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Tag: sacerdoti

E’ deceduto don Francesco Orsi, per anni rettore del Santuario della Madonna della Rosa, ad Ostra

Don Francesco Orsi

Don Francesco Orsi di Luigi e di Maria Andreolini nacque a Ostra il 23 maggio 1930. Il 15 marzo 1953 venne ordinato sacerdote e dal 28 giugno 1953 al 4 dicembre 1959 fu cappellano a Santa Croce in Ostra.  Tra i suoi primi incarichi vi fu quello di seguire la costruzione della piccola chiesa di Santa Maria Goretti in contrada la Corea, al confine tra Ostra e il Filetto di Senigallia. La nuova chiesa venne inaugurata la sera del 18 ottobre 1958 dal Vescovo Diocesano Mons. Umberto Ravetta ed è stato il primo edificio sacro della diocesi ad essere dedicato alla Santa di Corinaldo.  A Corinaldo, dal 1959 al 1° luglio1965 trascorse sette anni al servizio sacerdotale della parrocchia come cappellano. Passò poi per un anno alla Chiesa della Pace di Senigallia e il 4 luglio del 1966 a San Pietro di Vaccarile dove venne nominato vicario-curato parrocchiale e rimase sino al 1972 per passare poi alla Parrocchia di Santa Lucia nella Chiesa di San Francesco in Ostra come Economo Spirituale sino al 1974, anno in cui il Vescovo di Senigallia lo nominò, il 21 maggio, Rettore del Santuario della Madonna della Rosa. Il suo impegno verso il Santuario Ostrense fu continuo, costante e si concretizzò in più modi. Innanzi tutto accrebbe la devozione verso Maria Santissima, poi concentrò tutti i suoi sforzi alla conservazione e decoro dell’edificio sacro. Sin da subito lo dotò di un riscaldamento a termosifone, rinnovò l’impianto elettrico con l’installazione di cinque nuovi lampadari, e abbellì la chiesa con un rivestimento in marmo verde Alpi per tutto lo zoccolo interno e delle basi delle colonne, contemporaneamente provvide alla ripresa delle dorature e fece ritinteggiare l’interno del tempio. Nel 1975 subì il furto sacrilego dei falsi gioielli all’Immagine e delcalice che aveva offerto alla Madonna in ricordo della sua ordinazione sacerdotale. Nel 1979 acquisì la donazione di m2 3.017 per la costruzione di una nuova strada che collegasse il Santuario al cimitero e alla strada Ostra-Montemarciano, facilitando così il ritorno di quanti si recavano al Santuario, che ancora permolteplici vicende non è stato possibile realizzare. Tra il 1981 e il 1986 ha poi provveduto ad elettrificare il suono delle campane, al restauro degli affreschi della cappellina eseguiti da Domenico Germani e dell’organo del Montecucchi compiuto dalla Ditta Anselmi Tamburini di Pianego, in provincia di Cremona. Successivamente promosse il restauro del coro posto davanti alla cappella e dell’altro organo positivo del 1721 con la posa in opera diun cancello protettivo, opera del fabbro Ostrense Lorenzo Catalani.  Altri lavori vennero eseguiti, come la nuova pavimentazione del marciapiede antistante la facciata e il restauro della venerata immagine della Rosa, grazie all’offerta del Dott. Giuseppe Cioci e delle sue due figlie, ad opera di Nino Pieri, e dei 120 ex-voti, grazie a un contributo della Fondazione della Cassa di Risparmio di Jesi. Una data storica per il Santuario è stata quella dell’8 dicembre 1992, festa dell’Immacolata Concezione, quando il Vescovo Odo Fusi Pecci ha consacrato, ossia dedicato il Santuario. Un nuovo parcheggio viene realizzato nel 1988. Nel2002 è invece inaugurato il rinnovato viale, andando così a coronare un altro sogno. Don Francesco in occasione del suo 50° di sacerdozio ha fatto dono di due nuove statue di pietra leccese che rappresentano il Santo Patrono Gaudenzio e Sant’Emidio.  Così dal giugno del 2003 si è restituito alla facciata la configurazione originaria, mutata dopo la rimozione delle vecchie statue in terracotta, perché consumate dal tempo. Dopo trent’anni di vita a fianco del Santuario, rassegnò per limiti d’età le dimissioni da Rettore del Santuario. Restò comunque emerito e da allora continua a svolgere il suo apostolato, affiancando il suo successore e accogliendo le migliaia di pellegrini che annualmente visitano il Santuario e si inginocchiano davanti alla Madre celeste sempre dispensatrice di grazie e gioie.

