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Tag: suore

Dal Sudan a Serra de’ Conti. Un incontro per conoscere una storia che parla ancora

Serra de’ Conti, la chiesa, il nostro mondo visto con gli occhi di Suor Maria Giuseppina Benvenuti. Il via alle iniziative dedicate al centenario della morte (1926) di Zeinab Alif, conosciuta ai più come la ‘Moretta di Serra de’ Conti’ è stato dato sabato 27 settembre scorso nella Sala Italia del comune serrano, grazie ad un interessante incontro con protagonisti mons. Christian Carlassare, missionario comboniano e vescovo della diocesi di Bentiu, in Sud Sudan e lo storico Giacomo Ghedini, ricercatore presso la Fondazione ‘Bruno Kessler’ di Trento.

Entrambe le autorevoli voci, salutate dal vescovo di Senigallia Franco Manenti, dal sindaco Silvano Simonetti e dal parroco don Luciano Guerri, hanno fatto rivivere una pagina di storia che tocca da vicino anche il nostro territorio. Zeinab nacque nel 1845-’46 (le fonti sono incerte) nel Kordofan in Sudan; rapita fu venduta quale schiava. Riscattata dal servo di Dio don Niccolò Olivieri fu condotta in Italia e il 2 aprile 1856 affidata alle Clarisse urbaniste del monastero di Belvedere Ostrense. Fu battezzata il 24 settembre con il nome di Maria Giuseppina e della madrina, ossia Benvenuti. Studiò la musica divenendo una organista di grande talento (tenne anche esecuzioni pubbliche); nel 1874 divenne clarissa e nel 1894 si trasferì con l’intera comunità nel Monastero di Serra de’ Conti. Qui divenne Abadessa. Morì il 24 aprile 1926. È stata dichiarata ‘Venerabile’ il 27 giugno 2011.

Un incontro, quello di sabato, capace di sollevare tante domande e di rifuggire l’agiografia dell’approccio ad un tema così articolato e carico di suggestioni . Significativo il titolo del saggio, valso a Giacomo Ghedini il prestigioso “Premio Istituto Sangalli per la storia religiosa”, “Da selvaggi a moretti. Schiavitù, riscatti e missioni tra Africa ed Europa (1824-1896)”, Firenze, University Press, 2023. Prezioso scrigino per conoscere meglio questa storia, un’inedita e preziosa ricerca dedicata ad oltre 2000 bambini provenienti della regione subsahariana che furono liberati dalla schiavitù da missionari cattolici per essere istruiti in Europa e per preparare alcuni di essi al ritorno nella loro terra quali missionari. Tra le pagine di Ghedini trova posto anche Zeinab, suor Maria Giuseppina, coinvolta anche lei in un fenomeno dai numeri importanti e che apre uno squarcio sull’evangelizzazione in terra africana, sul rapporto, ieri come oggi, tra il Nord ed il Sud del mondo anche alla luce della fede cristiana.

Storia in chiaroscuro e non solo per il colore della pelle dei protagonisti. È facile immaginare lo strazio di vite schiavizzate fin dalla più tenera età, passate di mano in mano fino ad un riscatto che, pur liberandole le ha catapultate in altri mondi, altre culture, altra spiritualità. Vicende diverse l’una dall’altra, con sviluppi e finali diversi raccontati con passione e autorevolezza da Ghedini ed in cui ritroviamo anche la vicenda di suor Maria Giuseppina. In lei possiamo celebrare la bellezza di una vita liberata dai suoi benefattori ma soprattutto da un Vangelo vissuto fino in fondo nella preghiera e nella carità, in uno stile esemplare di vita monastica. Vita, la sua, ancora in grado di accendere riflessioni sul tempo odierno, sulla nostra capacità di dialogare con le tante ‘diversità’, tanto più in un mondo che torna ad essere impaurito e sempre più rinchiuso nei piccoli orticelli che illudono di promettere pace e sicurezza.

