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Tag: pace

Mabel Morri (ANPI Senigallia): «Tempi bui e politica distante. Ma la città è viva e partecipa»

«Tempi neri, nerissimi». Non usa mezzi termini Mabel Morri, presidente dell’ANPI sezione di Senigallia “Giulia Giuliani e Luigi Olivi”, per descrivere l’attuale momento politico. Intervenuta ai microfoni di Radio Duomo, Morri ha tracciato un’analisi lucida e preoccupata della crescente disaffezione dei cittadini verso la politica, partendo dal dato dell’astensionismo, ormai il più grande partito italiano. Potete riascoltare l’intervista, andata in onda nei giorni scorsi sulla frequenza 95.2 FM, anche in questo articolo grazie al lettore multimediale. Nel testo, invece, vi proponiamo una sintesi degli argomenti trattati.

«La politica è purtroppo lontana dalla gente, soprattutto a livello nazionale», ha dichiarato Morri, sottolineando un clima di indifferenza di fronte a problemi drammatici, come i femminicidi o le difficoltà di accesso all’aborto nella regione Marche. «Non c’è ancora la percezione che le cose stiano andando così male». Un distacco che l’ANPI ha tentato di colmare, almeno sul fronte elettorale, con un appello formale dei presidenti provinciali per incentivare al voto, ricordando come sia «un diritto e un dovere costituzionale».

Il «cortocircuito» del ponte Garibaldi

Se la politica nazionale appare distante, il dibattito locale mostra segni di grande vitalità. La presidente dell’ANPI ha portato come esempio la mobilitazione cittadina sul progetto del nuovo ponte Garibaldi, che ha visto un «bell’attivismo» capace di mettere in secondo piano le appartenenze partitiche. L’ANPI stessa ha preso posizione, partecipando al consiglio grande e sollevando dubbi sulla legittimità dell’operazione. «La nostra partecipazione ha fatto storcere il naso a qualcuno», ammette Morri, «ma crediamo che l’ANPI debba sottolineare la mancanza di partecipazione democratica, a prescindere dal colore di chi governa».
E sul ponte: il progetto è stato «calato dall’alto, senza discussione» e in potenziale violazione dell’articolo 9 della Costituzione, che tutela il paesaggio e il patrimonio storico. «Riteniamo che il nuovo ponte non tuteli il paesaggio e deturpi l’ambiente».
La presidente ha poi evidenziato un «cortocircuito» politico. A fronte della promessa del presidente Acquaroli di fermare l’iter in caso di netto rifiuto dalla città, Morri si chiede perché il segnale – una petizione firmata da un quarto della popolazione – non sia stato colto. «Ci sembra che Regione e Comune siano totalmente scollegate», ha aggiunto, citando anche l’esclusione di Senigallia dalla ZES (Zona Economica Speciale) come prova di «scollamento».

L’impegno per la pace e la memoria

L’intervento sul ponte rientra nella missione dell’ANPI di fare politica «a modo nostro», ovvero attraverso la cultura, la memoria e l’impegno per la pace. Un impegno che si è concentrato fortemente sulla questione palestinese. «Come ANPI abbiamo collaborato tantissimo con i movimenti e le associazioni per la pace», ha spiegato Morri, evocando lo spirito unitario della Resistenza, composta da «una moltitudine di anime diverse». Tra le iniziative, la mostra “HeArt of Gaza” con i disegni dei bambini della striscia, i presidi in piazza Saffi o la lettura dei nomi delle vittime palestinesi e la partecipazione record (oltre 500 senigalliesi) alla marcia Perugia-Assisi. «Ma non dimentichiamo tutte le altre guerre: Congo, Sudan, Yemen, Siria», ha precisato Morri. «Come ANPI non staremo in silenzio», citando un cartello visto allo sciopero di settembre: “I tuoi nipoti studieranno il tuo silenzio”.

I “leoni da tastiera” e la sfida della cultura

L’attività dell’ANPI prosegue instancabile, seguendo il «calendario civile» che tiene conto del 25 aprile, del 25 luglio con la “pastasciutta antifascista” e del 2 giugno) e aggiungendo nuove date, come la commemorazione del 3 luglio e la lapide al Ponterosso per il partigiano Federico Paolini. La cultura resta uno strumento chiave, con la rassegna letteraria “Autunno Resistente” e la proposta di linguaggi diversi, come il cinema d’animazione (la proiezione de “La tomba delle lucciole” al Gabbiano). Un servizio alla comunità che, tuttavia, non manca di attirare critiche. 
«Ogni anno, per la pastasciutta antifascista, a ogni comunicazione è un cecchinaggio», racconta Morri, parlando degli insulti sui social. «Credo siano leoni da tastiera, persone che vivono nella loro bolla e forse fomentate da quei personaggi politici che ancora fanno fatica a parlare di antifascismo». Per la presidente, però, questo odio social è la prova che «stiamo facendo bene».
Tra le prossime iniziative, gli ultimi appuntamenti per “Autunno Resistente”, una mostra su foto originali di Hiroshima per gli 80 anni del lancio della bomba atomica nella seconda guerra mondiale e l’avvio dei preparativi per l’80° anniversario della Repubblica italiana nel 2026.

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Mafie e pace, don Luigi Ciotti a Senigallia: «Lamentarsi non serve, ognuno sia responsabile»

Un appello forte e chiaro a non abbassare la guardia, data una presenza criminale che si fa sempre più silenziosa, ma che al contempo si rafforza. È questo il monito lanciato da don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, che è intervenuto nei giorni scorsi all’incontro “Giustizia Liberante. Il disarmo del cuore come cammino di pace”, tenutosi a Senigallia nell’ambito di Destate La Festa 2025. L’intervista, curata da Laura Mandolini, è andata in onda nei giorni scorsi su Radio Duomo Senigallia (95.2 FM); potrete però riascoltarla nel file audio che accompagna questo articolo cliccando sul tasto play del lettore multimediale.

