In vista del centenario della morte di suor Maria Giuseppina Benvenuti , la ‘Moretta’ di Serra de’ Conti, la parrocchia organizza per sabato 27 settembre 2025, alle ore 16.30, presso la Sala Italia un incontro per conoscere meglio la biografia e l’eredità spirituale di questa religiosa, una straordinaria vita con tante storie dentro.
Dopo i saluti del vescovo diocesano, Franco Manenti, prenderà la parola mons. Christian Carlassarre, vescovo di Bentiu, Sud Sudan, in quell’Africa in cui suor Maria Giuseppina è nata presumibilmente nel 1845, nell’incertezza di una data non confermata per mancanza di registri ufficiali. Ad arricchire il dialogo, moderato da Laura Mandolini, lo storico Giacomo Ghedini, presso la Fondazione Bruno Kessler di Trento, che si è occupato di temi e vicende storiche affini a questa.
Suor Maria Giuseppina Benvenuti è stata monaca clarissa ed abbadessa del monastero di Santa Maria Maddalena; arrivata nelle Marche dal Sudan dopo essere stata riscattata dalla schiavitù nella quale era stata ridotta fin dall’infanzia, Zeinab Alif – questo il suo nome originario – morì la sera del 24 aprile 1926. È stata dichiarata ‘Venerabile’ il 27 giugno 2011.
Gli occhi del mondo tornano a essere puntati sul Vaticano perché mercoledì 7 maggio inizia il conclave con 133 cardinali lettori che dovranno scegliere il nuovo successore al soglio pontificio dopo la scomparsa di Papa Francesco, il papa venuto dalla fine del mondo avvenuta lunedì 21 aprile scorso. Nel pomeriggio la processione dei cardinali si muoverà dalla Cappella Paolina alla Sistina, dove avverrà poi il giuramento con la mano sul Vangelo e poi dall’arciviescovo Diego Ravelli verrà pronunciato l’extra omnes, l’invito a far uscire tutti coloro che non sono chiamati al voto. Così inizieranno le votazioni. Già dal tardo pomeriggio dovrebbe esserci una prima fumata dal comignolo e sarà quello il segnale che è stato o non è stato eletto il nuovo papa. Dei 133 cardinali elettori, l’80% circa è stato creato da papa Francesco con un’importante rappresentanza asiatica anche se in pochi credono che sarà di quel continente il successore di Bergoglio.
Qual è il profilo che dovrebbe o forse meglio dire dovrà avere il nuovo pontifice, il 267° papa nella storia? Un costruttore di ponti, un uomo vocato al dialogo, un pastore, volto di una chiesa samaritana in tempi in cui si parla tanto, tantissimo, troppo di guerra (la terza guerra mondiale a pezzi come la chiamava papa Francesco e il riaccendersi delle ostilità tra India e Pakistan ne è la prova di fatto) ma anche di profonda polarizzazione tra le parti e questo interessa un po’ tutti i paesi, dall’America all’Europa, dove il dialogo ha spazi sempre più ristretti. Chissà se anche nel conclave sarà così.
Senza scadere nel toto papa, ci si interroga sul cammino futuro della chiesa: diversi elementi significativi sono stati tracciati da papa Francesco nel suo programma di apertura e modernizzazione. La chiesa deve fare conti con se stessa, con alcuni scandali che non sono rimasti legati al passato (si pensi alla questione degli abusi) ma anche con alcune aperture che non sono state ben viste da tutti (quel chi sono io per giudicare rivolto alla comunità gay è solo uno dei temi su cui la chiesa dovrà fare chiarezza al suo interno).
Di certo papa Francesco ha lasciato non solo dei temi importantissimi su cui la chiesa si deve ancora esprimere senza esitazioni, e l’assemblea sinodale di aprile è un esempio lampante di questo esitare, ma lo stesso cambiamento non sarà immediato, a meno di segnali importanti che possano arrivare dal conclave. Lo dice anche il vescovo della diocesi di Senigallia Franco Manenti: in una recente intervista a Laura Mandolini a Radio Duomo ha parlato dell’eredità di Bergoglio e della prospettiva del cambiamento.
«Penso che l’eredità pastorale che papa Francesco ci lascia sia quella contenuta nell’Evangelii Gaudium che è un po’ il testo programmatico, cioè la consapevolezza che il Vangelo è una buona notizia per tutti ed è una buona notizia che alimenta la speranza di tutti, a non disperare. Questo mi pare sia il lascito prezioso. Lascito reso ancora più prezioso dal modo con cui papa Francesco ha testimoniato questa buona notizia con parole e gesti tra loro strettamente connessi, tanto da fare di papa Francesco un maestro perché testimone, lui stesso ha testimoniato con le sue parole e la sua vita la bellezza di una notizia che dà speranza alle persone, a tutte, in modo particolare quelle che erano a corto, in deficit di speranza».
«Mi viene da dire che quel testo è un testo molto impegnativo per la chiesa perché papa Francesco chiede alle comunità cristiane una conversione pastorale non di facciata ma addirittura appunto un cambiamento e dettaglia anche gli ambiti i luoghi e le cose da cambiare, rivalutare, ripensare tutta la vita della comunità cristiana. Io sono del parere, ma non solo nei confronti di papa Francesco, che non bisogna perdere la spinta al cambiamento, con la consapevolezza non è un cambio rapido, deve essere radicale, incisivo ma ha bisogno di tempo, ha bisogno dei suoi tempi».
Che aria si respira a Roma in questi giorni di assemblea sinodale? Quella di un confronto acceso e sincero, messo in moto dalla Chiesa italiana che si è riunita per interrogarsi sul proprio futuro, per capire come affrontare le sfide di un mondo in continua trasformazione e per riscoprire la propria missione. Come nostro solito, abbiamo voluto approfondire la questione con don Paolo Gasperini e Daniela Giuliani, rappresentanti della Diocesi di Senigallia insieme al vescovo Franco Manenti. L’intervista è in onda mercoledì 2 e giovedì 3 aprile alle ore 13:10 e alle ore 20, oltre che in replica alle 16:50 di domenica 6. L’audio è disponibile anche qui insieme a un breve testo.
