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Tag: migranti

I migranti residenti nelle Marche in pellegrinaggio a Loreto

La Delegazione Pontificia è lieta di informare che domenica 10 novembre 2024 si rinnova l’annuale appuntamento con il pellegrinaggio dei migranti, proposto dalla Conferenza Episcopale Marchigiana e dalla Commissione regionale Migrantes.

“Quando il 21 settembre 1950 la statua della Madonna di Loreto, benedetta in Vaticano da Papa Pio XII, giunse in Belgio tra i migrati italiani” –   ricorda l’Arcivescovo di Loreto Mons. Fabio Dal Cin – “venne accolta dai nostri connazionali come la ‘Patrona degli emigrati’. Nel 2020 Papa Francesco ha inserito nelle litanie Lauretane l’invocazione di Maria “Conforto dei migranti”. Dove c’è la Madre ci si sente a casa, capiti e compresi nelle più profonde aspirazioni. Nel pellegrinaggio che anche quest’anno si rinnova, i migranti presenti sul nostro territorio giungeranno alla Santa Casa di Maria portando nel cuore i loro desideri di dignità, di pane e di pace. E nella Casa di Maria dove Dio è venuto a chiedere ospitalità agli uomini, ravviveranno la loro speranza e fiducia nel Signore, riconoscendo il suo volto anche nei gesti di bontà che hanno ricevuto e continuano a ricevere nel loro pellegrinaggio migratorio.”

Alle ore 11.00 ci sarà un momento di preghiera personale e la presentazione dei gruppi etnici presenti. Alle ore 11.30 ci sarà la celebrazione Eucaristica animata dai gruppi e presieduta dall’Arcivescovo. Seguirà la festa conviviale nei locali del Santuario.

Diletta D’Agostini

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Rapporto immigrazione 2024: «cittadini stranieri in aumento, occasione per parlare di accoglienza e cittadinanza» – L’INTERVISTA

Recentemente è stato presentato il rapporto immigrazione di Caritas e fondazione Migrantes. Un documento in cui si fotografa la situazione in Italia legata al fenomeno migratorio, fornendo dati e fonti. Di tutto questo abbiamo parlato con don Paolo Gasperini, sacerdote della diocesi di Senigallia e referente locale per la fondazione Migrantes. Quest’ultima è un organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana che si occupa proprio di far conoscere il fenomeno delle migrazioni, stimolare riflessioni nella società civile e promuovere comportamenti di accoglienza. L’intervista è in onda venerdì 18 ottobre e sabato 19 alle ore 13:10 e alle ore 20, mentre domenica 20 lo sarà a aprtire dalle 16:50 la terza di tre interviste consecutive. Qui è presente l’audio integrale e un estratto del testo.

Partiamo intanto da ciò che c’è scritto nel report.
Tutti gli anni verso la fine dell’anno la Caritas italiana insieme alla Fondazione Migrantes, che è l’organismo che si occupa delle immigrazioni all’interno della Chiesa, presentano un rapporto immigrazione per l’anno, mettendo in evidenza la tendenza, quello che sta succedendo. È una fotografia, non si danno giudizi di valore ma sono dei numeri che però aiutano a leggere la situazione e questo è molto importante perché a volte noi abbiamo una precomprensione che non parte dai numeri reali o dalle situazioni reali, ma da una nostra idea che non sempre corrisponde alla realtà. 

Quali sono le tendenze?
I cittadini stranieri, parliamo di cittadini stranieri residenti in Italia, quindi che non hanno cittadinanza italiana, ma sono residenti, in parte hanno anche la cittadinanza, in tutta Italia sono circa il 9%, da noi nel nostro territorio sono un po’ di meno, circa il 6,5%, ma anche questa distribuzione è disomogenea in tutta Italia, sono più presenti al nord e molto meno presenti al sud. Sono leggermente in aumento, per esempio lo scorso anno sono aumentati di circa 3%, parliamo di circa 200 mila persone in più. Se teniamo conto che la tendenza della popolazione in Italia tende sempre a diminuire, ci rendiamo già immediatamente conto come di fatto i cittadini stranieri, residenti in Italia, garantiscono anche il mantenimento di certi servizi. I principali paesi di provenienza sono in Italia, ma questo lo si rispecchia anche un po’ nella nostra zona, la Romania, il Marocco, l’Albania, l’Ucraina, la Cina, l’Egitto, l’India, il Bangladesh, le Filippine, con percentuali diverse. 

E per quanto riguarda il lavoro di queste persone?
Aumenta anche il tasso di occupazione dei cittadini stranieri residenti in Italia, con nuove assunzioni che tutti gli anni aumentano di qualche punto percentuale. Dall’anno scorso sono aumentate circa il 4%, sono 2 milioni di assunzioni in più di fatto, molti nella cura dei lavori domestici, un 10%, molti negli alberghi e nei lavori stagionali, anche nell’agricoltura e anche nelle costruzioni. Un dato molto interessante è la presenza dei giovani. 

Che ripercussioni sull’aspetto religioso?
Anche l’appartenenza religiosa è un dato interessante, perché abbiamo una percezione molto forte dei musulmani, ma in realtà la maggior parte delle persone sono cristiane, in maggioranza è di religione ortodossa, ma i cristiani sono più del 50%, in percentuale i musulmani sono di più degli ortodossi, sono quasi il 30%, però i cristiani sono il 50% e questo ci dà anche come chiesa un’indicazione su come intervenire, noi pensiamo sempre a un dialogo interreligioso, c’è anche un dialogo tra le confessioni cristiane e un’accoglienza dei cattolici stessi che sono quasi il 20% di tutte le persone immigrate. 