La mafia ‘normalizzata’

Per il noto sacerdote e attivista, l’attenzione nei confronti della criminalità organizzata si è pericolosamente affievolita nel nostro paese. «Siamo passati dalla percezione del crimine organizzato mafioso a qualcosa di normalizzato. È diventato una delle tante cose, così come la droga, il gioco d’azzardo, l’ecomafia, l’agromafia e l’usura». Da qui la necessità di una profonda riflessione. Le mafie si sono evolute: «Fanno meno rumore, ma sono molto più forti». La loro presenza si è estesa in particolare al nord Italia, dove si concentrano affari e poteri economici e finanziari. Ma «non c’è regione d’Italia che si possa considerare esente» dal fenomeno mafioso.

La sfida culturale

La lotta alla mafia è una battaglia secolare. Il fondatore di Libera ha evidenziato come la sola azione repressiva non sia più sufficiente. Sebbene il lavoro di magistrati, forze dell’ordine e altre istituzioni sia fondamentale, la minaccia criminale persiste perché non viene estirpata alla radice. E per farlo, ha spiegato don Ciotti, «ci vuole un grande impegno culturale, educativo e di politiche sociali». Le due dimensioni, quella repressiva e quella sociale,  devono essere parallele. «Se questa società non investe su ciò che ci indica la nostra Costituzione, che io ritengo sia veramente il primo testo antimafia, le cose non sono assolutamente sufficienti». 

Il pericolo della delega

Secondo don Ciotti, uno dei mali più pericolosi del nostro tempo è la delega: l’idea che spetti sempre agli altri, in particolare alle istituzioni, agire per il cambiamento. «Le istituzioni fanno la loro parte, e noi come cittadini siamo chiamati a fare la nostra parte», ha ammonito. La responsabilità è di tutti e il cambiamento ha bisogno del contributo di ciascuno. «Lamentarsi non serve a niente», dice criticando l’atteggiamento di chi non fa nulla ma giudica gli altri: «Abbiamo bisogno di persone che si assumano la loro parte di responsabilità».

Le mafie nella guerra

In un mondo segnato da violenza e conflitti, la storia ci insegna che le mafie prosperano nei territori di guerra. Lì trovano terreno fertile per i loro affari: dai traffici di armi al reclutamento di persone disperate. «Nei territori di conflitti e di guerre le mafie sono sempre arrivate» ha detto, aggiungendo che: «È preoccupante che mentre il conflitto in Ucraina non è ancora risolto, si tengano già grandi incontri per parlare della ricostruzione e degli affari che ne deriveranno». Lo stesso vale per Gaza dove è di poche settimane fa l’annuncio di un piano statunitense di ricostruire il territorio trasformandolo in una riviera del medioriente, a ‘guida’ americana.

Malati di pace

Per contrastare la criminalità e la violenza è essenziale dunque impegnarsi in una battaglia che parte dalla conoscenza per generare consapevolezza e conduca a scegliere da che parte stare. Non bastano le emozioni, perché «passano». Serve un’azione concreta, una continua mobilitazione che si traduca in un continuo impegno per la pace. Infine, un richiamo alla figura di don Tonino Bello: la necessità di «essere malati di pace» e di non guarire mai da questa patologia. Un percorso che inizia nei nostri comportamenti, nei nostri linguaggi e nelle nostre relazioni, «dentro i nostri territori, dentro le nostre parrocchie, dentro le nostre case» ha concluso don Luigi Ciotti.

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Leone XIV all’udienza generale: “Digiuno e preghiera per la pace il 22 agosto”

Un invito al digiuno e alla preghiera per la pace, il 22 agosto 2025, nella memoria della Beata Vergine Maria Regina. È l’appello lanciato da Papa Leone XIV al termine dell’udienza generale del 20 agosto, in Aula Paolo VI. “Mentre la nostra terra continua a essere ferita da guerre in Terra Santa, in Ucraina e in molte altre regioni del mondo – ha detto il Pontefice – invito tutti i fedeli a vivere la giornata del 22 agosto in digiuno e preghiera, supplicando il Signore che ci conceda pace e giustizia e che asciughi le lacrime di coloro che soffrono a causa dei conflitti in corso”.

In apertura dell’Udienza, il Papa aveva proseguito il ciclo di catechesi giubilari su “Gesù Cristo nostra speranza”, soffermandosi sul tema del perdono. La scena evocata è quella dell’Ultima Cena: Gesù che porge il boccone a Giuda, pur sapendo del tradimento imminente. “Non è solo un gesto di condivisione – ha spiegato Leone XIV – è l’ultimo tentativo dell’amore di non arrendersi”. Il cuore del Vangelo è racchiuso nelle parole di Giovanni: “Li amò sino alla fine”. Un amore che non si arresta davanti al rifiuto, all’ingratitudine, alla delusione. “Gesù conosce l’ora, ma non la subisce: la sceglie”, ha ricordato il Pontefice. E proprio in questo si manifesta il vero perdono: “non aspetta il pentimento, ma si offre per primo, come dono gratuito”.
Il contrasto tra la luce e la notte – ha proseguito – percorre il racconto evangelico: Giuda riceve il boccone e “Satana entrò in lui”. “Quando esce era notte. Eppure proprio allora Gesù dice: ‘Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato’. La notte resta, ma una luce ha già cominciato a brillare, perché l’amore di Cristo è più forte dell’odio”. Leone XIV ha quindi invitato i fedeli a non cedere alla tentazione di chiudersi di fronte alle ferite e ai tradimenti, ma a percorrere la via del perdono: “Non significa dire che non è successo nulla, ma fare tutto il possibile perché non sia il rancore a decidere il futuro”.

Filippo Passantino

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Preghiera per la pace e sostegno alle famiglie di Gaza: la Diocesi di Senigallia si mobilita

La Diocesi di Senigallia si mobilita ancora per Gaza. Già si era esposta pubblicamente in altre occasioni – compresa la rumorosa, pacifica e partecipata manifestazione dello scorso luglio, promossa in contemporanea in decine di città italiane – per protestare contro ciò che sta avvenendo in Palestina. Una nuova iniziativa è stata annunciata per domenica 10 agosto.