Giancarlo Barchiesi

“Preti altrimenti”, tra disagi e possibilità

eucaristia, celebrazione, messa, religione, fede, prete, sacerdote, chiesa

“Preti altrimenti” è il titolo di un interessante (e dibattuto) editoriale di Giuliano Zanchi, apparso nell’ultimo numero della “Rivista del Clero”, glorioso periodico per la formazione dei preti – ma non solo – edito dall’Università Cattolica di Milano. Il contributo di Zanchi, presbitero della diocesi di Bergamo e docente di Teologia presso la Cattolica, nonché direttore della medesima rivista, parte da un dato trasversale a molte diocesi italiane (ed anche europee): in questo nostro tempo (l’età post-secolare), essere preti è diventato “un rompicapo” che non ha ancora trovato la forza di suscitare “adeguate correzioni di forma e coerenti scelte istituzionali”. A differenza di quello che accadde, ad esempio, nell’epoca successiva al Concilio di Trento, che seppe trovare delle risposte efficaci.

L’autorevolezza del presbitero oggi – denuncia Zanchi – “è una continua conquista sul campo, che chiama in causa carismi e attitudini spiccatamente individuali”. Al prete tocca sostanzialmente “recitare a soggetto”, puntando sulle carte personali che ha a disposizione (i suoi talenti, le sue capacità…) a seconda delle situazioni in cui si trova, dal momento che il suo ruolo di presbitero non è più decifrato in modo univoco dal contesto sociale in cui vive.

Da qui l’emergere, in modo sempre più evidente secondo Zanchi, della richiesta di molti preti di “connotare altrimenti il loro ministero”, per lo più in alternativa al convenzionale mansionario della parrocchia, “percepita sempre più come un concentrato di routine inconcludenti e strutture divoranti, fonte di un logorio che per molti sembra aver ormai sorpassato i suoi limiti di sopportazione”. Con il conseguente effetto di “disertare il tradizionale compito…

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In ricordo di Don Attilio Ferretti, ex parroco di Scapezzano

Don Attilio Ferretti
Don Attilio Ferretti

Il 25 giugno del 2018, al sorgere del nuovo giorno, Don Attilio è tornato alla Casa del Padre dopo un non breve periodo di sofferenza, tutta offerta al Signore. Sul suo volto e nelle sue parole degli ultimi giorni, la serenità di Colui che “…ha combattuto la buona battaglia, ha terminato la sua corsa, ha conservato la Fede…”.

Nasceva il 14/12/1924 a Serra S. Quirico in quel di Castellaro, piccola frazione di campagna, da famiglia di contadini, povera, ma ricca di una Fede incrollabile tramandata di generazione in generazione con le parole, con le azioni e con l’esempio. La nonna Annetta fu per lui fonte di quegli insegnamenti che segnarono il suo essere persona prima e prete poi. Trasferitasi la famiglia in Arcevia, giunge nella Parrocchia di Colleaprico all’età di 15 anni e vive la sua vita semplice fatta di lavoro nei campi, aiuto in casa, amicizie ma forte di un costante attaccamento alla Fede nel Signore. Lo scorrere tranquillo del tempo termina nell’estate del 1943 quando riceve insieme ad altri giovani di Colleaprico, la chiamata alle armi che lo porta al fronte, giovane inesperto, sorretto soltanto da quella Fede che ha ricevuto in dono per mezzo della Sua famiglia, dal Signore e corroborata dalla profonda opera pastorale dell’allora Parroco di Colleaprico don Iginio Bruschi, che in vista della chiamata alle armi dei suoi giovani parrocchiani, acquistò appositamente una bellissima statua del Sacro Cuore di Gesù e durante una solenne celebrazione, li affidò alla Sua protezione.

La preghiera della Comunità scritta per l’occasione, fu opera del giovane Attilio. Forse fu questo un segno premonitore? Giunto al fronte, a ridosso dell’8 settembre, venne fatto prigioniero dai Tedeschi e portato in Germania nei campi di lavoro. In questo periodo il Sacro Cuore diventa sempre di più la sua ancora di salvezza da cui trarre forza, coraggio e serenità. Da li la promessa di diventare sacerdote e dedicare la sua opera ai fanciulli.

Tornato a casa, riprende la sua vita “comoda” sino a quando un violento attacco di tifo, gli fa ripensare alla promessa fatta e da lì inizia il suo cammino verso il sacerdozio, dapprima ostacolato dalla famiglia, poi accettato come un dono del Signore, che trova il compimento in quel 30 ottobre 1955, quando nella chiesa di Scapezzano di Senigallia, il Vescovo Ravetta gli conferisce l’Ordine sacro.