C’è un desiderio palpabile di rinnovamento, di un approccio più concreto ai problemi, di una Chiesa che sappia parlare il linguaggio del nostro tempo. Le “proposizioni” presentate dal comitato centrale, però, non sembrano aver colto appieno questo desiderio. Sono state giudicate troppo generiche, troppo legate al passato, incapaci di indicare una strada chiara per il futuro.
Eppure, la speranza non è spenta. Anzi, il dibattito vivace, le critiche costruttive, la partecipazione sentita di donne e uomini di Chiesa, tutto questo testimonia una grande vitalità. C’è la consapevolezza che il cambiamento è possibile, che la Chiesa italiana può e deve trovare nuove strade per annunciare il Vangelo.
Il tema della sinodalità, del camminare insieme, è centrale. Si avverte la necessità di una Chiesa più inclusiva, capace di ascoltare tutte le voci, di valorizzare il contributo di ciascuno. Emerge con forza il ruolo delle donne, la loro autorevolezza, il loro desiderio di partecipare pienamente alla vita della Chiesa.
L’assemblea si concluderà con la consapevolezza che il cammino è ancora lungo, che le sfide sono tante, ma anche con la certezza che la Chiesa italiana ha le risorse per affrontarle. C’è la volontà di non lasciare cadere nel vuoto le istanze emerse, di trasformarle in azioni concrete, di costruire una Chiesa più autentica, più vicina alla gente, più capace di testimoniare la speranza del Vangelo.
Si è celebrato L’8 dicembre scorso il 170 esimo anniversario del dogma dell’Immacolata concezione di Maria, proclamato nel 1854 dal beato Papa Pio IX con la bolla Ineffabilis Deus, tradotta in 400 lingue e dialetti. Oltre un secolo e mezzo dopo, Senigallia, la città natale di quel pontefice, all’anagrafe Giovanni Maria Mastai Ferretti, ha ricordato quel periodo storico e quella proclamazione attraverso un duplice appuntamento: il primo si è tenuto sabato 7 dicembre all’auditorium san Rocco con la lectio magistralis del cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi. Lo stesso Semeraro ha poi presieduto il giorno dopo, domenica 8 dicembre appunto, la solenne concelebrazione eucaristica alla chiesa dei Cancelli. Noi di Radio Duomo Senigallia abbiamo approfittato della sua presenza per approfondire la questione del dogma dell’immacolata concezione, con il cardinale Semeraro che ne ha ripercorso il dibattito storico e con il vescovo Manenti, intervistato da Laura Mandolini, che ne ha contestualizzato il messaggio. Il servizio sarà in onda mercoledì 11 e giovedì 12 dicembre, alle ore 13:10 e alle ore 20, e domenica 15 a partire dalle ore 16:50 (la seconda di tre audio-interviste), sempre su Radio Duomo Senigallia (95.2 FM). L’audio è disponibile anche in questo articolo assieme a un estratto testuale.
Il rapporto tra Pio IX e questo dogma dell’Immacolata Concezione è una storia molto lunga, anche un pochino dibattuta tra quanti sostenevano questo dogma, la scuola francescana, e quelli che invece non condividevano il dogma. I progetti per una proclamazione dogmatica risalgono già alla fine del 1400, già con il papa Sisto IV. Morì nel 1484, con il merito di proibire alle due scuole diverse, la scuola macolatista e la scuola immacolatista, di condannarsi a vicenda. Un passo in avanti fu compiuto dal concilio di Trento che pur non definendo il dogma della immacolata concezione della vergine, tuttavia nella dottrina dommatica sul peccato originale non inserì Maria. Anche i papi successivi hanno contribuito al progresso, per estendersi fino a gran parte delle comunità cristiane dell’epoca, fino a quando non arrivò Pio IX. Fu eletto papa nel 1846, era personalmente un gran devoto della madonna.
In precedenza erano due i dogmi mariani che risalivano ovviamente ai primi concilii ecumenici, cioè il dogma mariano della divina maternità – Maria è la madre, la vera madre del Signore – e l’altra ad essa collegata della verginità di Maria, escludendo quindi l’intervento umano dalla nascita di Gesù.
Già nel 1848 convoca una commissione di 19 teologi e li chiama a dare ciascuno un voto personale. Però gli eventi precipitarono, il 24 novembre proprio di quell’anno il papa fuggì da Roma a Gaeta ma non si scoraggiò, istituì una commissione di cardinali ma non tutti erano d’accordo. Pio IX pubblicò nel febbraio 1849 una lettera enciclica in cui chiedeva ai vescovi un parere sulla opportunità di procedere a questa proclamazione. Ne uscì una risposta quasi plebiscitaria, a favore 546 voti su 603 anche se poi i rimanenti non tutti erano contrari alla definizione dogmatica ma sulla opportunità e questo incoraggiò molto il papa ad andare avanti in questa decisione. Nel marzo presentò una bolla pontificia. La formula fondamentale, la formula chiave è questa: “in vista dei meriti di Gesù Cristo salvatore del mondo” cioè si dice che la beata vergine Maria fu sottratta a questa condizione generale dell’umanità ma fu sottratta nella previsione che sarebbe stata la madre di Cristo, come dare ad una legge un effetto retroattivo.
Analogamente Pio XII copiò la Pio IX quando giunse alla proclamazione del dogma dell’assunzione, sono strettamente in collegamento. Il dogma dell’immacolata concezione e il dogma dell’assunzione sono l’esempio per noi, cioè quello che Dio ha fatto in Maria lo vuole fare e lo fa per ciascuno di noi. La liberazione dal peccato originale attraverso il sacramento del battesimo, quindi l’immacolata concezione è in qualche maniera un annuncio del battesimo e l’assunzione in rapporto alla vita eterna, è quello che noi diciamo nel credo. La dichiarazione fu accolta con grande gioia nel mondo cattolico, ovviamente non fu lo stesso nel mondo protestante, che non accettava questo dogma, e neanche nelle chiese ortodosse perché l’aveva fatto Roma questo dogma. A Roma le cose furono quanto contenti che a piazza di Spagna fecero quella colonna per rendere l’omaggio alla immacolata concezione.