Coinvolgerà le chiese della diocesi senigalliese dove sarà letta un’intenzione di preghiera durante tutte le celebrazioni eucaristiche. Nel frattempo prosegue l’azione di sostegno alle famiglie di Gaza che già alcune parrocchie hanno avviato.

«Come Chiesa diocesana non possiamo tacere di fronte al massacro umano e morale che sta avvenendo a Gaza. È naturale per le nostre comunità opporsi a ogni tipo di violenza, eppure questo è il triste tempo di ribadirlo con fermezza, in modo limpido».

Uno sguardo a tutte le popolazioni coinvolte nel conflitto. «Non abbiamo dimenticato gli efferati crimini commessi il 7 ottobre del 2023, per cui la comunità israeliana ancora soffre e attorno alla quale ci siamo stretti in preghiera e vicinanza fraterna; nello stesso tempo guardiamo con dolore e preoccupazione al dipanarsi degli attacchi che da quel momento in avanti, per quasi 22 mesi ormai, vengono perpetrati ai danni della popolazione della Striscia di Gaza».

Oltre a non rimanere in silenzio di fronte a una violenza «difficile da immaginare», l’appello è che cessi immediatamente la guerra, con l’ingresso degli aiuti umanitari, di personale sanitario, di giornalisti e osservatori internazionali e l’attuazione di corridoi umanitari, «perché si possa superare quanto prima questa fase così drammatica e si possa intraprendere un cammino verso la pace e la riconciliazione».

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Chiaravalle contro la guerra e la violenza: nasce la consulta per la pace

Si è ufficialmente costituita la consulta per la pace a Chiaravalle. L’organismo è stato istituito con voto unanime dal consiglio comunale di Chiaravalle. Alla seduta di insediamento, svoltasi mercoledì 28 maggio alla presenza della sindaca Cristina Amicucci, hanno partecipato rappresentanti delle associazioni locali, delle organizzazioni sindacali e dei partiti politici che hanno aderito all’iniziativa.

Chiaravalle rinnova così il suo impegno civile, «radicato in una tradizione solidale e in un tessuto associativo attivo e generoso. Un impegno che oggi, di fronte agli scenari di guerra e alle crisi umanitarie internazionali, si fa ancora più urgente» spiegano dal Comune.

La prima iniziativa pubblica della consulta per la pace è in programma sabato 1° giugno alle ore 21 in piazza Risorgimento. Nella notte che precede la Festa della Repubblica, cittadine e cittadini sono invitati a scendere in piazza con candele, lanterne, torce o cellulari accesi: un gesto simbolico per portare luce, ma soprattutto per far sentire la propria voce.

L’appello è: «chiediamo al Governo italiano di intervenire con determinazione per fermare l’azione militare di Israele e per non restare in silenzio di fronte alle stragi in corso. È tempo di fare rete, di non cedere allo scoraggiamento, di continuare a manifestare con fermezza, senza polemiche e senza paura. Nel giorno che celebra la nascita della nostra Repubblica, crediamo ci sia un solo modo autentico per onorarla: attuare i principi della Costituzione. E nel nome di quei valori fondativi, dire con forza: basta con la violenza, basta con l’orrore».

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Manifestazione a Senigallia per la Palestina

Nuova manifestazione per la pace in Palestina e per la popolazione della striscia di Gaza. La promuove la Scuola di Pace Vincenzo Buccelletti di Senigallia, chiamando a raccolta le persone per il prossimo sabato 19 aprile, alle ore 17:30 nel piazzale della Libertà davanti alla Rotonda a mare. Lo scopo è quello di sensibilizzare le persone verso la causa palestinese e contro il conflitto che tante vittime sta mietendo a Gaza. Lo slogan è: “Non siamo numeri ma esseri umani – Stop al genocidio a Gaza”.

«Dal 13 marzo, data della ripresa degli attacchi, più di 390.000 persone sono state costrette a fuggire senza che ci siano luoghi sicuri; un mese dopo, al 13 aprile, 1.449 persone uccise e 3.647 ferite, molti corpi rimangono sotto le macerie» scrivono dalla Scuola di Pace senigalliese. «Da quel giorno il governo israeliano ha emesso 15 ordini di evacuazione e circa il 66% della striscia è off-limits per i suoi abitanti. La maggior parte delle richieste di ingresso di aiuti (compresi farmaci e vaccini) viene negata. Dal 7 ottobre 2023 sono stati uccisi almeno 412 lavoratori delle ONG umanitarie, compresi 291 dello staff ONU e 208 giornalisti».

ASCOLTA L’INTERVISTA DELL’OPERATRICE UMANITARIA MARTINA MARCHIO’ DALLA STRISCIA DI GAZA

Il problema, secondo gli attivisti della scuola di pace senigalliese è che mentre le agenzie di stampa insistono sui numeri, tutte le persone, tutti quanti «a poco a poco ci siamo assuefatti. Che differenza fanno 40 o 50.000 morti sul nostro livello di indignazione? Paradossalmente questo cala, come cala l’attenzione dei media su quanto succede in Palestina, le notizie monopolizzate dagli umori di Trump. Dietro quei numeri ci sono dei volti, persone, la maggior parte nel fiore della vita, che vengono uccise o pesantemente mutilate; nel migliore dei casi perdono la casa, la possibilità di andare a scuola, non hanno di che cibarsi, non sanno dove rifugiarsi. Persone a cui è giusto restituire un volto, una storia».

La manifestazione indetta per sabato 19 aprile, a sostegno della popolazione palestinese, «sarà un modo per dire loro che c’è qualcuno che non è indifferente alla loro sofferenza e che non li considera solo dei numeri ma esseri umani. Sfileremo in silenzio portando in mano e nel cuore l’immagine e il nome di alcune delle vittime civili di questo genocidio camminando fino ad arrivare in piazza Roma, il cuore di Senigallia, una città di pace che vuole gridare forte la sua indignazione».