Dopo cinque anni di “apprendistato” nelle Parrocchie di Marotta, Mondolfo, Ostra Vetere, giunge novello pastore nella Parrocchia di Colleaprico. Era il 1960 e in una situazione completamente differente a quelle vissute negli ultimi anni (raccontava che il primo giorno dopo l’ingresso in parrocchia, si ritrovò a celebrare la S. Messa in solitudine) quando, con l’apporto di alcuni ragazzi di Ostra Vetere, iniziò a prendere corpo quella grande opera che fu la Colonia Montana Sacro Cuore che nei suoi cinquanta ed oltre anni di attività ha accolto migliaia di ragazzi, giovani e meno giovani per periodi di ristoro dello spirito e del corpo.

Nel 1964, il Vescovo Ravetta lo chiama a svolgere la Missione di Parroco nella Parrocchia di Scapezzano e qui rimane sino al 2005, quando per raggiunti limiti di età, lascia la parrocchia e si ritira nella Casa del Clero, presso la Fondazione Mastai Ferretti in Senigallia, continuando a prestare la propria opera a favore di varie parrocchie.

La sua vita segnata da eventi forti: la prigionia, il tifo, l’incidente stradale nel 1963, la grave malattia nel 1983, i seri problemi cardiaci degli anni ’90, non hanno minimamente intaccato la Sua grande Fede nel Signore e di essa ha dato testimonianza sino all’ultimo istante della vita. Una vita vissuta tutta per gli altri e sorretta dalla ferma certezza del “…non avere paura, Io sono con te ogni giorno della tua vita”.  

Giorgio Ferretti

Don Mario, il prete operoso

E’ tornato nella casa del Padre il 6 gennaio 2020, accolto fra le braccia del Buon Pastore, lui che è stato il buon pastore di tante pecorelle, specie nella parrocchia del Borghetto di Montesanvito, dove, per tanti anni, ha costruito una “comunità” non sempre facile per il suo ambiente particolare.

Nato a Belvedere Ostrense il 10 agosto del 1935, dopo gli studi e la vita “severa” con mons. Macario Tinti – poi vescovo di Fabriano, che quando c’era qualcosa che non andava, convocava i seminaristi nell’aula magna, iniziando sempre con la frase “figlietti buoni” – è stato ordinato sacerdote il 18 marzo 1961. Dopo un passaggio a Ostra Vetere con l’abbate don Pietro Bonucci che attendeva uno che sapeva suonare (perché anche don Mario aveva frequentato la scuola popolare con il Bungart, sotto la guida del sottoscritto), passa alla parrocchia della Pace con il “pastore” di grande leva don Giuseppe Giraldi, per approdare – dopo poco tempo – alla parrocchia di Montemarciano alla scuola di don Stra-è zi, grande pastore ma innovatore pastorale con i “preti operai” che segnano una data storica nelle esperienze pastorali.

Con la nuova parrocchia del Borghetto fa il suo ingresso come “pastore” don Mario: uomo e prete di poche parole, ma di grandissimo animo pastorale, semplice, accogliente, sorridente, aperto tanto da seguire i suoi parrocchiani non solo nelle varie fasi della vita liturgica (messe, Catechismi, battesimi, prime comunioni, cresime, matrimoni…), ma anche nella vita comunitaria dell’Oratorio e del Campo sportivo: nuovo da lui attrezzato con tanti sacrifici, per cui non pensava mai a se stesso ma al bene della gente, soprattutto dei giovani che altrimenti lo avrebbero visto come uno “sconosciuto”, fino a fare l’arbitro e l’allenatore di calcio e passandoci proprio lì il resto della sua vita, fino a quando il Signore – nei suoi misteriosi disegni e per noi difficilmente comprensibili – non lo ha “obbligato” alla “pensione anticipata” presso l’Opera Pia Mastai Ferretti di Senigallia – una vera opera di “ospitalità” magnanima nel nome e nella beneficenza del Beato Pio IX – dal 18 ottobre del 2017, assistito amorevolmente da tutti, specie dal settore infermieri / infermiere e da suor Silvia – per la difficilissima e quasi impossibile comunicazione per l’Alzheimer. Finalmente in piena coscienza, avrà ascoltato la voce del Padre: “Vieni benedetto…a prendere possesso del Regno preparato per te fin dalla fondazione del mondo”, il 6 gennaio 2020.

La Messa , celebrata dal Vescovo, l’8 gennaio 2020, ha visto la partecipazione globale del Borghetto per il suo pastore indimenticabile. Il Signore lo ha ricompensato per la sua vita di “buon pastore”, proprio nella parrocchia alla quale ha dedicato quasi tutta la sua vita.