Zeinab Alif, ancor prima di Suor Giuseppina, sollecita anche l’urgenza di chiederci, a tanti livelli, la qualità delle nostre relazioni con le Afriche ancora violate, dimenticate e raccontate male. Una sfida, umana e pastorale, che il vescovo Christian vive in prima persona da tanto tempo, da quando fresco missionario comboniano fu inviato in Sudan per rimanervi senza pause, fino ad avere la responsabilità pastorale, dallo scorso anno e dopo aver subito un grave attentato, della neonata diocesi di Bentiu, nel più giovane stato del pianeta, ancora fortemente segnato da povertà e instabilità. Lì, in quel pezzetto di Chiesa, c’è tanta vita, c’è voglia di emanciparsi se non dalle schiavitù di allora, da quelle nuove catene sigillate da profonde disuguaglianze e sfruttamenti di ogni tipo. Padre Christian ha ben presente che la cattolicità – l’apertura della Chiesa al mondo – chiede conversioni continue, soprattutto alle nostre latitudini, per rispettare l’altro e scommettere seriamente sull’essere unica famiglia umana. Il grande tema delle religioni non passa mai di moda, oggi più che mai strattonate per interessi particolari, rivendicazioni escludenti, addirittura terreno ideologico per giustificare più di una guerra.

Due giovani voci, quelle di Calassare e Ghedini, all’incrocio tra la storia e i giorni. E sullo sfondo, più sorprendente che mai, il volto color ebano di una donna dal cuore grande, lo stesso che ha allargato i confini di un un piccolo paese, in una piccola vallata marchigiana, dove la bellezza della Parola si è colorata di mondo.

Laura Mandolini

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Suor Luigina Buti: missionaria della diocesi di Senigallia, da quasi cinquant’anni in Giappone

Il mondo cambia in fretta, il modo di vivere la spiritualità anche. Pensarsi missionari come cento anni fa, o forse basterebbe dire, come qualche decennio fa, è fuorviante ed inutile. Suor Luigina Buti tutto ciò lo sperimenta praticamente da sempre. Vivere in un Paese così particolare, il Giappone, ha reso la sua vocazione una missione di prossimità, nella dimensione più quotidiana.

È tornata, dopo cinque anni, a fare visita alla sua famiglia. Originaria di Vaccarile di Ostra, è una umile e tenace missionaria canossiana che vive nell’arcipelago asiatico da 49 anni. Il Sol Levante è stata la sua prima ed unica terra di missione e ci sta proprio bene. “Quando i miei superiori mi hanno comunicato che sarei dovuta andare in Giappone ne sono stata molto felice”. Parlano di quella terra i suoi modi, così misurati, eleganti, così come il suo esprimersi a voce bassa, l’ascolto attento e mai prevaricante. Verrebbe da dire che anche i suoi occhi, nel tempo, guardano all’orientale, sottili e discreti, vivaci ed attenti.

“Ho dedicato oltre quarantadue anni all’attività della nostra scuola – ci racconta quando l’incontriamo a casa di sua sorella, a Marina di Montemarciano – con ragazze e ragazzi dai 12 ai 18 anni, in pratica le nostre scuole medie e superiori. Da quattro anni sono in pensione e posso dedicarmi ad altri servizi, soprattutto in parrocchia. Ultimamente ho preparato per la Cresima tre ragazzi, in parrocchia abbiamo l’asilo e insegno la lingua inglese ai bambini, mi attivo per altre piccole attività, quello di cui c’è bisogno”.

È rimasta nell’isola meridionale di Kyushu, ma dopo la pensione si è spostata nella città di Omuta, luogo in cui si insediò la prima comunità canossiana, 70 anni fa. “I cattolici sono pochi, ma la comunità cristiana è vivace. Gli anni delle restrizioni dovute alla pandemia sono stati pesanti e hanno rallentato tante attività pastorali e di socializzazione, non è facile riprenderle”. Ma, come spesso accade, dare la colpa per ogni cosa al Covid non la convince. “Anche il Giappone, essendo una società sviluppata e benestante, vive una progressiva secolarizzazione che ormai da tempo allontana tanti dalla pratica religiosa. Questo però non ci abbatte, perché ci fa vivere con più autenticità la bellezza di una presenza come la nostra, che è sostanzialmente di testimonianza e di servizio”.