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Caos nella Repubblica democratica del Congo: la testimonianza di un missionario italiano, le nostre riflessioni

“20 minuti da Leone” si occupa oggi di un tema di strettissima attualità, la situazione che si sta verificando nella Repubblica Democratica del Congo. Scontri armati tra l’esercito ufficiale congolese e gruppi di ribelli, l’M23, sostenuti dal Rwanda stanno producendo morti tra i militari e i civili, corpi abbandonati in strada, migliaia di persone in fuga. Ne parliamo con un missionario, padre Franco Bordignon, missionario italiano che si trova in quel paese da circa 50 anni, e con la direttrice di Radio Duomo/Voce Misena Laura Mandolini. L’audio è disponibile in questo articolo assieme a un estratto testuale: basterà cliccare sul tasto “riproduci/play” del lettore multimediale, mentre andrà in onda venerdì 31 gennaio e sabato 1 febbraio su Radio Duomo Senigallia (95.2 FM), in entrambi i casi alle ore 13:10 e alle ore 20. Un’ulteriore replica in radio è prevista per domenica 2 febbraio, a partire dalle 16:50, il terzo di tre servizi curati da noi.

Ricostruiamo un po’ la situazione.
In questo enorme paese del centroafrica, ricco di minerali preziosi, sono scoppiati gravi scontri che hanno interessato la parte più orientale del paese. Domenica sera i ribelli sono entrati nella principale città della regione, nel nord Kivu, e dopo vari combattimenti che hanno prodotto almeno 100 morti e migliaia di feriti, sono arrivati a prendere anche l’aeroporto di Goma e a controllare le vie d’uscita e d’ingresso dalla città più importante di quella regione. Sono poi state attaccate anche le ambasciate di Francia, Belgio, Uganda, Rwanda e Kenya nella capitale Kinshasa. Diverse le conseguenze per la popolazione, tra mancanza di acqua, cibo, elettricità, internet e medicinali in un paese già gravato da enormi sofferenze che si protraggono da anni e da malattie infettive. Per il momento a nulla sono valsi gli appelli alla pace lanciati dal Consiglio di Pace e Sicurezza dell’Unione Africana, dal Presidente del Kenya e della Comunità dell’Africa Orientale William Ruto e dal pontefice Bergoglio.

Gli italiani nella Repubblica Democratica del Congo
La farnesina, con il ministro Antonio Tajani, sta seguendo l’evolversi della situazione tramite l’ambasciatore d’Italia a Kinshasa. Sono 15 circa i connazionali rimasti nel paese, in buona parte religiosi, cooperanti e residenti, tutti in contatto con il ministero degli esteri. Tra questi c’è padre Franco Bordignon, missionario saveriano ottantenne che si trova in questo territorio da 50 anni.

Qual è la situazione?
Goma è caduta nelle mani dei ribelli con tutto l’appoggio logistico e militare del Ruanda: sono intervenuti in forze via lago, perché sono proprio di fronte, e via terra. Hanno preso la città, ci sono stati morti dappertutto, lungo le strade. Hanno preso anche l’aeroporto, il porto e tutta la zona centrale, le periferie quelle interessano un po’ meno. Da quattro giorni non c’è luce e non c’è acqua perché l’acqua è quella del lago che poi viene purificata un po’. Quella della pioggia – e non piove tra l’altro da un paio di settimane ma comunque non si può bere perché è infetta dalle ceneri del vulcano – è nociva più che utile.

E dal punto di vista umanitario?
E’ catastrofica perché la gente non ha da mangiare: tutte le fonti, i rifornimenti di cibo, venivano dalle zone che sono occupate e che adesso sono state interrotte, come Minova presa la settimana scorsa. Dal punto di vista alimentare è caotica, dal punto di vista medicinale i feriti sono già di un migliaio sparsi di qua e di là nei villaggi, in piccoli centri sanitari. Noi abbiamo nella nostra parrocchia alcune centinaia di sfollati che sono venuti. E’ difficile comprare qualcosa perché i negozianti temono i saccheggi; le navi non vengono più che sono bloccate qui a Bukavu, le frontiere e la sua Goma sono chiuse, passa solamente l’ONU per portare di là degli umanitari che vogliono fuggire. Poi abbiamo ospitato profughi nelle aule scolastiche sia in parrocchia che fuori parrocchia e anche le suore che hanno le scuole lì. C’è questa necessità di aiuti urgenti.

C’è il rischio che la situazione di conflitto si allarghi?
Sembra sicuro, salvo miracoli della diplomazia internazionale, che la guerra si espanderà. E’ sicuro che verranno a Bukavu, verso sud, dove non c’è la resistenza che c’è al nord. Lo stato maggiore è fuggito a Kinshasa. Tutti sanno che Bukavu, se viene attaccato, cadrà subito anche perché possono attaccarci dal nord e poi dal lago e poi dalle frontiere, abbiamo due grandi frontiere con il Rwanda, cioè lo stesso scenario del 1996, si sta ripetendo. E’ chiaro che ci sarà bisogno di medicinali, ci sarà bisogno di cibo e quindi di aiuti immediati per poter far fronte alle necessità.

Tra quando si potrà far ritornare una tregua?
La situazione non si stabilizzerà certo nel giro di qualche settimana, ci verranno mesi, se non più di un anno. Io attualmente ero qui a Bukavu e la guerra mi ha trovato qui, dove sono bloccato. A Goma non c’è né luce né acqua, hanno tagliato anche l’internet, il cellulare funziona alcune ore al giorno. Anche gli umanitari non sanno che pesci prendere, e poi ci sono i saccheggi: molte cose sono andate rovinate e disperse.