Franco Manenti
Questa è stata la storia un po’ del dogma e della proclamazione dell’immacolata concezione, sentiamo ora invece le parole del vescovo Franco Manenti, intervistato da Laura Mandolini, che ci contestualizza un po’ il messaggio. Vescovo Franco, perché è ancora senso proporre una riflessione ai fedeli, ma alla comunità tutta, su un tema come quello di un dogma, in particolare dell’immacolata concezione? Penso che sia importante chiarire che cosa rappresenta nel cammino della fede cristiana, anche nel cammino della chiesa, la promulgazione di un dogma. Nell’immaginario collettivo, nel linguaggio pubblico, il termine dogma è utilizzato spesso per indicare un intervento autoritario. Nel cammino della fede una definizione dogmatica o un dogma non sta all’inizio di un percorso, conclude un percorso che parte dal basso. Magari una reazione in forme molto semplici, appunto popolari, piano piano questo inizio dal basso si propone al magistero. Il dogma è una sintesi di un aspetto della rivelazione della fede cristiana.
Il dogma della immacolata concezione di Maria, che cosa intende affermare o da che cosa parte? Il punto di partenza è appunto il saluto dell’angelo a Maria, salutata come la piena di grazia, dove questo piena di grazia non è da intendersi in senso quantitativo ma in senso qualitativo, cioè Dio si rallegra con te, Dio ti circonda pienamente del suo amore. In Maria questa pienezza di grazia si esprime in una forma del tutto singolare, appunto proprio perché è la piena di grazia, proprio perché aderisce a questo dono che riceve dal Signore, viene riconosciuta come unico caso singolare preservata da quello che rappresenta l’eredità che ci portiamo quando veniamo al mondo, quella che noi chiamiamo appunto il peccato originale. Ce la portiamo come eredità, non come colpa commessa da noi, ma come coloro che subiscono le conseguenze di una colpa commessa da altri. So che qui ci sarebbe bisogno di una lezione un pochino più ampia. Ecco, Maria entra nel mondo non con questa eredità, in qualche modo Maria beneficia anticipatamente della Pasqua di Gesù, della vittoria di Gesù sul peccato.
SENIGALLIA – Santa Maria delle Grazie – chiamata familiarmente ‘Le Grazie’ – riapre le sue porte dopo oltre otto anni di chiusura forzata per poter essere rimessa in sesto. Bisognava renderla nuovamente sicura perché l’usura del tempo e un terremoto l’avevano scossa, resa fragile e potenzialmente pericolosa. Ora ci è tornata amica e, dalla scorsa domenica 1 dicembre, Prima di Avvento, ritrova la sua gente.
Non è una chiesa come le altre, i senigalliesi lo sanno bene. Perché andare alle Grazie è tante cose insieme. È fare i conti con la mancanza di chi non c’è più, percorrendo i viali di un bellissimo cimitero incastonato nelle nostre morbide colline, dove la città dei morti racconta ai visitatori di vite, storie e nostalgie. Le Grazie erano per tanti il luogo francescano di casa. I frati minori conventuali l’hanno abitato per molti anni, c’erano – e ci sono ancora – i parrocchiani ma era forte il legame anche con altri frequentatori, al di là della residenza. Una predilezione ricambiata, in questo posto eletto quasi a ‘santuario’ cittadino: lì ci potevi trovare una parola buona, respirare aria fresca, festeggiare il Poverello d’Assisi, stendere un plaid sul prato per gite fuori porta alla portata di tutti; lì davanti il protetto circuito di guida in attesa dell’esame per la patente.
Alle Grazie l’anima campagnola della città spesso incrociava quella cittadina e marinara e di fianco alla chiesa il Museo di Storia della Mezzadria continua a mettere in sapiente mostra questo vissuto, quello di una terra con vista mare. Spingersi un po’ più in là, oltre il cancello in ferro massiccio, apre al riposo degli ebrei nel loro suggestivo cimitero, a ricordarci la bellezza di un’altra, avvicente pagina cittadina nella pluralità sotto lo stesso cielo.
Le autorità presenti: da sin. il sindaco di Senigallia, Massimo Olivetti; il vescovo diocesano, Franco Manenti; il presidente della Regione Marche, Francesco Acquaroli.
L’eleganza rinascimentale di un posto così doveva ritrovare la sua chiesa, ne era ed è ancora il fulcro. Voluta con grande determinazione dal suo ideatore e promotore, Giovanni della Rovere nel 1491– tanto che nel suo testamento si raccomanda accoratamente di finire l’opera – impreziosita da nomi del calibro di Baccio Pontelli, architetto e dei pittori Piero della Francesca e Perugino, torna a sorprenderci più bella che mai e si sa che i doni più delicati chiedono un di più di attenzione, creatività e cura. Qui la fede celebrata e condivisa, la custodia della storia, la passione per la cultura alla portata di tutti si sovrappongono continuamente. Le pietre rimesse a posto domandano spiritualità profonda e accogliente, dialoghi intelligenti e armonia con il creato. Inaugurare e riaprire significa anche immaginare nuovi percorsi di cittadinanze possibili e a misura di tutte e tutti.
È tempo di godere di tutta questa bellezza, di farne partecipi i più giovani, di tornare ad abitare i luoghi. Di desiderare ancora e sempre più comunità cristiane aperte e coraggiose, nonostante l’esiguità dei numeri, sferzate da un vento fresco, come quello della sera della riapertura, che scansa la polvere dell’abitudine e dell’autoreferenzialità e scombina prassi, dentro e fuori la chiesa, ormai stanche. La Chiesa delle Grazie ritorna a noi, le sue pietre ci parlano ancora: sarebbe un peccato non ascoltarle… ne hanno vista di storia e loro non temono il futuro.