Giuseppe Cionchi

Vescovo e preti, oggi

Anche quest’anno i sacerdoti della diocesi di Senigallia si sono ritrovati per un tempo disteso e prolungato per discutere di un tema e nello stesso tempo vivere insieme alcuni giorni in uno stile di fraternità e comunione. Il luogo che ci ha accolto è stato la Domus Ecclesiae a Nocera Umbra e l’occasione di spostarci in Umbria ci è stata suggerita dal nostro relatore che ha animato la riflessione e il dibattito ovvero Luciano Paolucci Bedini, vescovo di Gubbio. A lui abbiamo chiesto di proporci delle riflessioni a partire da questa domanda: “Quale presbiterio per la nostra Chiesa diocesana?”. Già la domanda ci suggerisce il cammino fatto in questi anni, in particolare a partire dal 2008 quando era uscito un documento della diocesi: “Quale presbitero per la nostra Chiesa diocesana?”; come si può notare il tema a distanza di anni differisce di una sola lettera (presbitero-prespiterio) eppure esprime un cambio di prospettiva e quindi di consapevolezza di una identità. Se infatti fino ad ora la riflessione era partita dal prete come individuo e come persona inserita all’interno di una comunità, ora si scelto di partire dal presbiterio cioè l’insieme dei preti di una diocesi uniti al proprio vescovo, il quale possiede la pienezza del sacerdozio e che si avvale della collaborazione dei sacerdoti per servire al meglio quella porzione di popolo a lui affidata. Questo cambio di prospettiva da presbitero a presbiterio corrisponde ad una serie di mutazioni sociali e ecclesiali che si sono verificate nel tempo e che riscontriamo nel presente: il calo dei sacerdoti e l’impossibilità di una loro presenza capillare nel territorio; la vita del sacerdote sempre più messa alla prova sui vari fronti; una vita fraterna che recupera alcune dimensioni umane e affettive della vita del prete; il coinvolgimento e il ruolo attivo dei laici nella vita delle comunità; la gestione amministrativa e economica sempre più complessa e alle prese con tante strutture vecchie e non più a norma. Se il sacerdote dentro queste sfide si pensa o si ritrova da solo a doverle affrontare e gestire, alto è il rischio di burn-out o di un irrigidimento nei modi e nelle relazioni e la gente lo percepisce vedendo il prete sempre più stanco, affannato e scostante. La chiave di volta è proprio pensarsi a partire dalla dimensione comunionale e fraterna del presbiterio; non da soli quindi ma in comunione con il vescovo e i confratelli, dove ci si sostiene e dove le gioie e i problemi vengono condividi e portati insieme. Detto così è molto bello e assomiglia molto alla chiesa primitiva degli apostoli dove tutto veniva messo in comune e ognuno riceveva l’aiuto di cui aveva bisogno. Nella realtà dei fatti è un cammino in divenire, che presenta dei segnali positivi di crescita, ma anche comprensibili resistenze e diversità di approcci. Uno degli elementi più sensibili è per esempio il rapporto tra generazioni di preti avendo ricevuto formazioni diverse, in tempi storici diversi, con un’idea di chiesa da realizzare diversa. Queste differenze normali e storiche si superano non tanto a suon di discussioni, per vedere chi ha più ragione, ma in uno scambio fraterno fatto di ascolto e di narrazione, di risate e testimonianze di vita spirituale. Per questo occasioni come questa vissuta a Nocera Umbra sono preziose e arricchenti perché al di là dei contenuti che si mettono in campo c’è la possibilità di conoscersi sempre meglio e cogliere in ciascuno il positivo che può portare, il suo “unicum” che il Signore gli ha consegnato e affidato. Il vescovo Luciano ci ha incoraggiato ad andare avanti su questo cammino ricordandoci che non siamo all’anno zero ma alcuni piccoli passi sono stati fatti e tanti sono alla nostra portata. Nel dialogo fraterno si è parlato di come stare dentro le realtà del mondo quali la politica, la scuola, la cultura; si è parlato di famiglia e del ruolo dei laici nelle nostre comunità; si è parlato di giovani e di vocazioni, come essere “testimoni gioiosi” di questa chiamata ad essere pastori e “amici dello Sposo”. Erano presenti anche alcuni preti anziani che hanno espresso la loro gioia di essere parte di questo presbiterio richiamando però anche l’attenzione ad avere cura di loro e non considerarli come “fanalino di coda”, ma tenere presente che ci sono, che pregano per la chiesa e per il mondo e che devono affrontare malattie e fragilità e hanno bisogno del sostegno di tutti. La stessa esperienza si ripeteràin questi giorni con un altro gruppo di preti (per consentire a tutti di partecipare sono previsti due turni distinti) e siamo certi che ci saranno ulteriori elementi di crescita e di riflessione. Chi ben comincia è a metà dell’opera….

Davide Barazzoni