Come fotografia in sé il report dà delle indicazioni molto importanti al mondo politico, ma le politiche poi vengono calibrate su questo report? 
Di fatto no, non c’è un ascolto, pensate che quando si fanno questi report si attingono a tutte le fonti che ci sono, ai dati… Però pensiamo all’aspetto dell’integrazione, se ne parla pochissimo, perché si è molto più sbilanciati sul discorso sicurezza, sul discorso lavoro, ma altri aspetti si considerano abbastanza poco. Si parla molto della prima accoglienza, sembra che sia la parte più consistente del fenomeno migratorio, ma in realtà rispetto ai numeri dei migranti già presenti in Italia che sono più di 5 milioni, capiamo che il fenomeno va considerato in un contesto molto più ampio, purtroppo siamo sempre presi dall’emergenza e l’emergenza non ti aiuta a progettare. 

Diciamo più che è un fenomeno ormai cronico? 
È strutturale, di fatto anche c’è un forte bisogno di lavoro, anche biecamente se vogliamo guardare l’interesse proprio, l’Italia ha bisogno di lavoratori, perché certi lavori non li fa più nessuno, pensiamo appunto al lavoro della cura delle persone e chi lo fa? Un lavoro che è andato in espansione enorme, ma che le persone italiane per tanti motivi non lo fanno o non sono in grado di farla, perché non possono stare 24 ore al giorno a casa di altri, lavori stagionali, chi fa lavori stagionali? A volte anche con una paga abbastanza bassa e non lo fa nessuno, ma abbiamo visto anche tutta la questione del turismo, molti si lamentano che non trovano persone a lavorare a livello stagionale, però concretamente le condizioni sono abbastanza faticose e quindi non tutti sono disposti ad accettare questi lavori, quindi la situazione è certo complessa, ma a volte con una scusa complessità non si affrontano neanche le cose che si potrebbero affrontare. 

Per quanto riguarda il tema della cittadinanza, cosa ci puoi dire?
Quest’anno sono state 200 mila le persone che hanno avuto la cittadinanza italiana, perché dopo 10 anni di residenza provata, il lavoro etc., di fatto ci sono persone che nascono in Italia, parlano i nostri dialetti, crescono come i ragazzi, ma hanno aspettato la maggiore età per fare domanda di cittadinanza, ma sono italiani a tutti i effetti. Tra l’altro la poca integrazione, cosa comporta? Comporta la ghettizzazione, ora ci sono, bisogna dire molto onestamente, persone provenienti da paesi che non hanno molto desiderio di integrazione, altri invece ce l’hanno molto, e a volte questo gli viene un po’ precluso, perché comunque tu non sei cittadino italiano fino alla maggiore età: si fa tutto con i cittadini italiani però non si è cittadini italiani. Io penso che lo strumento della cittadinanza non è risolutivo, ma è lo strumento che aiuta le persone a anche integrarsi, mi sento parte fino in fondo di questo paese, non sono un ospite, non devo aspettare la maggiore età, poi sappiamo quanto si anticipa anche la consapevolezza da parte dei ragazzi, un ragazzino di 13, 14, 15 anni che fa tutte le cose che fanno gli altri ragazzi, che è nato in Italia, che è stato a scuola sempre con tutti, non è cittadino italiano, devo aspettare la maggiore età e questo diventa un motivo anche di discriminazione.

Conoscere questo report potrebbe essere utile anche a tutti noi per abbattere alcune barriere? 
Penso di sì, perché quando conosci i numeri ti rendi conto di quelli che sono i fenomeni reali, si può fare una battuta, questo gran cancan di questi centri in Albania: di fatto sono arrivati in 16 in questa fase, quindi quando la realtà è superiore all’idea o all’ideologia, la realtà è molto più immediata, tant’è che nella presentazione del report, il Paese reale è molto più avanti delle idee politiche che uno può avere, perché la realtà precede sempre l’idea e va sempre avanti, è sempre più concreta, è sempre più reale, è sempre più autentica, purtroppo manca questo ascolto alla realtà e ci si fida di qualche giudizio, di qualche opinione non correlata ai fatti. Qui il report ti dà i dati, le fonti, altri fanno delle sparate che sono fondate sul nulla, o su un’idea che tu hai, ma che non corrisponde alla realtà.

Per approfondimenti: il rapporto 2024 “Popoli in cammino”.

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Migrazioni: viaggio nella rotta balcanica. L’accoglienza che non ti aspetti (in Italia)

Il "silos" a Trieste, dove si radunano centinaia di migranti che vivono in condizioni disumane
Il “silos” a Trieste, dove si radunano centinaia di migranti che vivono in condizioni disumane

E’ Laura Mandolini, giornalista e direttrice de La Voce Misena e Radio Duomo, l’ospite dell’ultima intervista realizzata per Venti Minuti da Leone. Di recente è stata in viaggio in alcuni paesi dell’est Europa attraverso i quali si snoda la cosiddetta “rotta balcanica”, uno dei lunghissimi percorsi che vedono passare ogni anno centinaia di migliaia di migranti. In alcuni punti sono assistiti da associazioni di volontariato che preparano cibo e posti letto per i migranti in fuga dai propri paesi in guerra o dalla povertà, in altri trovano dei centri di accoglienza più o meno attrezzati ma si trovano anche numerosi rifugi di fortuna, dove le condizioni igienico sanitarie ma anche umane sono vergognose. Uno di questi è a Trieste ma è proprio la nostra direttrice a raccontarcelo.

L’intervista sarà in onda oggi, venerdì 14 giugno, alle ore 13:10 e alle 20; domani – sabato 15 giugno – agli stessi orari e infine domenica 16 a partire dalle 17:15 sempre su Radio Duomo Senigallia/In Blu (95.2FM). Per ascoltarla qui basterà cliccare sul tasto play del lettore multimediale; chi vorrà potrà anche proseguire con la lettura.