Grande attesa a Senigallia per la riapertura della chiesa di Santa Maria delle Grazie! La chiesa parrocchiale, la cui fondazione e dedicazione risale al 1491 e di cui il Comune di Senigallia è proprietario dal 1866, fu chiusa il 13 settembre 2016 da un’ordinanza del Sindaco a causa del cattivo stato della copertura e di lesioni alla fodera muraria interna.
L’iter complessivo di riqualificazione è stato avviato dall’amministrazione comunale nel 2018. Dopo la verifica di vulnerabilità sismica dell’intero complesso (2019), è stato realizzato il rifacimento della copertura della chiesa e il restauro della torre campanaria (2022-2023). Nel 2024 sono stati infine realizzati i nuovi impianti di riscaldamento a irraggiamento, elettrico e di allarme/videosorveglianza.
Nell’occasione la Pala ‘Vergine con i Santi’, del Perugino, sarà ricollocata nella Chiesa delle Grazie, proveniente dalla Pinacoteca diocesana di Senigallia dove, in questi anni, è stata custodita ed ammirata da migliaia di persone.
La S. Messa di domenica 1 dicembre, presieduta alle ore 17.00 dal vescovo Franco Manenti, sarà trasmessa in diretta su Radio Duomo (95.200) e sui canali social de ‘La Voce Misena’ e Radio Duomo (youtube e facebook).
Nel file audio che trovate in questo articolo (basterà cliccare sul tasto “riproduci” del lettore multimediale) vi proponiamo l‘intervista a don Aldo Piergiovanni, parroco proprio di Duomo, Grazie, Roncitelli e Porto, con cui abbiamo ripercorso un po’ la storia di questo edificio nato grazie ai Della Rovere, il lungo iter progettuale e dei lavori e annunciato gli eventi organizzati per la sua riapertura che trovate anche nella locandina allegata.
L’intervista andrà in onda su Radio Duomo Senigallia (95.2 FM) venerdì 29 e sabato 30 alle ore 13:10 e alle ore 20, assieme a un’ulteriore replica domenica 1° dicembre alle 16:50. Buon ascolto!
Lo scorso 7 novembre, nella biblioteca Antonelliana di Senigallia, si è tenuto un partecipato incontro per il decennale di “Modernism”, una rivista di “storia del riformismo religioso in età contemporanea” di cui si occupa in prima persona un noto cittadino di Senigallia, Fabrizio Chiappetti, docente, giornalista, storico e studioso che abbiamo intervistato nella puntata di “Venti minuti da Leone” in onda mercoledì 20 e giovedì 21 novembre alle ore 13:10 e alle ore 20, oltre che domenica 24 a partire dalle ore 16:50 (la seconda di tre interviste). L’audio integrale è disponibile anche in questo articolo assieme a un estratto testuale: basterà cliccare sul tasto “riproduci” del lettore multimediale per ascoltare le sue parole.
Partiamo subito da alcune informazioni su di te e su come ti sei approcciato a questa rivista Modernism. Dopo il liceo, ho studiato filosofia, a Bologna, mi sono laureato nel ‘98, poi ho continuato a studiare facendo un dottorato. Sono diventato un insegnante di italiano, storia e geografia alla scuola media ma ho continuato a mantenere amicizie e legami con alcuni ambienti universitari a Bologna e Urbino, dove ho conosciuto la Fondazione Romolo Murri di cui adesso sono consigliere di amministrazione.
Di cosa si occupa la Fondazione Romolo Murri? Parto da un aneddoto. Ho conosciuto don Lorenzo Bedeschi, un grande studioso di storia contemporanea, docente dell’Università di Urbino, ma soprattutto uno storico del mondo cattolico. L’ho conosciuto a Senigallia perché l’amico Franco Porcelli, instancabile animatore della cultura di questa città, organizzò un incontro alle Grazie. Mi piace ricordarlo perché tra poco quel luogo sarà anche finalmente riaperto e restituito alla fruizione di tutti. Nel chiostro piccolo del Convento delle Grazie organizzò un incontro con don Lorenzo Bedeschi e il sottoscritto su un prete modernista, uno degli ultimi grandi eretici per la Chiesa Cattolica, che è stato Ernesto Buonaiuti. Bedeschi è stato il promotore del primo centro studi in Italia del modernismo, nato negli anni sessanta prevalentemente per raccogliere la documentazione su un pezzo di storia del cattolicesimo italiano del novecento. Poi il centro si è trasformato in fondazione Romolo Murri che ha raccolto l’eredità di Bedeschi sia in termini di studi, di interessi scientifici, ma anche e soprattutto in termini documentari.
Che cos’è il modernismo? E’ stato un fenomeno religioso, anche sociale e anche culturale, che ha interessato il mondo cattolico fra otto e novecento. È stato il tentativo di creare un dialogo con la modernità, con le espressioni più mature della cultura moderna, quindi con il progresso scientifico, tecnologico, l’avanzamento dello studio della storia, delle scienze umane, un dialogo che andasse appunto a fecondare quelle parti della teologia, dell’esperienza religiosa che invece erano rimaste arroccate ad una dimensione dogmatica e ad un ancoraggio culturale che ricordava più la chiesa medievale che una chiesa disposta a dialogare con il mondo moderno. Molti studiosi hanno visto nel modernismo, a torto o a ragione, una sorta di anticipazione di quello che poi è stato il concilio vaticano II.
Sei reduce da un incontro a Senigallia in cui hai presentato “Modernism”: che tipo di pubblicazione è? Questa è una delle emanazioni della Fondazione di Urbino, una rivista che vuole avere una caratura di livello internazionale, con una dimensione europea e un carattere accademico perché siamo convinti che questa dimensione del dialogo fra aree culturali diverse, talvolta anche materie e metodi diversi, sia un arricchimento reciproco per tutti.
