione condivisa”. La dottoressa Anna Lentini, già Dirigente responsabile dell’Unità valutativa integrata del Distretto sanitario di Senigallia, testimonia l’eccezionalità di questo lavoro condiviso: “Quando abbiamo cominciato a scrivere questo progetto eravamo tante mani, tante teste, tanti occhi… tanti enti: il distretto, l’ospedale, il Comune, la Fondazione, la cooperativa. Qui ci siamo conosciuti, abbiamo imparato a fidarci l’uno dell’altro”.

La Cooperativa Polo9 – allora si chiamava Progetto Solidarietà – gestisce il Centro ed era presente la sua presidente Novella Pesaresi: “Se siamo ancora qui è perché si è immaginato questo presidio con lungimiranza e passione. Come Polo9 siamo orgogliosi di esserci, andiamo avanti così!”. Un welfare di comunità all’opera, lo ha definito Maurizio Mandolini, coordinatore dell’Ambito territoriale n. 8, “un’esperienza che ha messo insieme il privato sociale, il terzo settore, il rapporto con il territorio”. Un fare rete sottolineato anche da don Aldo Piergiovanni, in rappresentanza della diocesi di Senigallia: “Qui grande è l’attenzione alle persone, alle famiglie. Qui si esce dalle logiche personalistiche, le istituzioni lavorano insieme e si ragiona per il bene comune”. E poi il grazie ai dipendenti della cooperativa, i volontari Auser e Anteas, il personale dell’Opera Pia.

Gilda Perotti, dell’associazione dei familiari Alzheimer senza paura, si emoziona nel raccontare la sua esperienza personale: “Portare mio marito al Centro significava per me portarlo ad una festa. Una festa che coinvolgeva anche me”. Una festa, proprio come quella di un compleanno speciale, in onore di un luogo che rende tanto più bella la nostra città.

Laura Mandolini

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Laura Mandolini