Direttrice Laura Mandolini, cerchiamo di ricostruire un po’ la storia di questo paese, degli scontri armati e di capire perché ci interessa tanto da vicino questa situazione anche se è distante almeno 5 mila chilometri da noi.
La guerra in Congo è una di quelle situazioni che chiamano in causa tantissimi attori, è una guerra che ha devastato quella parte d’Africa, una guerra molto più grande che gli storici non hanno paura di definire una guerra mondiale, ma siccome avviene in Africa, siccome è lontana dai riflettori della grande stampa internazionale, se non per rarissimi casi, l’abbiamo quasi dimenticata e nel momento in cui riesplodono i problemi in maniera drammatica per qualche giorno torniamo ad occuparcene.

Il premio Noble per la pace 2018 Denis Mukwege a Senigallia
Il premio Noble per la pace 2018 Denis Mukwege a Senigallia

Quali i problemi che hanno portato a questa situazione di conflitto? Ho in mente la testimonianza del dottor Denis Mukwege, premio Nobel per la pace 2018 che abbiamo avuto l’onore di avere a Senigallia. Mukwege ci diceva che il problema principale del Congo è la sua ricchezza. Il paradosso. L’Africa non è povera, è impoverita. Lui ci diceva di lavorare in un ospedale dove riceve persone che arrivano per essere curate, persone appartenenti a diverse tribù e le persone mangiano insieme, condividono i letti, condividono tutto, quindi secondo lui, secondo chi conosce questa realtà il conflitto non è un problema di conflitto tra gruppi etnici, molto più una guerra la definiva economica, nella quale quelli che stanno creando questa guerra usano proprio la strategia del caos per permettere sostanzialmente il saccheggio delle risorse naturali del Congo. Qui nel nord del mondo abbiamo il tema di gestire la tecnologia, soprattutto per nutrire il cambiamento ecologico, pensiamo ai cellulari o alle macchine con il motore elettrico, pensiamo a tutto quanto è necessario per mandare avanti il digitale. Difficilmente ci domandiamo chi paga il prezzo di queste trasformazioni ecologiche. Mukwege in quell’occasione ha dato veramente una mazzata, se così si può dire, ha detto “è l’ennesima volta in cui il prezzo del vostro benessere è pagato dalle nostre popolazioni, dalle popolazioni del sud del mondo e in particolare in questo caso del Congo che è uno dei paesi più ricchi di risorse naturali”. A questo punto si tratta di decidere se ci interessa che queste transizioni, che questo legittimo desiderio di sviluppo di tanta parte del mondo sia pagato ancora una volta con un prezzo così alto per tanta gente di cui non conosciamo nome e cognome e che è sistematicamente oscurata almeno per quello che riguarda la stampa italiana dai nostri radar mediatici.

Ma il conflitto non nasce oggi.
Mukwege in quella occasione ci diceva che il problema è iniziato dopo il genocidio in Rwanda nel 1996 e dopo quel dramma in realtà la regione non si è più pacificata. Ancora oggi i congolesi continuano a pagare una crisi regionale che non è nata nel paese, ma che fa molti più danni in Congo che nel paese dove è avvenuto il genocidio, vicino Rwanda che confina con la zona del nord Kivu. Qui gli attori in campo sono sempre quelli, i grandi attori internazionali, la Cina, la Russia anche se in modo minore, gli Stati Uniti d’America. Mi viene in mente anche un altro incontro, sempre a Senigallia, nel novembre scorso, il giornalista Enzo Nucci, un giornalista che per tanti anni è stato corrispondente da Nairobi in Kenia per la RAI. Ha scritto un libro che consiglio vivamente a chi ha voglia di capire l’Africa al di là degli stereotipi, si chiama Africa Contesa, in cui descrive in modo chiaro quello che accade lì. Anche lui ci diceva che non è una guerra tra gruppi etnici, sono i politici che vogliono trasformare questa guerra in una guerra etnica, ma non è una guerra etnica, è una guerra economica con la strategia del caos per saccheggiare le risorse naturali del Congo.

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Mostra “heART of Gaza”, a Senigallia un esempio di lavori culturali che vanno ‘diritti’ al cuore

La terza settimana di gennaio ha portato con sé una interessante mostra di disegni. Sì, di disegni, avete letto bene. Per chi se la fosse persa, ricapitoliamo alcune informazioni: si trattava di HeART of Gaza, con i lavori realizzati dai bambini e dalle bambine (ma anche ragazzi e ragazze) della striscia di Gaza, quindi proprio al centro del conflitto tra Israele e Palestina, o meglio, e Hamas. L’esposizione, allestita all’ex pescheria del foro annonario di Senigallia, è stata visitata fortunatamente da centinaia di persone nel corso della sua breve apertura, il che ha permesso anche alle scuole di organizzare una visita e di partecipare ai laboratori proposti. 

Tra gli istituti ha partecipato anche la scuola primaria Rodari di Senigallia, parte dell’istituto comprensivo Marchetti. «La priorità della scuola in un momento storico così difficile come quello attuale – si legge in una nota stampa della scuola senigalliese – è educare i bambini alla pace, per riportare la pace nel mondo. E questo è stato anche lo spirito che ha guidato le insegnanti della scuola primaria Rodari nella scelta di accompagnare gli alunni in visita alla mostra “Heart of Gaza”». (ASCOLTA e LEGGI LE INTERVISTE ALLE ASSOCIAZIONI ORGANIZZATRICI DELL’EVENTO)

Dalle loro opere il dramma che stanno vivendo solo per il fatto di essere di Gaza «emerge perfettamente e i nostri alunni ne sono rimasti colpiti. Ce lo aspettavamo, ma è bene che i piccoli crescano in consapevolezza perché sarà loro compito costruire società più giuste ed essere sempre e ovunque messaggeri di pace. Le classi che in questi giorni si sono recate in visita alla mostra, partecipando anche ai bellissimi laboratori di domenica 19 gennaio, hanno voluto esprimere una vicinanza a quelle vittime innocenti, con pensieri, disegni, emozioni nel cuore e nella mente». 