Partiamo dalle basi: cos’è la rotta balcanica?
La rotta balcanica è quel percorso che viene fatto da migliaia di persone che emigrano da vari paesi per entrare nell’unione europea. Tocca Turchia, Bulgaria, Macedonia, Serbia, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Croazia e Italia per poi approdare nei vari paesi nel nord Europa, in particolare la Germania. Sono luoghi che pur essendo vicini fisicamente, sono in realtà molto lontani nell’immaginario collettivo. Al di là del mare Adriatico c’è la Croazia e oltre quella c’è un mondo che non conosciamo se non accade qualcosa di grave che si riverberi su di noi. Come un po’ per l’Africa.

Che viaggio hai fatto?
Assieme a due colleghi giornalisti, al delegato Caritas regionale e al direttore Caritas di Ancona e Osimo abbiamo fatto un viaggio nei luoghi in cui le Caritas di Montenegro e Serbia sono coinvolte nell’accoglienza e assistenza dei migranti. Il progetto Re-map ha portato l’anno scorso alcuni giovani delle diocesi a fare volontariato in un campo profughi in Bosnia Erzegovina dove si sono ritrovati assieme agli operatori Caritas locali. Da lì è nata una collaborazione con la Caritas delle Marche e soprattutto la volontà di raccontare la verità sulle migrazioni, senza strattonare il tema per fini politici, come nelle recenti elezioni europee. Il nostro compito era proprio quello di documentare per poi poter raccontare.

Chi percorre questa rotta balcanica?
Tantissimi sono quelli scappati dalla guerra in Siria, poi ci sono gli iraniani, gli afghani e le afghane che rischiano la propria vita per aver collaborato con i paesi occidentali prima dell’arrivo dei talebani. Ma si devono aggiungere anche coloro che arrivano coi barconi in Turchia e poi proseguono a piedi il loro viaggio dal Maghreb o da altri paesi dell’Africa, e infine anche coloro che fuggono da Ucraina e dalla Russia. C’è veramente tutto il mondo.

Uno dei centri di accoglienza gestiti dall'Unhcr per aiutare i migranti lungo la rotta balcanica
Uno dei centri di accoglienza gestiti dall’Unhcr per accogliere i migranti lungo la rotta balcanica

Lo scopo era quindi documentare e raccontare le migrazioni?
Sì ma anche e soprattutto le azioni che le Caritas di Serbia e Montenegro compiono a supporto dei migranti.

Che situazioni hai potuto toccare con mano?
Ho in mente due ragazzi, uno russo e uno ucraino, entrambi fuggiti dal proprio paese e arrivati nel Montenegro, entrambi vorrebbero vivere in pace, ma conoscono i governanti e sanno di avere poche prospettive. Uno sguardo davvero rassegnato sul loro destino.

Raccontaci cosa hai trovato in Italia
A tre metri dalla stazione centrale di Trieste c’è una struttura, un silos per i cereali dell’impero asburgico, ora abbandonato, dove i migranti trovano rifugio. Ma le condizioni sono disumane, è il posto in assoluto più brutto e degradante del nostro viaggio che non ci saremmo mai aspettati di trovare in Italia e in una società civile (FOTO in alto, Ndr). Topi, rifiuti, fango quando piove, vi lascio immaginare la situazione che si può creare. Solitamente ci rimangono due o tre mesi. Alcuni volontari la sera allestiscono una mensa per un pasto caldo, per un po’ d’acqua. C’è un’associazione, Linea d’Ombra, avviata da una signora di 82 anni e da suo marito che si occupa persino di fare il massaggio ai piedi di queste persone che camminano per chilometri. Il 7 luglio arriverà il papa a Trieste per la settimana dei cattolici italiani e si pensa che verrà ripulito tutto. Speriamo che venga chiuso del tutto, anche perché la Caritas di Trieste sta predisponendo centinaia di posti letto per un’accoglienza dignitosa.

Quando e dove racconterete ciò che avete visto tu e gli altri due giornalisti?
Inizieremo il prossimo 17 giugno a Filottrano (Ancona) con i giovani che hanno preso parte a quel progetto di cui sopra e poi toccheremo varie località delle Marche per raccontare un fenomeno che ha necessità di verità e dati. Incontreremo anche le prefetture, ma non solo per promuovere esperienze e percorsi e parlare così di migrazioni senza strumentalizzazioni.

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Migrazioni, accoglienza, pace, welfare e partecipazione: abitare i confini, senza paura

Migrazioni, profughi, rifugiati

«Sui giornali si canta vittoria per il “Patto europeo su migrazione e asilo”, ma sappiamo che c’è ancora molto da fare. Non basta pagare gli Stati per fare solidarietà. È la stessa cosa che sta facendo il governo italiano, che paga l’Albania per portare lì i migranti. Noi fin da subito abbiamo detto che non condividiamo questa scelta». Lo ha affermato don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana, nel suo intervento di chiusura al 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane che si è svolto qualche settimana fa a Grado, in provincia di Gorizia. Vi hanno preso parte 613 delegati, tra cui 138 giovani, in rappresentanza di 182 diocesi e tra queste anche Senigallia. In vista del Giubileo 2025 si è deciso di organizzare i convegni nazionali ogni due anni, alternati agli incontri a livello di delegazioni regionali, per dare spazio alle Caritas a livello locale. Il direttore di Caritas italiana ha poi annunciato una iniziativa che sarà lanciata durante il Giubileo: un progetto di microcredito sociale per persone indebitate e famiglie, in collaborazione con le Fondazioni antiusura, con una colletta nazionale che durerà tutto l’anno. Il tema di fondo approfondito e declinato durante il convegno è stato “Confini, zone di contatto e non di separazione”. Non a caso si è svolto tra Grado, Gorizia e Nova Gorica, terra di frontiera tra Italia e Slovenia. 