E il riformismo religioso? E’ un tentativo di avvicinarsi al presente, di eliminare alcune posizioni che forse non erano più al passo a quei tempi o è un tentativo della Chiesa di salvarsi, di riuscire a come dire ad avere ancora un po’ di influenza sulle persone, di avere ancora un po’ un ruolo, una parte nella società odierna? Credo che sia stato, e sia, un po’ l’uno e un po’ l’altro. Ma forse la cosa che mi piace sottolineare è il carattere del coraggio, non bisognava, e dico ancora, non bisogna aver paura della scienza storica o della critica testuale applicata ai testi sacri, perché? Perché comunque quella parte ineffabile della verità e quindi quella che parla al nostro spirito sarà sempre al riparo da qualsiasi critica o contestualizzazione, però quello che dico adesso, che magari può apparire banale e scontato, non lo era in passato, si temeva davvero che questo tipo di confronto andasse verso un appiattimento, una degradazione della verità, di quello che la tradizione definisse il depositum fidei, cioè la fede non può essere declassata, tra virgolette, ad un oggetto di studio. Chi proponeva una visione coraggiosa di riforma aveva questo orizzonte, chi non lo voleva era esattamente quello che stavi dicendo tu adesso, cioè la convinzione che per mantenere una sorta di presa sulla società bisognava utilizzare i metodi moderni, gli strumenti moderni anche di comunicazione, ma evitando di scendere veramente nel confronto e cercando piuttosto di riportare alle proprie convinzioni, ai dogmi, la grande maggioranza della popolazione.
Il numero del 2023 della rivista “Modernism”: “Modernizzazione e riformismi nell’Islam (1870-1949)” Ed. Morcelliana
Il prossimo numero di Modernism sta per uscire. Quando e di che cosa si occupa? Uscirà spero alla fine di novembre per i tipi di Morcelliana, un editore di Brescia. Sarà dedicato al cattolicesimo del dissenso fra gli anni ‘70 e ‘80, perché questi due decenni sono stati caratterizzati da importanti dibattiti, anche da drammatiche lacerazioni del mondo cattolico, pensando ad alcune storiche battaglie, per esempio sull’aborto o sul divorzio. Poi ancora l’impegno in politica, la questione del voto che andava automaticamente alla Democrazia Cristiana, quando anche però c’erano dei fermenti che nascevano dal dopo concilio e che invece pensavano, interpretavano il cattolicesimo in una ottica diversa, se vogliamo più schierata sinistra. E poi il dibattito sul nucleare e il disarmo. C’è il ritratto di un’Italia che pensiamo di conoscere però c’è una complessità che vale la pena di ripercorrere.
E nel futuro? In preparazione ci sarà un bel numero nel 2025. Quello del 2024 sta per uscire sul dissenso cattolico, nel 25 ci sarà un bel numero dedicato alla donna e alla questione femminile nella chiesa contemporanea, quindi sarà un numero con molte voci, molti documenti.
Tu che ruolo hai all’interno di questa rivista? Il mio ruolo è discutere nelle riunioni di redazione e mi occupo di leggere e di schedare dei libri che ci sembrano interessanti per l’argomento scelto. In passato ho anche pubblicato dei saggi all’interno della rivista, spero di poter tornare presto a scrivere. Io nasco in questo senso come uno studioso di Ernesto Buonaiuti, questo gigante del primo novecento: i miei contributi sono stati orientati alla conoscenza di quest’uomo ed al suo retroterra filosofico.
Dove si può trovare la rivista Modernism? Sul sito di Morcelliana, si può sia fare un abbonamento alla versione digitale, sia ordinare singolo numero, ma si può ovviamente ordinare in qualsiasi libreria.
Siamo immersi in un profondo cammino di rinascita della Chiesa che, per cause diverse, più o meno negative, ha iniziato a guardarsi allo specchio e scoprirsi fragile e in difficoltà. La Chiesa si è sempre identificata nelle figure evangeliche del “buon pastore”, del “padre buono”, del “buon samaritano”, mai avrebbe pensato di ritrovarsi pecorella smarrita, figliol prodigo, uomo malmenato dai briganti; non è certo facile assumere tale consapevolezza, ma è una opportunità preziosissima di purificazione e di rinascita di cui forse, come comunità cristiana, non siamo ancora consapevoli.
Uno degli aspetti più dolorosi di questo processo appena avviato, è senza dubbio la questione degli abusi nella Chiesa, ferita assai profonda che ne deturpa il volto, che la fa tremare sin dalle proprie fondamenta, che scandalizza e separa. Nella piena consapevolezza del male provocato e del valore supremo della verità come unica via di rinascita, sono state compiute scelte importanti da parte di papa Francesco e delle Conferenze episcopali; dare un nome alle varie forme di abuso, mettersi in ascolto delle vittime dirette ed indirette, promuovere percorsi di prevenzione e di formazione, sono i principali obiettivi, appena avviati anche nella nostra Diocesi. E’ altissima la tentazione di volger lo sguardo altrove, di sminuire il fenomeno, di lasciare che il tempo silenzioso faccia dimenticare tutto; è assai diffusa tra i cristiani la convinzione che la Chiesa debba essere difesa ad ogni costo per non comprometterne l’immagine, per non scandalizzare, per non allontanare, ma purtroppo il male soffocato è molto più pericoloso e devastante della dolorosa verità. Il fenomeno degli abusi sui minori e sulle persone vulnerabili è un dramma sociale, una piaga dolorosa e inaudita, ma gli abusi nella Chiesa, al di là dei numeri, hanno una portata unica e indicibile, perché oltre a strappare la fiducia nella vita, deturpano il volto di Dio stesso. E’ la peggiore delle blasfemie.