Un’attività formativa più che didattica, nella consapevolezza che il confronto, a volte anche duro, su temi così importanti come la pace, la giustizia, il rispetto dei diritti umani, vale tutto l’impegno di questo mondo. Impegno per cui la scuola ha voluto ringraziare le associazioni – una dozzina – che hanno reso possibile questa mostra così toccante e significativa. 

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A Senigallia la mostra con i disegni dei bambini della striscia di Gaza – INTERVISTE AUDIO e GALLERIA di FOTO

7 ottobre 2024: giornata di preghiera e di digiuno per la pace, la diocesi di Senigallia aderisce

Il 7 ottobre prossimo, Giornata di preghiera e di digiuno per la pace nel mondo: la diocesi di Senigallia raccoglie l’invito di Papa Francesco e propone a quanti vogliono di digiunare e pregare, singolarmente o insieme. In varie parrocchie ci sarà un’ora di preghiera comunitaria, a Senigallia ci ritroveremo, dalle ore 20 alle ore 21, presso la Chiesa della Pace.

Scrive il Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI: “Ogni giorno aumentano i pezzi di questa guerra mondiale che si abbatte su diversi popoli e numerosi luoghi, spesso dimenticati. Non dobbiamo stancarci di chiedere che tacciano le armi, di pregare perché l’odio faccia spazio all’amore, la discordia all’unione. È tempo di fermare la follia della guerra: ognuno è chiamato a fare la propria parte, ognuno sia artigiano di pace”.  Il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, scrive alla sua comunità nel primo anniversario dei fatti del 7 ottobre, quando “la Terra Santa, e non solo, è stata precipitata in un vortice di violenza e di odio mai visto e mai sperimentato prima. In questi dodici mesi abbiamo assistito a tragedie che per la loro intensità e per il loro impatto hanno lacerato in maniera profonda la nostra coscienza e il nostro senso di umanità”. E ancora: “In questi mesi ci siamo già espressi chiaramente su quanto sta avvenendo e abbiamo ribadito più volte la nostra condanna di questa guerra insensata e di ciò che l’ha generata, richiamando tutti a fermare questa deriva di violenza, e ad avere il coraggio di individuare altre vie di risoluzione del conflitto in corso, che tengano conto delle esigenze di giustizia, di dignità e di sicurezza per tutti. Non possiamo che richiamare ancora una volta i governanti e quanti hanno la grave responsabilità delle decisioni in questo contesto, ad un impegno per la giustizia e per il rispetto del diritto di ciascuno alla libertà, alla dignità e alla pace”.

Inoltre, nel giorno 27 di ogni mese, anniversario dell’incontro di Pace ad Assisi dei rappresentanti delle religioni nel mondo avvenuto nel 1986, presso la chiesa della Pace si tiene un’ora di preghiera e di digiuno per la pace e la giustizia.

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Scuola di Pace: «Inconcepibile che ancora oggi si risolvano i conflitti con le armi» – L’INTERVISTA

La manifestazione promossa dalla Scuola di Pace V.Buccelletti di Senigallia per le celebrazioni del 2 Giugno (edizione 2023)
La manifestazione promossa dalla Scuola di Pace V.Buccelletti di Senigallia per le celebrazioni del 2 Giugno (edizione 2023)

Da anni esiste a Senigallia una realtà di persone e associazioni che si impegna per la pace, perché si possa affermare la strategia della non violenza come metodo risolutivo di conflitti e controversie. E’ la Scuola di Pace “Vincenzo Buccelletti”, e noi abbiamo ovviamente intervistato il presidente Daniele Marzi – anzi uno dei due, perché è copresidente insieme a Emanuela Sbriscia Fioretti – per capire quanta strada è stata fatta dagli anni ‘80 a oggi, se e come è cambiata la sensibilità delle persone verso la guerra e i conflitti in generale. L’intervista è in onda oggi, lunedì 24 giugno, alle ore 13:10 e alle ore 20; domani, martedì 25, agli stessi orari e domenica 30 giugno, alle 16:50, sempre su Radio Duomo Senigallia-In Blu (95.2 FM). Ma sarà possibile ascoltarla anche qui su La Voce Misena, cliccando il tasto play del lettore multimediale, o leggerla proseguendo con il testo dell’articolo.

Chi è Daniele Marzi?
Un pacifista, non violento, obiettore di coscienza, mi sono avvicinato alla Scuola di Pace perché tramite la Caritas sono venuto in contatto con tutto un movimento di pacifisti: allora c’era sensibilità, c’erano le antenne dritte su questi temi, con don Tonino Bello e altri che parlavano di questo bene che è anche in Costituzione: l’Italia ripudia la guerra, non è un semplice rifiuto ma molti fanno finta di non ricordarsene.

Cos’è la scuola di pace?
Nasce oltre trent’anni fa tramite il reimpiego dei beni confiscati a una serie di obiettori fiscali anche a Senigallia. La scuola perché bisogna educare alla pace alla non violenza: all’inizio era proprio una scuola con formazione e presenze, soprattutto degli insegnanti che poi avrebbe potuto riversare nelle scuole le conoscenze acquisite.

E oggi?
I tempi sono cambiati, facciamo più sensibilizzazione sulle esperienze e sulle iniziative che abbiamo intorno a noi. Organizziamo la festa della Repubblica = festa della pace per il 2 giugno, per contrastare quell’associazione della celebrazione della Repubblica che ripudia la guerra con le parate militari. Qui abbiamo voluto dare un piccolo segnale, le armi non devono avere a che fare con la festa della Repubblica. Poi cerchiamo di educare in tutti i modi e mettere in rete le varie associazioni e le persone, poi abbiamo in mente di tornare nelle scuole per parlare ai ragazzi e ai giovani di temi di attualità.

A Senigallia che aria tira? C’è sensibilità?
Sì c’è perché in 30 anni il movimento pacifista senigalliese ha comunque seminato ma rischiamo di rimanere sempre i soliti. Le nuove generazioni, ma non solo loro, sembrano poco interessate, pensano che l’unica opzione sia quella di opporsi sempre con le armi. E far morire le persone. 