Con quali nuove consapevolezze tornano a casa i delegati Caritas?
Torniamo a casa con diverse consapevolezze: la prima è abitare il confine come luogo di incontro e contatto e difesa dei diritti delle persone che incontriamo, per far crescere la convivialità delle differenze e i propri confini. I confini ci aiutano a ridisegnare la nostra identità e non disperdere le energie. Poi c’è il tema importante del coinvolgimento della comunità, ossia non fare da soli ma agire insieme ad altri pezzi di Chiesa. Non lasciarsi confinare a chi ci vuole bravi uomini e donne, delegando a noi i servizi. Non lasciarci confinare in un servizio che rischia anche di farci sentire strumentalizzati. Dobbiamo avere il coraggio di sconfinare. La seconda grande consapevolezza è quella di voler essere “partigiani”, nel senso di “prendere parte”, fare insieme, sporcarci un po’ più le malti con la politica: non nel senso di scegliere partiti o una ‘chiamata alle armi’ ma dare maggiore valore politico a ciò che facciamo. Il mio invito alle Caritas è “essere partigiani”, ossia fare la propria parte, conoscere il manifesto di Caritas Europa con le cinque priorità.

Quali sono oggi i vostri temi e azioni prioritarie?
Azioni fondamentali sono oggi per noi la difesa della legge 185/90 sul commercio delle armi, che rischia di essere smantellata. Siamo tra quelli che l’hanno promossa. Difenderla rilancia la nostra identità. Oggi dobbiamo fare di tutto per dire no alla produzione di armi. Dobbiamo cominciare a costruire pace in assenza di guerre e conflitti. Se si usano le armi vuol dire che qualcosa non ha funzionato prima. Nel distretto di Brescia, ad esempio, c’è una grossa produzione di armi, che crea un indotto lavorativo. Se dico no alla produzione di armi devo pensare a proporre posti di lavoro alternativi, altrimenti rischiamo di essere percepiti come sognatori che non cambiano il corso delle cose. Oggi il più grande peccato che possiamo fare è il silenzio, è tacere. Siamo poi chiamati ad accogliere chi è diverso. Quando operiamo in emergenza non siamo i salvatori del mondo ma ci mettiamo accanto alle Chiese e, nel rispetto degli altri proviamo a fare la nostra parte. È giusto accogliere, è giusto salvare in mare, ma a noi tocca anche fare cultura, animare la comunità. II nostro vero compito come Caritas in Italia, aldilà delle opere segno, è l’animazione della comunità, tornare a formare la comunità, la nostra funzione pedagogica.

In Italia la povertà aumenta e si rischia uno smantellamento del welfare. Qual è il vostro avvertimento?
Se perdiamo il sistema sanitario pubblico e il diritto alla salute ci sarà un’altra povertà, oltre alla povertà reale e a quella educati, al tema dei working poor e del precariato. Mi preoccupa anche la povertà della delega perché oggi non c’è più interesse nei confronti del bene comune, delle situazioni delle nostre città e luoghi. Il disinteresse è talmente alto che nemmeno andiamo più a votare. Vuol dire che ci stiamo rassegnando al fatto che le cose non possono cambiare. Perciò dobbiamo custodire e innovare la cultura. 

La Camera dei deputati ha approvato il ddl politiche sociali e terzo settore, che semplifica procedure gravose per le realtà sociali più piccole. Che ne pensa la Caritas? 
C’è soddisfazione per l’approvazione. È il riconoscimento del lavoro di mediazione del Terzo settore come soggetto credibile e competente. Questo potrà permettere di accompagnare di più i poveri nell’inclusione e per riacquistare dignità. 

L’Europa ha approvato il patto sulle migrazioni e l’asilo ma Caritas Europa e Migrantes hanno espresso molte perplessità. Come guardare al fenomeno delle migrazioni? 
È importante saper guardare alle migrazioni come risorsa. Ricordiamo che una delle più grandi povertà in Italia è la denatalità, per cui abbiamo bisogno di fratelli e sorelle che vengano ad abitare sul nostro territorio, sviluppando modi legali per fare arrivare le persone in sicurezza, come i corridoi umanitari. Ad esempio, sarebbe bello portare in Italia persone che già sanno parlare l’italiano, per facilitare l’integrazione. E poi ricordiamo che c’è un diritto a partire ma anche un diritto a restare, per cui è importante rilanciare la cooperazione internazionale.

Questo articolo è stato pubblicato
nel numero cartaceo di maggio
de La Voce Misena

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A Montemarciano accolti sei giovani migranti salvati dalla Ocean Viking nel Mediterraneo

Migrazioni, profughi, rifugiati

Tra i 32 minori non accompagnati sbarcati al porto di Ancona lo scorso 18 marzo, sei sono stati affidati alla fondazione Caritas Senigallia, come disposto dalla Prefettura di Ancona. Ora sono accolti in una struttura, il centro di accoglienza straordinario a Montemarciano (Ancona) dove la fondazione senigalliese ha già accolto altri ospiti minorenni.

«Siamo stati contattati dalla Prefettura – ha spiegato il presidente della fondazione Caritas Senigallia Giovanni Bomprezzi – per dare una mano nell’accoglienza dei giovani migranti. I nostri operatori si sono resi subito disponibili per essere presenti e collaborare durante lo sbarco ad Ancona».

Sono sei ragazzi provenienti dalla Siria, hanno un’età compresa tra i 14 e i 17 anni, e sono stati salvati dalla nave umanitaria Ocean Viking della ong europea Sos Mediterranée in due distinte operazioni tra il 13 e il 14 marzo scorsi. Oltre al gruppo di 32 minori non accompagnati, sulla nave erano presenti anche altri 21 minori assieme alle loro famiglie. Gli adulti in totale erano 283 (31 donne e 252 uomini) provenienti anche da Pakistan, Egitto e Mali.

