Non esistono ragazzi cattivi: a Senigallia la comunità si interroga sul disagio giovanile
L’incontro dal titolo “Non esistono ragazzi cattivi“, tenutosi martedì 7 ottobre presso l’oratorio della chiesa della Cesanella a Senigallia, ha acceso un faro sul complesso e urgente tema del disagio adolescenziale. Organizzato dall’Unità Pastorale Buonsamaritano (che unisce le parrocchie di Cesanella, Cesano, Pace e Scapezzano), l’evento ha richiamato un pubblico numeroso e variegato, desideroso di confrontarsi sulle sfide educative che coinvolgono famiglie, scuole e l’intera comunità. L’appuntamento ha messo a confronto tre voci autorevoli: Simone Ceresoni, dirigente scolastico dell’istituto superiore Corinaldesi-Padovano; don Andrea Rocchetti, parroco di Marina e Montemarciano; e Catia Sorcinelli, criminologa e operatrice sociale. L’obiettivo: trovare un dialogo comune per comprendere, ascoltare e accompagnare gli adolescenti nei loro momenti di fragilità, prevenendo derive come vandalismo, dipendenze, e bullismo. In questa prima puntata di Venti minuti da Leone” ci siamo concentrati sull’intervento di Ceresoni, andato in onda venerdì 10 e sabato 11 ottobre alle ore 13:10 e alle ore 20, con un’ulteriore replica domenica 12 alle 17:15 circa. L’audio è disponibile anche qui grazie al lettore multimediale.
La cattiveria è un segnale di sofferenza
Al centro del dibattito, il dirigente scolastico Simone Ceresoni ha offerto una riflessione profonda, partendo proprio dal titolo provocatorio dell’incontro. Gestendo quotidianamente circa 1600 studenti, Ceresoni ha ammesso che l’idea di “ragazzi cattivi” oscilla tra la ferma convinzione che non esistano e l’enorme difficoltà che certe manifestazioni di disagio creano. Ha condiviso aneddoti personali e professionali che demoliscono l’immagine stereotipata del “mostro”. La cattiveria si manifesta come stato di sofferenza e allora così va interpretata.
Regole e relazioni: il binario dell’educazione
Per affrontare questa sofferenza, Ceresoni ha indicato un doppio binario educativo: regole chiare e relazione autentica. Da una parte, la necessità di definire confini chiari e riportare la sfida sulla strada della responsabilità. Citando un episodio scolastico in cui il rigoroso rispetto di una regola, seppur impattante, ha portato alla cessazione di atti spiacevoli, ha evidenziato come le regole siano “utili a contenere” e a definire il lecito e l’illecito. Ma le regole da sole non bastano: «Serve anche la relazione, perché educa». L’adulto ha un potere enorme nel tirar fuori «dinamiche di ragazzi in gamba o dinamiche di ragazzi cattivi». Il segreto sta nel porsi in un rapporto di rispetto e cura, evitando il giudizio o l’atteggiamento ‘tu non sai chi sono io’. L’accoglienza fa venire meno le manifestazioni del disagio che spesso si traducono in azioni ‘cattive’.
La rivendicazione di spazi nella città
Il dirigente ha poi allargato la riflessione al contesto urbano, partendo da un recente fatto di cronaca a Senigallia: giovani seduti in mezzo alla strada, in pieno centro storico. Per Ceresoni, quell’atto è stato «un messaggio molto potente a una comunità di 45.000 abitanti che attende ancora una risposta». Una risposta che non può essere solo la videosorveglianza o l’indifferenza. Il gesto, ha spiegato, rivendica la mancanza di spazi di aggregazione dove il protagonismo giovanile sia al centro. Se la città offre prevalentemente “l’aperitivo del sabato sera” (che richiede risorse economiche) o l’aggregazione sportiva (che può diventare competizione ed esclusione), mancano i luoghi aperti e gratuiti che un tempo erano i centri di aggregazione giovanile.
In un prossimo articolo, svilupperemo il dibattito sull’argomento partendo dagli interventi di don Andrea Rocchetti e della criminologa ed operatrice sociale Catia Sorcinelli.
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