Frutto della narrazione dei mass media e dei social?
Assolutamente sì, purtroppo è stato uno dei principali elementi. A servizio di questa recrudescenza militarista c’è stata una stampa molto schierata e quasi unilaterale nel difendere questa posizione interventista dove la guerra era l’unica opzione. Ogni pacifista veniva tacciato, nel caso del conflitto Russia-Ucraina, di essere un filo putiniano. Ma noi lo condannavamo già all’epoca della Cecenia. E allora i paladini anti Putin di oggi non si vedevano.

Ma ci sono alternative all’intervento militare?
Sì, abbiamo organizzato un incontro su un libro di una ricercatrice americana che ha reso pubblici studi scientifici su come sono stati risolti i conflitti degli ultimi cento anni. Dove si è usata la nonviolenza, i risultati sono stati migliori di quando si sono usate le armi. Sono dati statistici, ma nella testa delle persone rimane come unica opzione l’utilizzo delle armi, nonostante le evidenze dicano che non serve.

Quanti i conflitti mondiali che seguite?
Uno degli obiettivi della scuola di pace è quello di tenere accesi i riflettori su quella che papa Francesco ha chiamato la terza guerra mondiale a pezzi. Non ci dobbiamo dimenticare che ce ne sono tantissimi. Almeno 30 sono le guerre ufficiali, poi altri 20 sono conflitti civili o situazioni di violenza, più 12 o 13 missioni Onu. Il mondo è in conflitto.

Da dove nascono queste guerre?
Spesso non sono frutto di divergenze e controversie, ma la conseguenza del fatto che si producano armi. Non è che si producono armi perché c’è il conflitto, ma ci si riarma perché la guerra è un grosso business. Smuove 2.244 miliardi di dollari, mentre la Fao ci dice che con soli 31 miliardi si può debellare la malnutrizione nel mondo. Quindi è qualcosa che fa comodo ai produttori di armi.

E noi cosa possiamo fare oltre a informarci?
Manifestare in piazza è il primo passo per dire che “io non ci sto”. Abbiamo il dovere di non collaborare col male, quindi cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica. E poi cercare azioni concrete: si sta pensando di riproporre l’obiezione fiscale, di certo serve una rinnovata concretezza, ma serve anche un’opinione pubblica forte e convinta. Sappiamo che è difficile, non viviamo su Marte.

Com’è cambiata la percezione della guerra?
C’è un’assuefazione, ci si convive. L’unico modo è secondo me mostrare la verità sull’orrore della guerra, è il modo più efficace per capire che è il modo sbagliato di risolvere i conflitti. Anche perché se c’è un torto e una ragione, poi alla fine nessuno ha più ragione perché anche l’iniziale vittima si macchierà di crudeltà. La violenza è disumanizzante. E’ quindi inconcepibile che sia ancora oggi legittimata come strumento lecito e unico per risolvere le controversie.

Quale strada allora?
Finché ci saranno le armi, ci saranno le guerre. Serve una transizione, chiaro che non puoi di punto in bianco dismettere gli eserciti, ma almeno intraprendere quella strada. Poi si deve ricordare che niente viene dal nulla: in Ucraina, per esempio, si combatteva già dal 2014, quando nel Donbass le principali vittime erano le minoranze russe di cui nessuno parlava o quasi. E poi serve consapevolezza, sapendo che la risposta non violenta produce più risultati, è più efficace e si producono meno vittime.

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Migrazioni, accoglienza, pace, welfare e partecipazione: abitare i confini, senza paura

Migrazioni, profughi, rifugiati

«Sui giornali si canta vittoria per il “Patto europeo su migrazione e asilo”, ma sappiamo che c’è ancora molto da fare. Non basta pagare gli Stati per fare solidarietà. È la stessa cosa che sta facendo il governo italiano, che paga l’Albania per portare lì i migranti. Noi fin da subito abbiamo detto che non condividiamo questa scelta». Lo ha affermato don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana, nel suo intervento di chiusura al 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane che si è svolto qualche settimana fa a Grado, in provincia di Gorizia. Vi hanno preso parte 613 delegati, tra cui 138 giovani, in rappresentanza di 182 diocesi e tra queste anche Senigallia. In vista del Giubileo 2025 si è deciso di organizzare i convegni nazionali ogni due anni, alternati agli incontri a livello di delegazioni regionali, per dare spazio alle Caritas a livello locale. Il direttore di Caritas italiana ha poi annunciato una iniziativa che sarà lanciata durante il Giubileo: un progetto di microcredito sociale per persone indebitate e famiglie, in collaborazione con le Fondazioni antiusura, con una colletta nazionale che durerà tutto l’anno. Il tema di fondo approfondito e declinato durante il convegno è stato “Confini, zone di contatto e non di separazione”. Non a caso si è svolto tra Grado, Gorizia e Nova Gorica, terra di frontiera tra Italia e Slovenia. 

Con quali nuove consapevolezze tornano a casa i delegati Caritas?
Torniamo a casa con diverse consapevolezze: la prima è abitare il confine come luogo di incontro e contatto e difesa dei diritti delle persone che incontriamo, per far crescere la convivialità delle differenze e i propri confini. I confini ci aiutano a ridisegnare la nostra identità e non disperdere le energie. Poi c’è il tema importante del coinvolgimento della comunità, ossia non fare da soli ma agire insieme ad altri pezzi di Chiesa. Non lasciarsi confinare a chi ci vuole bravi uomini e donne, delegando a noi i servizi. Non lasciarci confinare in un servizio che rischia anche di farci sentire strumentalizzati. Dobbiamo avere il coraggio di sconfinare. La seconda grande consapevolezza è quella di voler essere “partigiani”, nel senso di “prendere parte”, fare insieme, sporcarci un po’ più le malti con la politica: non nel senso di scegliere partiti o una ‘chiamata alle armi’ ma dare maggiore valore politico a ciò che facciamo. Il mio invito alle Caritas è “essere partigiani”, ossia fare la propria parte, conoscere il manifesto di Caritas Europa con le cinque priorità.