Ai sei ospiti di Montemarciano sono stati consegnati i kit di accoglienza. «Ancora non si sono aperti con i nostri operatori – spiega ancora Bomprezzi – ma è presto, sono appena arrivati e quindi abbiamo poche informazioni, ma sono contenti di essere rimasti insieme tutti e sei della stessa nazionalità». Non è stata ancora specificata la durata dell’accoglienza a Montemarciano, che può variare da pochi giorni ad alcuni mesi in base alle indicazioni della Prefettura dorica.

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Cas migranti: siglato un protocollo d’intesa tra Prefettura e Comune di Serra de’ Conti

L'ex hotel de' Conti in via Santa Lucia a Serra de' Conti potrebbe trasformarsi in un centro di accoglienza straordinario per migranti
L’ex hotel de’ Conti in via Santa Lucia a Serra de’ Conti

Buone notizie per Serra de’ Conti, dove la questione migranti era entrata forzatamente nel dibattito cittadino. Da tempo infatti si parla del Cas – centro di accoglienza straordinario – che dovrà sorgere al posto dell’ex hotel De’ Conti, lungo via Santa Lucia. Una questione che aveva fatto subito rimanere perplessi molti cittadini per via del numero di persone straniere, tra 50 e 100, da integrare in una popolazione di appena 3.550 abitanti. Da qui la nascita di un apposito gruppo, il comitato 13 Marzo, che da mesi monitora la vicenda.

Ma il comitato è andato oltre, sollecitando la Prefettura dorica con risposte che prima non erano arrivate da altre parti. E così ha elaborato un protocollo d’intesa che è stato siglato nei giorni scorsi, il 23 febbraio 2024 per la precisione, dal nuovo prefetto Saverio Ordine e dalla sindaca serrana Letizia Perticaroli.

Il protocollo d’intesa è finalizzato a concordare e specificare gli aspetti concernenti l’accoglienza dei migranti nel CAS a Serra de’ Conti. «Il documento – si legge in una nota stampa – si pone l’obiettivo di procedimentalizzare alcune attività relative all’accoglienza, in via prioritaria di nuclei familiari, anche monoparentali, e di richiedenti protezione internazionale in generale, al fine di garantire un più agevole inserimento degli ospiti della struttura nel tessuto sociale del Comune. In particolare, il protocollo si propone di garantire servizi specifici concernenti i minori stranieri non accompagnati».

Tra i compiti, la Prefettura di Ancona si impegnerà a sensibilizzare le forze dell’ordine per prevenire e risolvere problematiche eventualmente insorte nel territorio e ad effettuare periodici controlli sulla struttura; contemporaneamente ci sarà l’impegno da parte dell’amministrazione comunale nella mobilitazione di una rete di volontari e cittadini. Lo scopo sarà quello di facilitare i percorsi di autonomia anche lavorativa e di inserimento dei richiedenti asilo nella comunità. A QUESTO LINK, il testo dell’accordo.

Soddisfazione è stata espressa dunque dal comitato 13 Marzo che rimarca la vicinanza della prefettura ma anche l’immobilismo del primo cittadino. L’organizzazione che oggi conta oltre 750 aderenti, è nata non per ostacolare l’arrivo di migranti nel territorio, come disposto dalle autorità governative, ma per riequilibrare la presenza di richiedenti asilo in base alla popolazione locale, così da non turbare la comunità e agevolarne l’inserimento.

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Superare i pregiudizi su migranti e accoglienza: il progetto della Caritas Senigallia

Da qualche anno Caritas Senigallia condivide con studenti e studentesse delle classi quinte del liceo Perticari, del liceo Medi e dell’istituto alberghiero Panzini un progetto dal titolo “Migrazioni e accoglienza: cosa ne SAI?”. Un progetto importante perché riesce a scardinare stereotipi e falsi miti sui migranti e a dare informazioni più precise sul complesso fenomeno delle migrazioni, entrando nel vivo del sistema di accoglienza in Italia, in particolare quello del SAI, Sistema Accoglienza Integrazione, che per Senigallia e Ambito Territoriale 8 è gestito appunto da Fondazione Caritas Senigallia.

Mercoledì mattina la classe V A Li del Medi, grazie alle specifiche competenze linguistiche, ha potuto ascoltare la storia diretta di S.S., un nostro beneficiario, in lingua inglese. S.S., che ora vive in Italia insieme alla moglie e due figlie, era un docente universitario in Pakistan ed è dovuto scappare dal suo Paese perché discriminato a livello politico e religioso: è fuggito per riuscire a costruire un futuro per sé e la propria famiglia, attraverso un viaggio drammatico attraverso la rotta balcanica, lasciandosi alle spalle un passato che non vuole ricordare perché adesso è il momento di ricominciare, di superare la “stagione della disperazione” e intraprendere “la stagione della primavera”. S.S. ha ottenuto lo status di rifugiato politico e il conseguente permesso di soggiorno della durata di cinque anni.