E’ possibile dunque rinascere dopo un’esperienza di abuso? Chi ha subito un abuso come può ricucire lo strappo profondo e lacerante? Come può ritrovare fiducia in se stesso, nell’altro, nella Chiesa? Quanti sono stati coinvolti più o meno indirettamente, famigliari, amici, comunità, come possono superare il trauma senza perdere la fede e la speranza? Non è scontata una risposta positiva ma non è impossibile! In un’ottica evangelica costruire la Chiesa madre che si china accanto ai propri figli feriti, che cura con pudore e coraggio ogni lacerazione, che ricerca con forza la verità e la giustizia, senza temere alcun giudizio, deve essere possibile: è l’unico futuro possibile per la Chiesa.
Proprio per questo nella nostra diocesi di Senigallia è attivo il Servizio Diocesano per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili che svolge attività di studio e di formazione, di sensibilizzazione e di informazione. All’interno del Servizio c’è lo Sportello di ascolto che accoglie segnalazioni e richieste di aiuto in merito al tema degli abusi. E’ possibile prendere contatti tramite telefono al numero 3534494319 oppure per posta elettronica: tutelaminori@diocesisenigallia.it.
“Non vogliamo vivere una cultura del declino”. Nella sua introduzione ai lavori della 79ª Assemblea generale dei vescovi italiani, in corso in Vaticano fino al 23 maggio, il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha tracciato l’indicazione di rotta per affrontare i problemi del Paese, il cui “stato di salute” desta “particolare preoccupazione”. La povertà divenuta “fenomeno strutturale”, l’inverno demografico, il dovere dell’accoglienza messo in pericolo da possibili abusi e mancanza di legalità, la necessità di un rapporto più proficuo con il mondo della cultura, i temi segnalati sul versante interno. L’immagine usata dal presidente della Cei per lo scenario internazionale è quella di una Babele “segnata da tanta sofferenza, dalle ombre di guerre che non si fermano e paralizzano nella paura”. Nell’ultima fase del Cammino sinodale, dedicata alla profezia, particolare spazio – ha annunciato il presidente della Cei – verrà dato alla domanda spirituale dei giovani, tra i protagonisti anche della prossima Settimana sociale dei cattolici italiani, in programma a Trieste dal 3 al 7 luglio, con la presenza di Papa Francesco e del presidente Mattarella.
Il “grazie” del Papa. Papa Francesco “ci ha ringraziati del nostro affetto e della preghiera per lui”, ha esordito Zuppi: “Parlare dei problemi con realismo, senza negatività, sempre pieni dello Spirito che libera dalla paura e dalla tentazione di fidarsi più di se stessi che della grazia”, una delle consegne del Pontefice alla Cei: per il cardinale è questa “la prospettiva da assumere, quando guardiamo all’Italia, alla vigilia del Giubileo, che ci vuole pellegrini nella speranza e capaci di considerare, con amore, le tante difficoltà e sofferenze del nostro amato Paese”.
Il Cammino sinodale. “Continuate a camminare; fate Chiesa insieme; siate una Chiesa aperta”. Sono le tre indicazioni del Papa per il Cammino sinodale della Chiesa italiana. “Camminare ci fa incrociare da vicino la realtà, a volte confusa, tanto da sembrare impermeabile, distante, solo materialista”, l’analisi di Zuppi: “Invece è sempre piena di sofferenze, di fragilità, di domande spirituali da riconoscere, di desideri di verità”. La terza tappa del Cammino sinodale, caratterizzato dalla “vivacità” della Chiese locali, è dedicata alla profezia. “I profeti vivono nel tempo, leggendolo con attenzione”, ha sottolineato il cardinale: “Cerchiamo di tradurre in scelte e decisioni evangeliche quanto raccolto in questi anni, sentendo la responsabilità delle decisioni che ci attendono, e che vanno anche prese”.
Povertà e inverno demografico. “In Italia, il 9,8% della popolazione, circa un italiano su dieci, vive in condizioni di povertà assoluta”, ha ricordato il presidente della Cei a proposito del preoccupante stato di salute del nostro Paese, in cui la povertà è diventata “un fenomeno strutturale”, con 5 milioni 752mila residenti nello stato di povertà assoluta, per un totale di oltre 2 milioni 234mila famiglie. A loro si aggiungono le storie di chi vive in una condizione di rischio di povertà e/o esclusione sociale: si tratta complessivamente di oltre 13 milioni di persone, pari al 22,8% della popolazione, dato al di sopra della media europea. Senza contare le povertà croniche e intermittenti e il divario generazionale che si rafforza. “Non vogliamo vivere una cultura del declino, che ci fa stare dentro i nostri recinti, non ci fa essere audaci e ci priva della speranza”, l’appello contro la rassegnazione: l’inverno demografico “chiede interventi lungimiranti”, perché “non bisogna chiudersi alla vita”. Accoglienza e aree interne. Sul versante dell’accoglienza, “è necessario promuovere azioni solidali e definire, con urgenza, soluzioni inclusive e realmente incisive, in grado di rafforzare il senso di comunità e di reciproca cura, affinché nessuno sia tagliato fuori o venga lasciato indietro”. “Questi problemi aumentano sensibilmente nelle aree interne del Paese, che restano oggetto di tanta preoccupazione della Chiesa”, ha proseguito il cardinale, secondo il quale invece tali aree, “se opportunamente aiutate in una visione strategica, possono diventare luoghi di accoglienza per tutti, anche in riferimento all’emigrazione che deve rappresentare un’opportunità oltre che una necessità”. “È l’accoglienza che allarga anche il cuore e diventa testimonianza di una rinnovata cultura di pace”, la tesi di Zuppi: “in questo senso accoglieremo i minori provenienti dall’Ucraina per un’estate di solidarietà. Sette nostre Chiese locali hanno dato disponibilità, insieme alle aggregazioni laicali, ad ospitare 700 minori”. “Abbiamo poi bisogno di una legalità certa ed efficace che combatta gli abusi, garantendo diritti e doveri e che permetta, tra l’altro, anche di rispondere ad una domanda di mano d’opera che diventa in alcuni casi una vera emergenza”, la ricetta del presidente della Cei.