La sua comunità religiosa è formata da nove sorelle di quattro nazionalità. Lei è l’unica italiana, poi ci sono un’inglese, un’indonesiana e sei giapponesi. Sparse in 32 nazioni, le suore canossiane sono circa 3000. “Qui siamo sempre state accolte molto bene, ci sentiamo parte del nostro ambiente e abbiamo scelto di portare il vestito religioso (in altre nazioni non è così) perché per i giapponesi la divisa è qualcosa di significativo. Ci vedono e ci riconoscono, gioiscono della nostra presenza e il nostro stare qui è condividere la vita quotidiana con queste persone”. È uno stile che ha imparato da tempo, facendosi ispirare da grandi maestri e uomini di fede. “Ho particolarmente nel cuore la figura di don Divo Barsotti: venni chiamata a fare una testimonianza per la sua beatificazione poiché aveva predicato agli esercizi spirituali in occasione dei miei voti perpetui. Ero giovanissima, avevo 27 anni, di lì a poco sarei partita per il Giappone. In quell’occasione mi disse che proprio il Giappone era il luogo in cui avrebbe sognato di andare, non per fare attività o chissà quale evangelizzazione, ma per essere semplice presenza, per fare vita contemplativa. Questa eredità l’ho custodita e mi ha accompagnata fino ad oggi. Del resto è lo stesso San Paolo a dire ‘Non sono mandato a battezzare, ma ad annunciare”.

Il Giappone ospita diverse confessioni religiose e non mancano occasioni per vivere belle esperienze di dialogo e impegno interreligioso, ambito in cui sono particolarmente attivi i missionari saveriani.

Inevitabile chiederle che Italia e Europa trova, ogni volta che rientra a casa: “Sento dire che le parrocchie sono mezze vuote, in altri casi forse c’è un po’ più di vivacità. Di sicuro la Chiesa vive in un cambiamento d’epoca, come ci ricorda il Papa ed è un tempo che solleva tante domande. Ma sono convinta che il valore della testimonianza resti fondamentale, è prezioso per tutti. Mi colpisce in Italia quando sento dire ‘tanto, tutti fanno così!’. Ma il cristiano è una persona che deve andare contro corrente, abbiamo una vita da vivere secondo il Vangelo di Gesù Cristo. E quello è sempre nuovo e chiede coerenza”.

L’arcipelago vive un rigurgito di nazionalismo, le tensioni planetarie, la vicinanza della temibile Corea del Nord offrono pretesti per chi desidera un Giappone riarmato e sogna più forza per difendersi. La democrazia tiene, però anche quella nipponica è una società che fa i conti con profonde trasformazioni. “Le persone più fragili sono soprattutto i tanti immigrati giovani che arrivano da altre nazioni asiatiche (Vietnam, Filippine, Nepal…); vengono soprattutto per studiare, altri per lavorare. I vietnamiti, molto numerosi, sono cattolici e noi vorremmo aiutarli di più, ma la lingua è una barriera forte. Hanno una fede molto profonda. Gli immigrati spesso vengono sfruttati, capita che quando finiscono di studiare o non hanno più lavoro, vengano rispediti via ed alcuni rimangono in clandestinità. C’è anche una povertà giapponese, ma i poveri di casa non si fanno vedere, hanno molto pudore e anche per loro abbiamo iniziative di assistenza e distribuzione del cibo”.

Piccola comunità, quella cattolica giapponese, ma arricchita e sostenuta, nella sua storia, da donne e uomini meravigliosi: padre Massimiliano Kolbe, il martire di Auschwitz, che in questa terra ha vissuto parte del suo servizio religioso; dal 1926 il beato don Vincenzo Cimatti svolse per 40 anni in terra nipponica un’intensa attività pastorale e missionaria secondo il carisma salesiano, promosse la fondazione delle Suore di Carità di Miyazaki e allargò l’opera dei salesiani con oratori e scuole professionali. E ancora, Maria Satoko Kitahara. Figlia di famiglia benestante, discendente di samurai, trovò la sua strada servendo Dio in mezzo agli straccivendoli di Tokyo. Malata di tubercolosi, morì a soli 29 anni ed è stata dichiarata venerabile nel 2015. Ed infine Takashi Paolo Nagai, medico giapponese specializzato in radiologia che si convertì al cattolicesimo e sopravvisse al bombardamento atomico di Nagasaki. La sua successiva vita di preghiera e di servizio gli ha fatto ottenere il soprannome di “Santo di Urakami”.
Suor Luigina, nel suo Giappone, si sente ancor di più in buonissima compagnia. Nel pensare all’aereo che la riporta lì, sorride. Arigatò, sorella, grazie! Fa bene incontrarla, semplice e profumata come un ciliegio in fiore.