Sentire dal vivo le parole sincere ed emozionate di chi ha vissuto violenze, momenti di profondo sconforto e la fuga dal proprio Paese ha un impatto fortissimo su ragazzi e ragazze, che mettono in gioco la loro sensibilità, spesso oscurata dal bombardamento di notizie ripetitive ed allarmistiche. Il percorso che gli operatori del SAI propongono alle classi quinte cerca di sviluppare il senso critico e la capacità di discernere le azioni dell’accoglienza, durante tre incontri: il primo è dedicato alla decostruzione di stereotipi e pregiudizi legati alle migrazioni forzate e alla comunicazione delle stesse, insieme a due operatori dell’accoglienza e a Chiara Michelon, ufficio stampa Caritas Senigallia; il secondo, insieme a due operatori e all’avvocato Lorenzo Pirani, operatore legale per il SAI Senigallia e Ambito, entra nel vivo del sistema di accoglienza dal punto di vista giuridico e si addentra nel tema delle forme di protezione; infine il terzo incontro vede un beneficiario o una beneficiaria del progetto SAI territoriale, richiedente asilo o rifugiato, dialogare con la classe e raccontare apertamente il suo passato. I tre momenti cercano di promuovere anche un orientamento universitario e lavorativo nell’ambito socio-educativo e di descrivere le svariate figure che si impegnano nelle équipe multidisciplinari dei progetti di accoglienza.

Il SAI è un sistema di accoglienza integrata nazionale che a livello territoriale viene gestito da realtà del terzo settore (nel nostro caso Fondazione Caritas Senigallia per il Comune di Senigallia e l’Ambito territoriale 8). Il progetto SAI comprende misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento ai beneficiari, finalizzate all’accesso garantito ai servizi del territorio e alla costruzione di percorsi individuali di riconquista dell’autonomia e inserimento socioeconomico. Nei due progetti SAI ordinari adulti sono accolti principalmente nuclei familiari titolari di protezione internazionale e richiedenti asilo: uno può accogliere un massimo di 70 persone, l’altro fino a 40. I beneficiari attualmente (dati al 14.2.2024) sono 74 e provengono da Pakistan, Iran, Siria, Gabon, Iraq, Bangladesh, Afghanistan, Ucraina, Macedonia, Georgia, Benin, Costa d’Avorio, Camerun e Burkina Faso.

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Inclusiva e gratuita: alla scuola Penny Wirton di Senigallia si dà spazio alla crescita della società

Dal 2019 esiste a Senigallia una scuola di italiano per persone straniere. Fin qui nulla di strano. La particolarità, oltre a essere gratuita e accessibile a tutti e a tutte, è che ha tanti/e insegnanti quanti studenti e studentesse: basa infatti il proprio metodo di apprendimento sul rapporto 1 a 1 e quindi sulla relazione interpersonale che si crea tra l’uno e l’altra che siedono fianco a fianco e non solo ai lati opposti del tavolo.

E’ la scuola Penny Wirton, il cui nome deriva dal romanzo per ragazzi “Penny Wirton e sua madre”, scritto nel 1948 da Silvio D’Arzo e pubblicato postumo circa 30 anni dopo. L’idea è di uno scrittore ed insegnante, Eraldo Affinati, e di sua moglie Anna Luce Lenzi, che hanno avviato un metodo d’insegnamento da cui sono nate ormai più di 60 filiali in tutta Italia. Tra cui anche quella senigalliese: oggi può contare 35 studentesse e studenti, provenienti da quasi ogni parte del mondo, e ovviamente 35 volontari.

Persone che investono il loro tempo libero nella crescita sociale e professionale di altri soggetti che non conoscono ma che imparano a conoscere lezione dopo lezione. «Abbiamo cominciato nel febbraio 2019 – racconta Valentina…

Continua a leggere nell’edizione digitale di giovedì 21 dicembre 2023, cliccando qui.
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Pietro Bartolo a Senigallia. Da Lampedusa al Parlamento europeo per un mondo più giusto

Il medico di Lampedusa parla a tutti. Pietro Bartolo è un fiume in piena, ipnotizza con il suo racconto a cuore aperto, alterna le lacrime di chi nella sua isola ha visto troppi morti – con tanto di record di ispezioni cadaveriche – all’indignazione del non riuscire a riconciliarsi con la cinica indifferenza dei nostri giorni, quella che considera un dato normale la continua strage di vite migranti, nel Mediterraneo come in altri confini del nostro continente.

Accolto dalla Scuola di pace ‘V. Buccelletti’ di Senigallia è riuscito ancora una volta a richiamare tantissime persone, a dispetto di una progressiva stanchezza dell’ opinione pubblica ad interessarsi di così tanti drammi contemporanei. Ci riesce perché è credibile, perché parla chiaro e paga di persona la sua coerenza. Dal piccolo, ultimo lembo d’Italia dove è nato, fino al cuore dell’Europa comunitaria nel suo impegno di parlamentare europeo, il suo instancabile grido è ritornare ad essere umani. Solo così riesce a reggere le ‘cose terrificanti’ di cui è stato testimone a Lampedusa come nelle foreste tra Croazia e Bosnia Erzegovina. Solo impegnandosi ogni giorno ed in ogni modo per una convivenza più giusta e rispettosa di ogni vita si sente meno tormentato dal sogno ricorrente, quasi ogni notte, che gli ripropone l’immagine di un bambino morto tra le sue braccia. Uno dei tanti, uno dei dimenticati, uno della contabilità degli scartati, delle morti da migrazione.

Smonta una per una le bugie create ad arte per raccattare consensi e nutrire l’efficace tesoretto della paura: nessuna malattia infettiva è sbarcata sulle nostre coste, nessun ladrocinio di posti di lavoro, altrimenti come spiegare l’accorato appello degli imprenditori del Nord Italia per chiedere a gran voce la manodopera indispensabile per mandare avanti le loro aziende. 550mila lavoratori e lavoratrici potranno entrare in Italia, è scritto nell’ultimo ‘decreto flussi’ previsto dal governo nazionale e nessuno, stavolta, grida all’invasione. Quelle migliaia di disperati che approdano a Lampedusa, invece, mettono paura! “Eppure quanto abbiamo bisogno di vite nuove – dice Bartolo – per far funzionare meglio i nostri Paesi, visto che a queste latitudini di figli se ne fanno davvero pochi”. I demografi parlano chiaro e questi non sono di destra né di sinistra: i Paesi membri dell’Unione Europea avrebbero bisogno di 55 milioni di persone. Cinquantacinque milioni, una popolazione quasi come l’Italia intera, tanto servirebbe nel medio – lungo periodo per far funzionare i servizi, garantire le pensioni, tenere aperte le scuole, far girare l’economia.