Fede e cultura. Alla fine dell’introduzione, un un monito preciso: “Senza rapporti con il mondo della cultura, la Chiesa perde anche il contatto con il mondo sociale, oggi molto più estesamente scolarizzato e acculturato di quanto fosse nella prima metà del secolo scorso”. “Nonostante l’originalità e la determinazione di Papa Francesco, dobbiamo chiederci se non pecchiamo di timidezza e di mancanza di fantasia creativa in ambito culturale”, l’invito di Zuppi, secondo il quale “una Chiesa che non sia militanza e immaginazione culturale soffre di una colpevole, grave mancanza e omissione: non rende vivo e attuale il messaggio cristiano”. “La Chiesa deve aiutare la discussione critica delle ideologie, dei miti, degli stili di vita, dell’etica e dell’estetica dominanti”, la proposta del presidente della Cei: “Se è vero che la Chiesa ha bisogno di cultura, aggiungerei che è anche la cultura ad avere bisogno del punto di vista cristiano”.
Proseguono le interviste di “Venti minuti da Leone”, il nuovo format radiofonico di Radio Duomo Senigallia, agli esponenti e protagonisti del territorio diocesano. L’ospite che ci ha raggiunti in studio è don Paolo Vagni, responsabile della pastorale giovanile e vocazionale di Senigallia ma anche a livello regionale. Con lui abbiamo fatto una panoramica di quelle che sono le attività rivolte ai giovani, quali sono i motivi di fondo e quali i prossimi appuntamenti.
Vi ricordiamo che le tre interviste settimanali vanno in onda il lunedì, mercoledì e venerdì alle ore 13:10 e poi alle 20, con replica il giorno successivo agli stessi orari, e infine la domenica a partire dalle ore 16:50. Dove? Su Radio Duomo Senigallia/In Blu, ovviamente, sui 95.2 FM. Buon ascolto a chi accenderà la radio o cliccherà il tasto play del lettore multimediale mentre auguriamo buona lettura a chi preferisce invece questo strumento.
Intanto spieghiamo cos’è la pastorale. E’ un servizio, più che un ufficio, nato a metà anni ‘90, che si rivolge ai giovani ma anche a chi fa formazione e a chi si occupa di loro nelle parrocchie. Io coordino le attività sia a livello diocesano che regionale. Noi siamo di aiuto anche per le realtà più piccole o con meno persone a disposizione.
Facciamo qualche esempio di attività e proposte fatte. Tutte quelle attività che vengono fatte nelle parrocchie ma anche quelle più importanti che interessano tutta la diocesi. L’obiettivo è sempre quello di coinvolgere i giovani: un esempio potrebbe essere Destate la Festa, una proposta aperta a tutti per costruire qualcosa per la città partendo dal messaggio di pace di papa Francesco. Ma poi si cerca anche di andare sempre avanti a livello di qualità per approfondire il proprio cammino di fede ma anche quello di scoperta di sé e con gli altri, attraverso percorsi insieme, periodi di convivenza, anche vacanze insieme con momenti formativi. C’è poi tutto l’impegno per chi si occupa dei giovani con supporto, coordinamento di chi fa formazione.
Come vi ponete verso i giovani? Coinvolgerli non significa solo chiamarli durante gli eventi a fare volontariato o servizio perché sarebbe solo prosciugante e prima o poi viene lasciato lì; cerchiamo di andare oltre rendendo il percorso nutriente per i ragazzi stessi. Attraverso vari linguaggi e modalità, li accompagniamo a un livello maggiore di profondità sia nel rapporto con loro stessi che nel rapporto con Dio.
Cos’è il Punto Giovane? E’ un’esperienza di vita che dura un mese in un appartamento a Senigallia sopra la Casa della Gioventù. Studenti maggiorenni, universitari o anche lavoratori che convivono, fanno un’esperienza di qualità, profonda. Questa che si è formata è la 98esima comunità, il progetto va avanti da oltre 20 anni e viene ricordata come una bella esperienza.
Perché la convivenza? Perché la formazione si fa nell’ordinario, nella vita quotidiana, non facendo cose straordinarie. L’evento di formazione dura un solo giorno, mentre qui si viene accompagnati da chi è più avanti nel percorso, un po’ come nella vita monastica, una sorta di “tirocinio” se volessimo usare un termine moderno. Mentre si vive insieme, ci sono dei momenti di formazione, la messa, l’ascolto della parola del Vangelo e poi il confronto con gli altri conviventi, in modo da avere uno sguardo più profondo.
Parliamo delle altre attività Ci sono anche convivenze in Seminario che riguardano le classi di scuola superiore. Prima del covid ne avevamo oltre 15 all’anno, durante i mesi invernali, oggi ripartiamo con cinque o sei ma siamo ripartiti. E’ un’esperienza più semplice, se vogliamo, del Punto Giovane ma tarata sull’esperienza dei ragazzi. L’anno scorso c’è stata la richiesta di poter aderire a questo progetto da parte di una classe che aveva perso una compagna di scuola, per poter gestire un momento così delicato e unire il gruppo classe.
C’è l’esigenza di questi momenti formativi? Viviamo in tempi di povertà interiore. Non parlo solo di partecipazione alla messa, sarebbe troppo riduttivo: intendo quella difficoltà a relazionarsi col passato, le famiglie da cui provengono; a relazionarsi col futuro in un momento di benessere diffuso, con tante opportunità di studio o lavorative; a relazionarsi col presente, con se stessi, le proprie ferite, le proprie difficoltà, ad accettarsi. Si va avanti spesso senza affrontare i propri dolori ma anestetizzandosi.
Di fondo c’è un’incapacità di gestire le proprie emozioni, le relazioni, di orientarsi? Ci sono domande grosse che mettono in crisi un po’ tutti: cosa farò, qual è la mia strada, gli affetti. Oggi le emozioni spaventano tantissimo e noi cerchiamo di imparare assieme a loro a dare dei nomi a dei luoghi del cuore che facciamo fatica ad abitare, che ci fanno paura.