Laura Mandolini

Ottobre è il Mese missionario: www.cmdsenigallia.it/animare/#ottobre_missionario

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Luigina Buti, suora di Ostra nella piccola comunità cattolica del Giappone

Estate 2018, incontro a Vaccarile con Suor Luigina Buti

Alla vigilia del giorno che la Chiesa universale dedica alle persone consacrate, arriva dal Giappone una lettera di Suor Luigina Buti. È una suora canossiana, originaria di Vaccarile di Ostra. Ha frequentato le Magistrali presso la scuola del suo ordine, a Colle Ameno di Ancona. Poi la vocazione religiosa e la partenza, nel 1974, per il paese del Sol Levante dove tutt’ora vive ed opera.

Le sue lettere sono sempre tanto dense, alternano racconti di vita pastorale giapponese a riflessioni spirituali profonde, vere. “Nella mia parrocchia, oggi è stato un giorno speciale per la visita del vescovo e la celebrazione della cresima di tre ragazzi che mi erano stati affidati per la preparazione. Insieme abbiamo fatto un cammino con il cuore per riscoprire la bellezza della nostra fede che è una relazione personale con Gesù  vivo e come crescere in questa relazione con Lui sotto la guida dello Spirito Santo che avrebbero ricevuto in modo speciale nel sacramento.

Nella società giapponese esiste una cerimonia per i giovani quando compiono vent’anni che li rende pubblicamente adulti e responsabili della loro vita. Nella vita di fede ho pensato che la cresima può  essere paragonata a questa cerimonia che ci dona lo Spirito Santo e ci rende responsabili della nostra crescita nella relazione con Cristo. È stata una grande gioia fare questo cammino con questi ragazzi per alcuni mesi e continueremo fino a marzo quando termina per loro l’anno scolastico”.

I cattolici in Giappone sono una piccola comunità e Suor Luigina ci racconta della sua famiglia religiosa: “La mia stessa comunità dall’aprile scorso ha avuto dei cambiamenti e a settembre con l’arrivo di due nuove consorelle siamo diventate una comunità di dieci di cinque nazionalità: Giappone, Inghilterra, Filippine, Indonesia e ltalia. Al pensiero della chiesa universale ci si perde in questo grande mistero di Cristo che unisce tutti i popoli. Certo la domanda rimane: chi è Gesù per me come individuo, come nucleo famigliare, come comunità religiosa o sociale? Come manifestare Gesù se non lo si conosce personalmente, ma solo per sentito dire e solo per l’osservanza di alcuni precetti che pensiamo siano il cristianesimo? A ciascuno la risposta”.

Ancora una fotografia di questo lontano Paese e della presenza dei cattolici: “La pandemia in Giappone ci tiene ancora in maschera e se pure migliorate le ristrettezze la vita non è ancora pienamente tornata alla sua normalità. Comunque si va avanti lo stesso.  Un’ultima notizia è che la nostra scuola ha celebrato il 70.mo di fondazione lo scorso novembre. Spero e prego che le nostre dieci mila e più  ex-alunne siano nel mondo luce e sale della terra secondo il Vangelo che hanno sentito e vissuto con noi per tre o sei anni. Finché  il Signore mi dà vita vorrei sempre essere un prolungamento della sua umanità per i vicini e i lontani. Sono certa delle vostre preghiere come anche voi siete sempre presenti nelle mie. Il Signore ci benedica e la Madonna ci protegga sempre”.

a cura di Laura Mandolini

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