Quali sono oggi i vostri temi e azioni prioritarie?
Azioni fondamentali sono oggi per noi la difesa della legge 185/90 sul commercio delle armi, che rischia di essere smantellata. Siamo tra quelli che l’hanno promossa. Difenderla rilancia la nostra identità. Oggi dobbiamo fare di tutto per dire no alla produzione di armi. Dobbiamo cominciare a costruire pace in assenza di guerre e conflitti. Se si usano le armi vuol dire che qualcosa non ha funzionato prima. Nel distretto di Brescia, ad esempio, c’è una grossa produzione di armi, che crea un indotto lavorativo. Se dico no alla produzione di armi devo pensare a proporre posti di lavoro alternativi, altrimenti rischiamo di essere percepiti come sognatori che non cambiano il corso delle cose. Oggi il più grande peccato che possiamo fare è il silenzio, è tacere. Siamo poi chiamati ad accogliere chi è diverso. Quando operiamo in emergenza non siamo i salvatori del mondo ma ci mettiamo accanto alle Chiese e, nel rispetto degli altri proviamo a fare la nostra parte. È giusto accogliere, è giusto salvare in mare, ma a noi tocca anche fare cultura, animare la comunità. II nostro vero compito come Caritas in Italia, aldilà delle opere segno, è l’animazione della comunità, tornare a formare la comunità, la nostra funzione pedagogica.

In Italia la povertà aumenta e si rischia uno smantellamento del welfare. Qual è il vostro avvertimento?
Se perdiamo il sistema sanitario pubblico e il diritto alla salute ci sarà un’altra povertà, oltre alla povertà reale e a quella educati, al tema dei working poor e del precariato. Mi preoccupa anche la povertà della delega perché oggi non c’è più interesse nei confronti del bene comune, delle situazioni delle nostre città e luoghi. Il disinteresse è talmente alto che nemmeno andiamo più a votare. Vuol dire che ci stiamo rassegnando al fatto che le cose non possono cambiare. Perciò dobbiamo custodire e innovare la cultura. 

La Camera dei deputati ha approvato il ddl politiche sociali e terzo settore, che semplifica procedure gravose per le realtà sociali più piccole. Che ne pensa la Caritas? 
C’è soddisfazione per l’approvazione. È il riconoscimento del lavoro di mediazione del Terzo settore come soggetto credibile e competente. Questo potrà permettere di accompagnare di più i poveri nell’inclusione e per riacquistare dignità. 

L’Europa ha approvato il patto sulle migrazioni e l’asilo ma Caritas Europa e Migrantes hanno espresso molte perplessità. Come guardare al fenomeno delle migrazioni? 
È importante saper guardare alle migrazioni come risorsa. Ricordiamo che una delle più grandi povertà in Italia è la denatalità, per cui abbiamo bisogno di fratelli e sorelle che vengano ad abitare sul nostro territorio, sviluppando modi legali per fare arrivare le persone in sicurezza, come i corridoi umanitari. Ad esempio, sarebbe bello portare in Italia persone che già sanno parlare l’italiano, per facilitare l’integrazione. E poi ricordiamo che c’è un diritto a partire ma anche un diritto a restare, per cui è importante rilanciare la cooperazione internazionale.

Questo articolo è stato pubblicato
nel numero cartaceo di maggio
de La Voce Misena

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La “Rete per la pace” di Senigallia aderisce alla manifestazione di Roma del 9 marzo

Manifestazione per la pace

Da Senigallia a Roma. Si sposta e acquisisce nuova centralità e rilevanza il presidio per la pace che quasi ogni fine settimana viene organizzato a Senigallia, nelle centralissime piazze Saffi e Roma. Questa volta però c’è l’adesione alla manifestazione nazionale per la pace che si terrà nella capitale il 9 marzo prossimo, con partenza da piazza della Repubblica e arrivo ai fori imperiali. Lungo questo percorso cammineranno anche molti dei partecipanti ai presìdi senigalliesi.

Questa infatti la decisione della “Rete per la pace subito – Senigallia” che ha quindi “spostato” il 66° presidio che si sarebbe dovuto tenere in piazza Saffi a Senigallia. Sarà l’occasione per unire la propria voce a quella di altre realtà associative nazionali nella protesta contro l’invio di armi nei paesi in guerra e per un cessate il fuoco immediato sia in Ucraina che in Palestina, così come negli altri luoghi della terra dove si assiste a conflitti armati.

«Perché questa è l’unica possibilità per salvare dalla morte e da immani sofferenze la popolazione civile e i giovani arruolati a forza, scongiurando l’escalation in corso verso la guerra mondiale» sostengono dalla Rete per la pace – Senigallia. «Per poi sottolineare che le spese militari hanno raggiunto la cifra massima della storia con i 2.240 miliardi di dollari nel 2022 (ultimo anno con rilevazioni ufficiali), senza dimenticare, tanto per fare un paio di esempi, che un F35 costa come 3.244 letti in terapia intensiva, un sottomarino come 9.180 ambulanze (e sono in alternativa)».

L’appello è ancora una volta rivolto ai governi, in primis quello italiano ovviamente, perché promuova concretamente e non solo a parole trattative e negoziati di pace rinnovando di fatto « quello spirito di coesistenza che nel secondo dopoguerra animò la stesura delle costituzioni democratiche, la nascita delle rinnovate Nazioni Unite e della Comunità Europea, spirito allora affermato proprio per scongiurare eventuali future spirali di guerra, quelle che ora si manifestano così minacciose».

All’appello che deve avere come obiettivo anche l’accoglienza e l’assistenza a tutti i profughi di guerra e la tutela di migranti, si uniscono dunque gli attivisti senigalliesi che invitano a un’ampia partecipazione. 

Info: tel. 071.63935 – partenza pullman ore 7.30 Agenzia delle entrate.

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