Guardiamo al futuro: che iniziative verranno messe in campo nei prossimi mesi? Le esperienze del cammino annuale si ripetono, quindi Destate la Festa ad agosto sul tema della pace e dell’intelligenza artificiale; poi a settembre ci sarà invece il pellegrinaggio a piedi per la diocesi di Senigallia, un’esperienza pluriennale che è stata lanciata nel 2006, ripetuta nel 2010, 2015, dovevamo farla nel 2020 ma è saltata causa covid e quest’anno la riproponiamo. Un gruppo di giovani camminerà in giro per la diocesi, a piedi, andando a conoscere sia la terra, le zone, le parrocchie, sia quei luoghi e quei volti significativi per la nostra storia e per la fede, come Enrico Medi, per esempio. Il tema sarà l’esodo, inteso come raggiungimento della salvezza in quella terra promessa che è la nostra vita, liberandoci dalla schiavitù interiore per vivere appieno la nostra vita. In tutte le serate ci saranno dei momenti da vivere insieme, non solo messe o preghiere ma anche spettacoli e altre iniziative. I pellegrini saranno accolti dalle famiglie delle varie parrocchie e sarà una bella esperienza, una piccola missione.
Ma i giovani sono ancora presenti nella vita della Chiesa? Si ma spesso rischiamo, non solo a livello di società civile ma anche ecclesiastica, di usare i giovani, di considerarli solo come persone che possono fare qualcosa. Io, ma non sono il solo, vorrei invece portare avanti un cambio di paradigma in cui possano ricevere nutrimento da quelle attività che portano avanti, senza sentirsi usati. Non sono a servizio nostro ma siamo noi adulti a servizio loro. Se provano esperienze profonde, belle, significative per loro stessi, poi desidereranno mettersi a loro volta a servizio degli altri.
Esiste il diritto di celebrare in pubblico, almeno una volta all’anno, il proprio credo religioso? Esiste il diritto di occupare pacificamente le strade del centro storico per una processione, almeno il Venerdì santo, uno dei giorni più importanti per i cristiani? Ci si può aspettare quel rispetto mimino di convivenza civile che cerca di far convivere esigenze diverse?
Verrebbe da rispondere ‘sì’ a tutte e tre le domande. Ma pare non sia così. Che siamo in una società scristianizzata è un dato di fatto, può dispiacere ad alcuni ma ognuno, della sua coscienza, decide come meglio crede. Anzi, i fondamentalismi di ogni colore fanno male a tutti.
Qui stiamo parlando d’altro. Di rispetto ed educazione civica. Di ristoranti, bar e locali nei quali non si ha nemmeno lo scrupolo di abbassare voci e suoni, giusto il tempo del breve passaggio del corteo religioso. La città della movida non molla un minuto, guai a disturbare i tavolini – praticamente posizionati ovunque, ogni dieci metri – e relativi avventori. Non viene nemmeno in mente di sospendere per un attimo il chiasso di sempre. Un folto gruppo di adolescenti incrocia la folla, nemmeno la curiosità di girare la testa per vedere cosa succede, chi sono questi soggetti che ancora tengono in vita queste strambe usanze. Sono piccoli segnali di spaventosa indifferenza. Non c’è quasi più niente che incuriosisce o suscita domande.
Peggio è andata nella vicina Fano: la messa solenne di Pasqua accompagnata dal coro polifonico con il sottofondo di un incalzante dj set. Questa la spiazzante esperienza vissuta nel tardo pomeriggio di domenica da quanti hanno partecipato alla celebrazione pasquale nella basilica di San Paterniano. Mal comune, mezza tristezza. Perché se è vero che il mondo cambia in fretta, vale la pena chiedersi chi e cosa, in questo vorticoso cambiamento, sarebbe bene custodire e nutrire ancora.
Venerdì 24 novembre, presso il palazzetto Baviera, il Servizio diocesano per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili ha organizzato un incontro aperto alla cittadinanza con Anna Deodato(nella fotografia) della diocesi di Milano, autrice del libro “Vorrei rinascere dalle mie ferite”, titolo della stessa serata. La relatrice, dopo una breve introduzione, ha presentato alcune testimonianze di vittime di abusi dove non si narrano fatti, non si descrivono circostanze, bensì si evidenziano reazioni emotive, dinamiche interne, conseguenze traumatiche e relazionali. Sono stati momenti molto toccanti che hanno coinvolto tutti i presenti, calati in un profondo silenzio. Come ha concluso il vescovo Manenti, dopo aver ascoltato tanto dolore e tanta sofferenza non ci sono considerazioni e commenti, occorre un tempo di riflessione e di sedimentazione. L’abuso di potere, l’abuso di fiducia, l’abuso spirituale, sino ad arrivare all’abuso sessuale, non sono fasi teoriche, bensì tappe di storie di vita, di cui essere consapevoli come comunità cristiana ed avere il coraggio di agire, di interrompere, di curare. Il silenzio omertoso ha avuto la meglio per troppo tempo nella Chiesa: è il tempo della verità, della libertà, della purificazione comunitaria.
Il Servizio diocesano di tutela dei minori e delle persone vulnerabili, attivo a Senigallia da un anno, con un numero di telefono 3534494319 e un indirizzo di posta elettronica tutelaminori@diocesisenigallia.it, oltre a gestire uno sportello di ascolto, organizza percorsi di sensibilizzazione e di formazione offerti a famiglie, parrocchie, associazioni e movimenti diocesani. La prevenzione è la via maestra per vincere l’indifferenza e l’omertà, la formazione lo strumento irrinunciabile per leggere le situazioni, per accompagnare ogni percorso educativo, per riconoscere rischi e ferite.
Servizio diocesano per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these cookies, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may have an effect on your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.