Strano paese, il nostro. Non riusciamo a regolarizzare un fenomeno che ci interpella da oltre trent’anni, ma non scommettiamo sulla vita ‘autoctona’, culle sempre più vuote e invecchiamento galoppante. Vogliamo rimanere ai vertici dell’economia mondiale, ma siamo terrorizzati dall’idea di far entrare braccia utili per mandare avanti la baracca. Vogliamo deportare – sì, il verbo giusto è questo – in Albania chi vorrebbe vivere qui, in cambio di un ingresso molto più consistente in suolo patrio di centinaia di migliaia di albanesi. Loro sì – e ci mancherebbe – gli altri no.

Bartolo sovrappone continuamente i piani, dal ‘semplicemente umano’ al politico e viceversa. Perché sì la politica, sempre secondo l’onorevole medico, ‘è qualcosa di meraviglioso, è la possibilità che abbiamo di realizzare un mondo più bello, più ad altezza di donne e di uomini’. Trova il tempo anche per studiare ed approfondire i dossier, è il primo in quanto a presenze nell’emiciclo di Strasburgo, percorre tanti angoli d’Europa per incontrare e raccontare popoli molto più solidali ed aperti dei loro governanti, frequenta con disinvoltura i luoghi delle decisioni per proporre progetti, atti e visioni più degni della nostra storia migliore.

Rimangono pochi mesi dalla fine della legislatura parlamentare comunitaria e il dottor Bartolo ha un obiettivo: modificare i trattati interni che regolano le migrazioni, così che i flussi possano essere maggiormente distribuiti tra i Paesi membri: “Se riuscissimo a redistribuire almeno il 50% degli arrivi sarebbe un buon risultato”. Lui avrebbe puntato al 100%, ma sa che il realismo è una prerogativa preziosa di ogni politica sensata.

Scorrono le immagini del naufragio del 3 ottobre 2013. Morirono 368 persone, negli anni seguenti ne sarebbero morte ancora tante altre. “Perché abbiamo così paura di pronunciare la parola ‘amore’?”. Non si dà pace, Bartolo, ma non rinuncia alla speranza e sa rendere il desiderio di un’Europa diversa una nostalgia alla nostra portata.

Laura Mandolini

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Migranti e lavoro, sempre più povertà e netto divario con i “colleghi” italiani

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Foto di Marcelo Trujillo da Pixabay

Lavoro sempre più povero per i migranti che arrivano nelle Marche. La metà dei dipendenti stranieri non arriva a superare i 10mila euro a fine anno, ecco perché servono politiche di inclusione e occupazionali che permettano di colmare i divari con gli occupati italiani. 

È drammatica la situazione registrata durante la presentazione della 33° edizione del Dossier Statistico Immigrazione 2023, redatta a cura del Centro Studi e Ricerche Idos, con un focus di Vittorio Lannutti, Idos Marche, sulla situazione nella regione e l’approfondimento sulla situazione lavorativa dei migranti elaborato da IRES CGIL Marche su dati INPS.

A livello regionale tutti gli indicatori sono in linea con gli anni precedenti: la popolazione migrante rappresenta l’8,6% della popolazione marchigiana: la provincia di Fermo si colloca al primo posto con il 9,9, seguita da Macerata, Ancona, Pesaro – Urbino e Ascoli. In prevalenza si tratta di donne tra i 30 e i 44 anni. Su un totale di 127.294 residenti stranieri, 98.560 sono cittadini non comunitari, che richiedono il permesso di soggiorno principalmente per ricongiungimento familiare. Il 9.3% degli occupati sono stranieri, così come il 9.2% delle imprese regionali.

«Sebbene i dati elaborati dall’IRES Cgil Marche confermino la ripresa dell’occupazione dei lavoratori migranti dopo la pandemia, preoccupano le retribuzioni percepite – spiega Eleonora Fontana, segretaria Cgil Marche.  La maggior parte dei migranti  trova impiego  nel settore privato non agricolo, con qualifica operaia per l’86,7% dei casi e con retribuzioni medie annue inferiori  di quasi il 26% rispetto ai colleghi italiani dello stesso settore». 

Il 41,7% di lavoratori migranti dipendenti percepisce una retribuzione inferiore ai 10.000 euro lordi annui, ossia il numero di lavoratori poveri. Inoltre negli ultimi 10 anni si assiste a  una diminuzione significativa del 25,6% di lavoratori migranti nel settore domestico, settore povero in cui trovano impiego prevalentemente le donne.

Ecco perché servono politiche di inclusione lavorativa che possano realmente colmare il divario reddituale, altrimenti il peso verrà scaricato sul sociale, dove il trend è di impoverimento generale della comunità, sia italiana che straniera.

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Caritas. «Migranti, basta parlare di emergenza, ora un tavolo nazionale col governo»

Un confronto aperto e a diversi livelli – con il governo, i comuni, le regioni e le altre reti del terzo settore impegnate nell’accoglienza – che permetta di affrontare la questione dei migranti in modo strutturale e non emergenziale. Lo chiede Caritas italiana al governo proprio mentre inizia l’ultimo mese di una estate che vede gli sbarchi toccare quota 106.000, più del doppio dell’anno scorso, mentre sale a 85.000 circa il numero delle persone accolte nel sistema italiano. Da settimane, comuni e regioni sono in difficoltà a reperire posti letto per i migranti. In alcuni comuni sono state addirittura montate tendopoli, si fatica a trovare spazi. Da parte sua la Chiesa è sempre in prima linea sul fronte dell’accoglienza e della promozione di percorsi di integrazione. «In diversi territori – spiega ad Avvenire don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana – sono sempre più pressanti le richieste che giungono da parte delle Autorità perché la rete ecclesiale metta a disposizione altri spazi. La Chiesa che è in Italia si impegna al massimo delle sue possibilità, mettendo a disposizione strutture idonee, personale e volontari per aiutare le persone oltre quello che la convenzione stessa chiede».

Possiamo dare delle cifre?
Tra le accoglienze dei migranti nei centri, quelle delle famiglie ucraine – che spesso non sono accolte ufficialmente – e le persone arrivate attraverso i corridoi umanitari, universitari e lavorativi, la rete ecclesiale nazionale, in questo momento, sta ospitando circa 20.000 persone. Possiamo dire che è sicuramente quella che in Italia ha fatto e sta facendo di più.
Ma siamo in emergenza o no?
Sulla questione migratoria non possiamo più parlare di emergenza poiché ormai il fenomeno è sistematico. Siamo tuttavia in un periodo “di picco”, come dimostra l’alto numero di arrivi dall’inizio dell’anno. Il tema è complesso e deve essere affrontato insieme all’Unione euroepa e con una più stretta collaborazione tra Stato, Chiesa e realtà della società civile, in un’ottica di solidarietà e sussidiarietà.
Dunque Caritas italiana è disponibile a collaborare?
Certo, con questo governo come con tutti gli altri. Ma occorre cambiare metodo. La nostra proposta è quella di un confronto aperto e a più livelli che possa aprire a forme positive e propositive. Ad esempio, attraverso un tavolo di lavoro permanente e continuo con il governo a cui partecipino la rete ecclesiale, le realtà del terzo settore, l’Anci, le regioni così che il problema venga affrontato in chiave nazionale, facendo tesoro di quanto sperimentato anche a livello ecclesiale. Occorre ragionare tutti insieme per concordare soluzioni efficienti, a partire dal reperimento degli spazi idonei per accogliere dignitosamente queste persone. Da parte nostra questo comporta una maggiore assunzione di responsabilità, ma da parte di chi governa occorre il coraggio di superare la logica emergenziale per accogliere bene favorendo ad esempio il ritorno dell’accoglienza diffusa.
Alla quale è stato inferto un colpo letale nel 2018, ma sulla quale soprattutto i piccoli comuni erano e sono contrari…
Se in un centro di 500 abitanti arrivano 10 minori stranieri non accompagnati li capisco, rischiano di andare in bancarotta. A maggior ragione, un tavolo di lavoro che coinvolga diversi attori può favorire un migliore coordinamento e aiutare a redistribuire in modo efficace quanti hanno bisogno di ospitalità. Dobbiamo confrontarci e ragionare tutti insieme, se affrontiamo la complessità del fenomeno separatamente, ciascuno con il proprio punto di vista o solo per gestire una fase di picco o per cercare sistemazioni abitative in una determinata provincia, non ne usciremo. Il momento è difficile. Pensiamo, ad esempio, a quanto la questione Covid abbia inciso sulla spesa sanitaria delle regioni. Ma più continuiamo a dividerci e meno riusciremo ad avere una visione complessiva e a dare risposte.

Paolo Lambruschi – Avvenire

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Giornata mondiale del rifugiato, a Senigallia un centinaio di persone seguite dai progetti Sai

L'accoglienza al Cas Futuro di Senigallia dei migranti minori non accompagnati (gennaio 2023)
L’accoglienza al Cas Futuro di Senigallia dei migranti minori non accompagnati (gennaio 2023)

Anche Senigallia celebra la giornata mondiale del rifugiato. Si tratta di un appuntamento che ricorre ogni 20 giugno, promosso dall’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite) per ricordare i milioni di persone nel mondo che sono costrette a fuggire a causa di guerre, violenze, persecuzioni e violazioni dei diritti umani.

Persone quotidianamente seguite dal personale dei vari progetti SAI, il Sistema Accoglienza Integrazione, con l’obiettivo di agevolare le loro condizioni, permettere di ricostruirsi la vita lontano da casa, le relazioni affettive e sociali nella comunità, di formarsi e trovare lavoro per quanto riguarda gli adulti o di andare a scuola e completare l’istruzione per i minori.

I numeri diffusi dalla Caritas senigalliese sono questi: attualmente il SAI Senigallia e il SAI Ambito Territoriale 8 accolgono 83 persone, prevalentemente provenienti da Ucraina, Nigeria e Afghanistan. Il SAI minori conta invece 25 giovani stranieri non accompagnati (di cui solo due ragazze), giunti in Italia dal Gambia, dall’Egitto, dall’Albania e dal Bangladesh.

La giornata mondiale del rifugiato a Senigallia verrà celebrata il 22 giugno, nella biblioteca Antonelliana, grazie a un programma di iniziative elaborato dalla fondazione Caritas e dalla cooperativa sociale Casa della Gioventù (enti gestori dei SAI territoriali), in collaborazione con altre realtà del territorio.
La mattina si terrà un incontro formativo dedicato a operatori sociali, sanitari e legali che lavorano a contatto con i migranti. Seguirà la presentazione della mostra collettiva “Trasguardi” a cura di Cristina Panicali, Andrea Simonetti e l’associazione Lapsus, a cui hanno partecipato anche i beneficiari del SAI.
Nel pomeriggio eventi aperti a tutta la cittadinanza: si inizia con la presentazione del progetto “Comunità in crescita”, si continua con la storia della popolazione Hazara e si concluderà al foro annonario con il concerto di Javad, musicista afgano scappato dalla persecuzione talebana e oggi accolto nella nostra città.

Laura Mandolini

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